23 Giugno 2020

Contraddittorio dal 1° luglio: l’Agenzia delle Entrate non convince

di Andrea RamoniLuigi A. M. Rossi
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Il “nuovo” contraddittorio endoprocedimentale, introdotto oltre un anno fa dal D.L. 34/2019 (c.d. Decreto Crescita), che ha inserito nel D.Lgs. 218/1997 l’articolo 5-ter, avrà concreta applicazione, per la prima volta, a partire dal 1° luglio 2020.

Ottime le intenzioni della norma. Tuttavia, in considerazione delle numerose esclusioni, all’esito delle quali l’obbligo di invito al contraddittorio non vige in relazione alla maggior parte degli atti impositivi, la novella fa tornare alla memoria l’antica favola latina con cui Fedro raccontava “Mons parturibat… At ille murem peperit” (La montagna partoriva…ma quella partorì un topo”).

Ad ogni modo, a poco più di una settimana dall’entrata in vigore della disposizione, la circolare 17/E/2020 dell’Agenzia delle entrate, che attribuisce all’obbligo di invito al contraddittorio – infelicemente definito “generalizzato” – “un ruolo centrale nell’assicurare la corretta pretesa erariale, ricalca le medesime criticità della norma.

Per l’Agenzia, “la collocazione dell’obbligo del contraddittorio nel decreto legislativo che disciplina l’adesione rafforza l’intero impianto del procedimento accertativo, anche al fine di prevenire la fase contenziosa”. In realtà, parrebbe più corretto affermare l’esatto opposto: se il contraddittorio è davvero il momento centrale del rinnovato rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente, la scelta di introdurre la norma all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente sarebbe di certo stata più appropriata, nel caso anche estendendo le previsioni dell’articolo 12, comma 7, tanto vituperato.

Del resto, nel commentare l’esclusione del predetto obbligo nel caso di accertamento parziale, la circolare invita addirittura ad attivarlo ogni qual volta si debba giungere ad una “determinazione della pretesa basata su elementi presuntivi”. Un’apertura importante, almeno sulla carta.

È questo, infatti, uno degli aspetti più controversi della riforma: porre come eccezione alla garanzia del contraddittorio la natura parziale dell’accertamento, significa renderlo in concreto inapplicabile, statistiche alla mano, considerando soprattutto il fatto che molti atti possono dirsi parziali soltanto nella rubrica, dunque nella forma, ma non nella sostanza.

Doveroso ricordare che la seconda eccezione, disciplinata dall’articolo 4-octies, comma 2, D.L. 34/2019, è riferita ai casi di “particolare urgenza, specificamente motivata” e alle “ipotesi di fondato pericolo per la riscossione”, al ricorrere dei quali l’Ufficio può notificare direttamente l’avviso di accertamento non preceduto dall’invito al contraddittorio.

In questo caso, a titolo di esempio, la circolare cita le ipotesi di reato tributario (evidentemente rinvenute in sede istruttoria e notiziate ex articolo 331 c.p.p.) e ogni “circostanza imprevedibile e sopravvenuta che impone una stretta tempistica per gli adempimenti dell’amministrazione finanziaria”, così facendo determinando un’alea di incertezza sulle effettive fattispecie in cui possa emettersi direttamente l’avviso di accertamento.

In ultimo, viene commentata la misura contenuta nel comma 3-bis dell’articolo 5 D.Lgs. 218/1997, che prevede la proroga automatica di 120 giorni del termine di decadenza per la notificazione degli atti impositivi “qualora tra la data di comparizione, di cui al comma 1, lettera b), e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni”.

A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate ritiene che la proroga debba considerarsi applicabile a tutti i casi di contraddittorio e non soltanto a quelli obbligatori ai sensi dell’articolo 5-ter, introdotti dal Decreto Crescita.

Ciò significherebbe, per essere pragmatici, che il termine per procedere all’accertamento è di fatto prorogato dal 31 dicembre dell’anno “N” al 29/30 aprile dell’anno “N+1”, come l’esempio fornito in circolare fa intendere senza troppi misteri. È evidente come si tratti di una lettura dell’impianto normativo non coerente con lo spirito della riforma.

Infine, va segnalato che la circolare, emanata dopo circa un mese dal D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio) avrebbe acquisito un maggior valore se avesse tentato di sbrogliare la matassa normativa determinata a seguito della previsione di cui all’articolo 157, comma 1, del citato Decreto, rubricato “Proroga dei termini al fine di favorire la graduale ripresa delle attività economiche e sociali”.

Difatti il corpo di tale norma, con uno spirito in linea di principio condivisibile, opera una deroga a quanto previsto all’articolo 3, dello Statuo dei diritti del Contribuente, prevedendo che gli atti in scadenza al 31 dicembre 2020 vengano – comunque – emessi dall’Agenzia delle entrate (a pena di decadenza), ma da questa notificati (sempre a pena di decadenza) entro il 31 dicembre 2021.

Sebbene sia chiara l’intenzione che ha spinto il Legislatore a congelare l’attività di notifica degli atti dell’Amministrazione finanziaria, meno chiaro è il raccordo di tale disposizione con l’articolo 5-ter, D.Lgs. 218/1997, il quale comunque impone agli Uffici di interessare il contribuente, invitandolo, nei casi sopra illustrati, a “contram-dicereprima della emissione dell’atto (e quindi entro il 31 dicembre dell’anno in corso) onde evitare violazioni del nuovo obbligo.

A quanto pare, il fiato sul collo dei contribuenti continuerà a farsi sentire.