4 Marzo 2015

La motivazione della sentenza per relationem

di Luigi Ferrajoli
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Con l’ordinanza n. 242 del 12.01.2015, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del tema della stesura delle sentenze con la tecnica della motivazione per relationem.

Nel caso di specie la Suprema Corte, previa riunione di tre ricorsi presentati dall’Agenzia delle entrate nei confronti di una società aventi ad oggetto avvisi di accertamento concernenti redditi di impresa e di partecipazione, era stata chiamata a pronunciarsi in merito alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 36 del D.Lgs. n. 546/1992, in combinazione con l’art. 132, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per la mancanza di una adeguata giustificazione della decisione emessa dalla Commissione Tributaria Regionale, che si era limitata a riprodurre integralmente e pedissequamente le motivazioni della pronuncia di primo grado.

Come noto, il comma 2 dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede quali requisiti contenutistici della sentenza: 1) l’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori; 2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo; 3) le richieste delle parti; 4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto; 5) il dispositivo.

L’art. 61 del medesimo Decreto richiama nel processo di appello le norme concernenti quello di primo grado, in quanto compatibili.

Ancora più chiaro è l’art. 118 disp. att. c.p.c. secondo il quale “La motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi. Debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicati le norme di legge e i principi di diritto applicati…”.

Premessi tali riferimenti normativi e tornando all’ordinanza n. 242/2015, la medesima enuncia il principio per cui, nell’ambito del processo tributario, è nulla, per violazione dei citati artt. 36 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., “la sentenza della CTR completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle, che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo.

Del medesimo tenore è altresì l’ordinanza n. 28113 del 16.12.2013 emessa nell’ambito del procedimento in Cassazione instaurato dall’Agenzia delle entrate avverso una sentenza della CTR della Liguria avente ad oggetto l’annullamento di un avviso di accertamento.

Anche in tale frangente, parte ricorrente aveva dedotto la nullità della sentenza impugnata per assoluta assenza di motivazione, in violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 D. Lgs. n. 546/1992, alla luce del fatto che nessuna argomentazione sostanzialmente diversa da quanto eccepito dinanzi ai primi giudici emergeva dagli atti di impugnazione.

Riguardo alla tecnica della motivazione delle sentenze per relationem, la Corte ne ha chiarito la sua ammissibilità, a patto che il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario il riferimento alle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio.

Ne discende, quindi, che la motivazione per relationem è legittima allorché il giudice di appello, richiamando nella sua pronuncia gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, non si limiti solo a farli propri, ma confuti le censure contro di essi formulate con i motivi di gravame in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto.

In buona sostanza, la sentenza d’appello dovrà pertanto essere cassata allorquando la laconicità della motivazione adottata – formulata in termini di mera adesione alla sentenza appellata – non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame e tanto da risultare completamente priva dell’illustrazione dei motivi della decisione (in particolare delle critiche mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la CTR a disattendere tali ragioni), con conseguente impossibilità di individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo.