27 Febbraio 2014

Fatture soggettivamente inesistenti: costi deducibili ai fini delle dirette

di Alberto Alfredo FerrarioLuigi Scappini
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In una recente sentenza della CTR di Venezia 58/31/13 è stato riaffermato il principio per cui i costi relativi a fatture ritenute soggettivamente inesistenti, possono comunque ritenersi deducibili ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap se inerenti rispetto all’attività di impresa, certi nella loro esistenza, obiettivamente determinabili nel loro ammontare e, naturalmente, documentati.

Nella fattispecie controversa l’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla contribuente (una impresa individuale) che alcuni servizi acquistati da fornitori stranieri fossero oggettivamente inesistenti e altri soggettivamente inesistenti. L’impresa si è difesa in giudizio producendo la documentazione contrattuale e la corrispondenza concernente la gestione e la esecuzione dei servizi pattuiti, oltre che i documenti attestanti i pagamenti effettuati. Documentazione prodotta, peraltro, anche nel corso del procedimento penale instauratosi a seguito della denuncia scaturita dal medesimo processo verbale di constatazione e positivamente valutata dal giudice penale per confermare l’insussistenza del reato e la oggettiva esistenza delle operazioni contestate dall’Erario.

Quindi, anche se gli acquisti siano documentati da fatture emesse da soggetto diverso rispetto a quello “effettivo” (è il caso classico della simulazione soggettiva in cui l’operazione documentata in fattura intercorre tra un acquirente effettivo e un fornitore diverso da quello che la avrebbe materialmente posta in essere), il costo è deducibile.

E’ però il contribuente a dover dimostrare l’effettiva esistenza del costo, l’ammontare e l’inerenza (principio ribadito anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19786/2011). E la giurisprudenza di legittimità più recente ha precisato che i costi derivanti da fatture soggettivamente inesistenti sono deducibili anche se il contribuente ha consapevolmente partecipato agli illeciti, fermo restando che il giudice è chiamato a verificarne l’effettività, l’inerenza, la competenza e la certezza (Cass. sentenza n. 12503/2013). Si consolida quindi l’orientamento per cui, in base alla nuova formulazione testuale dell’articolo 14 comma 4 bis della L. n. 537/1993, come modificato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, non è più possibile contestare al contribuente l’indeducibilità dei costi per il solo fatto che essi siano esposti in fatture per operazioni c.d. “soggettivamente inesistenti”.

Come nel caso di specie. Infatti l’articolo 109 del Tuir, da un lato, consente la deduzione per spese e oneri che siano “specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi” e nella misura in cui “risultano da elementi certi e precisi”; dall’altro, al comma 5 precisa che tali oneri debbano riferirsi “ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”.

Secondo la CTR, “Nel caso di specie ancorché il soggetto che ha effettuato la prestazione, che a dato luogo alle spese dedotte, è diverso dall’emittente le fatture i contribuenti hanno dimostrato l’effettività dei costi esposti nel loro preciso ammontare quali elementi negativi del reddito, vale a dire tutte le condizioni previste dalla legge e specificate dagli arresti della Corte di Cassazione perché vi sia diritto alla deduzione di costi”.

Quanto all’inerenza dei costi rispetto all’attività di impresa deve essere, infatti, dimostrato il rapporto di connessione tra i costi sostenuti e la specifica attività posta in essere dall’impresa. Nello specifico i costi dedotti erano stati sostenuti per l’attività di mediazione relativa a contratti di fornitura poi stipulati dall’impresa. La prova, quindi, della correlazione tra il costo (e il contenuto della prestazione ricevuta cui il costo si riferisce) e l’attività concretamente posta in essere (incluso il territorio di riferimento di siffatte operazioni) ha costituito supporto probatorio idoneo.

L’esistenza, nel senso della effettività, del costo, poi è stata dimostrata sia dai contratti sia dalla coerente documentazione relativa ai pagamenti: se i termini pattuiti trovano puntuale riscontro nei bonifici, per l’ammontare, scadenza e descrizione, la sussistenza del costo non può essere messa in discussione. Così come la oggettiva determinabilità dello stesso. La CTR, nello specifico, dall’esame delle prove addotte dal contribuente ha potuto affermare che “è quantificabile il suo esatto importo ed anche le modalità di determinazione sulla scorta di documenti formali”.

E’ evidente che in queste circostanze è ben diverso, e sotto molti aspetti anche più semplice, l’oggetto di indagine e di prova cui è chiamato il contribuente (e il giudice a dover dimostrare) rispetto al collegato profilo del diniego di detrazione dell’IVA per consapevolezza (effettivamente provata o “doverosamente necessaria”) del contribuente per gli acquisti di cui sia contestata la soggettiva inesistenza della fatturazione. Nel, diverso, ambito dell’Iva infatti, la prova dell’onere di conoscenza o di consapevolezza è alquanto più complesso e deve poter emergere da una serie di elementi, anche (se non soprattutto) presuntivamente discendenti dai documenti. E’ chiaro che, in ogni caso, in assenza di una documentazione contrattuale e contabile chiara e lineare la prova, della valida detrazione dell’Iva e della deduzione del costo diventa molto più complessa.