15 Novembre 2017

Le assemblee delle associazioni: novità in vista?

di Guido Martinelli
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Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. VI – 5 04.10.2017 n. 23228) e una più meditata lettura degli articoli del nuovo codice del terzo settore (D.Lgs. 117/2017) ci inducono a rivedere una serie di comportamenti, fino ad oggi ritenuti consolidati, in merito alle modalità di gestione delle assemblee delle associazioni e delle conseguenze che queste possono avere sotto il profilo civilistico e fiscale.

Partiamo dalla decisione della Suprema Corte. Questa nasce da un ricorso della Agenzia delle entrate avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto che aveva accolto l’appello di una associazione sportiva dilettantistica che svolgeva corsi di danza. L’accertamento aveva ritenuto non applicabile la disciplina fiscale agevolata, tra l’altro per quanto di nostro interesse, per carenza di democrazia interna.

Il Giudicante di appello avevo condiviso la tesi del contribuente in quanto aveva ritenuto che gli associati erano prevalentemente minori “e quindi inabilitati a partecipare alle assemblee”.

La Corte di legittimità accoglie, invece, la tesi della Amministrazione finanziaria sulla carenza del requisito della democraticità, criterio richiesto dal comma 8 dell’articolo 148 del Tuir, per poter godere della defiscalizzazione dei corrispettivi specifici versati dagli associati.

Dopo aver ricordato la necessità, per costante giurisprudenza, che il diritto alle agevolazioni di cui all’articolo 148 Tuir sia legato all’inserimento in statuto delle clausole ivi espressamente contenute e che sia il contribuente, che accampa il diritto a godere della agevolazione, che dovrà dimostrare l’effettivo rispetto delle stesse, condivide l’assunto della ricorrente secondo cui “la disapplicazione di fatto delle norme statutarie inerenti l’esercizio dei diritti partecipativi degli associati” non può essere giustificata dalla minore età degli stessinon essendo giuridicamente corretto ravvisarne un’eccezione nella circostanza che si trattasse di persone minori, posto che essi sono rappresentati ex lege dai genitori ovvero dal responsabile genitoriale”.

Pertanto, si afferma che la minore età degli associati non può essere circostanza utilizzata per escluderli dalla vita associativa a causa della loro incapacità di agire in quanto nel caso di specie trova applicazione l’articolo 320 del codice civile.

Se la tesi affermata dalla Cassazione appare collocare contra legem i comportamenti adottati dalla maggior parte delle associazioni che non prevedono la partecipazione degli associati minorenni alle loro assemblee, alcuni contenuti fortemente innovativi inseriti nel codice del terzo settore di segno totalmente contrario impongono una riflessione ulteriore sui criteri fino ad oggi adottati nella redazione degli statuti di detti enti.

Il secondo comma dell’articolo 24, ad esempio, dopo aver confermato il principio del voto capitario apre alla possibilità che “agli associati che siano enti del terzo settore l’atto costitutivo o lo statuto possono attribuire più voti, sino ad un massimo di cinque in proporzione al numero dei loro associati o aderenti”.  Pertanto, per i nuovi enti del terzo settore appare possibile, in presenza di associati che siano sia persone fisiche che enti collettivi del terzo settore, derogare al principio di una testa un voto.

Il quinto comma della medesima norma prevede la possibilità del voto per corrispondenza picconando anche qui il principio della oralità e collegialità delle decisioni assunte in assemblea.

L’articolo 26 introduce due novità salienti. La prima, al secondo comma, laddove prevede la possibilità che la minoranza degli amministratori sia scelta tra persone non associate e (comma quinto) la nomina di uno o più degli amministratori può essere attribuita dall’atto costitutivo o dallo statuto ad enti del terzo settore … o a lavoratori o utenti dell’ente”. Quindi, sulla falsariga di quanto già accade da tempo nelle Federazioni sportive nazionali, laddove atleti e tecnici, che non sono giuridicamente associati della Federazione, votano e sono votati, in minoranza, all’interno degli organi amministrativi (consigli federali) dell’ente.

Da rilevare, infine, il quarto comma laddove prevede che l’atto costitutivo o lo statuto possono prevedere “che uno o più amministratori siano scelti tra gli appartenenti alle diverse categorie di associati”. Questo comporterà che, ad esempio, i fondatori potranno direttamente esprimere degli amministratori, anche in numero maggiore di quelli esprimibili dagli effettivi.

Tali previsioni appaiono fortemente innovative rispetto al concetto di democraticità delle associazioni a cui fino ad oggi ci siamo ricondotti che vedeva gli organi sociali come la sede in cui si formava la volontà dell’ente e che, pertanto, doveva vedere la partecipazione di tutti in parità di condizioni.

Il problema si porrà, sotto il profilo fiscale, per quegli enti del terzo settore che vorranno applicare l’articolo 4 del D.P.R. 633/1972, non modificato dal codice del terzo settore, che continua a fare riferimento ad una democraticità vicina all’orientamento della Cassazione e sicuramente distante dai contenuti della riforma del terzo settore.

Ma l’interrogativo finale è ancora un altro. Le sportive, estranee al terzo settore, potranno utilizzare nei propri statuti le aperture previste dal codice del terzo settore?

 

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