6 Settembre 2017

La svalutazione delle immobilizzazioni materiali

di Luca Mambrin
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In tema di svalutazione di immobilizzazioni materiali l’articolo 2426, comma 1, n. 3, del cod. civ., stabilisce che “l’immobilizzazione che, alla data di chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i nn. 1 e 2 deve essere iscritta a tale minore valore. Il minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica; questa disposizione non si applica a rettifiche di valore relative all’avviamento”.

La società deve quindi valutare alla data di riferimento del bilancio la presenza di indicatori di perdite durevoli di valore relativi ai beni materiali: se tali indicatori dovessero sussistere, la società deve procedere alla stima del valore recuperabile dell’immobilizzazione ed effettuare una svalutazione qualora l’immobilizzazione risulti durevolmente di valore inferiore al valore netto contabile.

Il principio contabile di riferimento, l’OIC 9 “Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali”, fornisce una serie di indicatori che consentono di valutare se esiste la possibilità che un’attività possa aver subito una perdita durevole di valore:

  • il valore di mercato di un’attività è diminuito significativamente durante l’esercizio, più di quanto si prevedeva sarebbe accaduto con il passare del tempo o con l’uso normale dell’attività in oggetto;
  • durante l’esercizio si sono verificate, o si verificheranno nel futuro prossimo, variazioni significative con effetto negativo per la società nell’ambiente tecnologico, di mercato, economico o normativo in cui la società opera o nel mercato cui un’attività è rivolta;
  • nel corso dell’esercizio sono aumentati i tassi di interesse di mercato o altri tassi di rendimento degli investimenti, ed è probabile che tali incrementi condizionino il tasso di attualizzazione utilizzato nel calcolo del valore d’uso di un’attività e riducano il valore recuperabile;
  • il valore contabile delle attività nette della società è superiore al loro fair value stimato della società (una tale stima sarà effettuata, per esempio, in relazione alla vendita potenziale di tutta la società o parte di essa);
  • l’obsolescenza o il deterioramento fisico di un’attività risulta evidente;
  • nel corso dell’esercizio si sono verificati significativi cambiamenti con effetto negativo sulla società, oppure si suppone che si verificheranno nel prossimo futuro, nella misura o nel modo in cui un’attività viene utilizzata o ci si attende sarà utilizzata. Tali cambiamenti includono casi quali:
    • l’attività diventa inutilizzata,
    • piani di dismissione o ristrutturazione del settore operativo al quale l’attività appartiene,
    • piani di dismissione dell’attività prima della data prima prevista,
    • la ridefinizione della vita utile dell’immobilizzazione,
    • dall’informativa interna risulta evidente che l’andamento economico di un’attività è, o sarà, peggiore di quanto previsto.

L’esistenza di tali indicatori non determina automaticamente la necessità di rilevare la svalutazione del bene, ma solamente la necessità di stimare il suo valore recuperabile: solo una volta determinato questo valore e solo nel caso in cui questo sia inferiore al valore netto contabile allora si renderà necessario quantificare ed imputare a conto economico la svalutazione.

Il valore recuperabile è dato dal maggiore tra ilvalore d’uso e il presumibile valore realizzabile tramite l’alienazione del bene, al netto dei costi di vendita.

Tuttavia, quale riferimento per il valore di alienazione l’OIC 9 introduce il concetto di “fair value”, derivato dai principi contabili internazionali e definito come “il prezzo che si percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una regolare operazione ordinaria tra operatori di mercato alla data di valutazione”.

Il valore in uso è invece definito come “il valore attuale dei flussi di cassa attesi da un’attività o da una unità generatrice di flussi di cassa”; non sempre tuttavia è necessario determinare entrambi i parametri, in quanto se uno dei due valori è superiore al valore contabile non sarà necessario procedere alla svalutazione in quanto l’attività non ha subito una riduzione di valore.

In particolare, l’OIC 9 prevede un approccio “ordinario” di natura finanziaria, mutuato dai principi contabili internazionali IAS/IFRS, ed un approccio “semplificato” basato sulla capacità di ammortamento, che può essere adottato dalle imprese di minori dimensioni.

La perdita durevole di valore si determina attraverso il confronto tra il valore contabile e il valore recuperabile dell’immobilizzazione; qualora il valore contabile fosse superiore al valore recuperabile (nella sua duplice accezione di fair value e valore d’uso) l’immobilizzazione deve rilevarsi a tale minor valore e la differenza è imputata a conto economico come perdita durevole di valore.

Infine, come previsto dall’articolo 2426 del cod. civ. e dall’OIC 9, laddove le cause che hanno indotto l’impresa a svalutare l’immobilizzazione vengano meno, vi è l’obbligo di ripristino del relativo valore al netto degli ammortamenti non effettuati a causa della precedente svalutazione.

Il ripristino di valore si effettua nei limiti del valore che l’attività avrebbe avuto ove la rettifica di valore non avesse mai avuto luogo e determina l’iscrizione di un componente positivo di reddito da imputare a conto economico.

Analisi del nuovo bilancio d’esercizio