25 Febbraio 2021

La qualità di esportatore abituale del cessionario

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Al fine di poter applicare il regime di non imponibilità Iva previsto dall’articolo 8, comma 1, lett. c), D.P.R. 633/1972, alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di esportatori abituali, è necessario che tali soggetti predispongano e trasmettano telematicamente all’Agenzia delle Entrate la c.d. dichiarazione d’intento, che ne attesti il possesso dei requisiti di legge.

L’articolo 12-septies D.L. 34/2019 ha previsto che il fornitore è obbligato a verificare, tramite un riscontro telematico, che il cessionario che si dichiara esportatore abituale abbia effettivamente inviato la dichiarazione d’intento all’Agenzia – non essendo più onere di quest’ultimo trasmettere al cedente né la suddetta dichiarazione né la ricevuta di ricezione dell’Agenzia delle Entrate – ed indicare in fattura gli estremi del protocollo di ricezione del documento.

È necessario, a questo punto, stabilire quando sia ravvisabile una responsabilità del fornitore nel caso in cui il cliente non risulti in possesso dei requisiti idonei a qualificarlo quale “esportatore abituale” e, dunque, non sussista il beneficio della non imponibilità per le operazioni di cessione di beni e/o prestazione di servizi intercorse tra essi.

L’articolo 7, comma 3, D.Lgs. 471/1997 stabilisce che “Qualora la dichiarazione [d’intento] sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa”.

Pertanto, dal tenore letterale di tale norma è evidente come il cedente non sia chiamato ad effettuare alcuna attività di controllo in merito alla veridicità della suddetta dichiarazione, atteso che dell’eventuale mancanza a monte dei presupposti per il rilascio della stessa risponde in modo esclusivo il cessionario/committente dell’operazione.

Tuttavia, la Corte di Giustizia Europea ha osservato come “anche la lotta contro la frode, l’evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva Iva” (Corte di Giustizia, 8 maggio 2019, causa C-712/17 e Corte di Giustizia, 31 gennaio 2013, causa C-624/11).

La Corte di Cassazione ha in più pronunce specificato che qualora la dichiarazione d’intento dell’esportatore abituale risulti “ideologicamente falsa”, occorre che il fornitore dimostri di essere estraneo all’intento fraudolento della propria controparte, ossia “di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere” (Cass. n. 7389/2012, Cass. n. 19896/2016 e Cass. 14937/2018).

È evidente, dunque, che il fornitore, qualora assolva al consueto onere di diligenza e sia in grado di dimostrare di aver agito in buona fede, adempiendo ai sopraccitati obblighi che la legge prevede per i cedenti/prestatori che intrattengono operazioni con esportatori abituali, non debba essere ritenuto corresponsabile dell’attività frodatoria.

Le sopraccitate sentenze dei giudici di legittimità sono perfettamente in linea con la giurisprudenza comunitaria, la quale riconosce un principio generale di buona fede del cedente, in quanto quest’ultimo è esonerato da responsabilità “nella misura in cui ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione intracomunitaria non lo conducesse a partecipare ad una frode” (Corte di Giustizia, 21 febbraio 2008, causa C-271-06).

Ciò significa che il fornitore, dopo aver riscontrato telematicamente l’avvenuta trasmissione della dichiarazione d’intento da parte dell’acquirente all’Agenzia, non è tenuto ad eseguire alcuna verifica ulteriore, in quanto egli è nella condizione di considerare legittimamente il proprio cliente quale esportatore abituale, a nulla rilevando se, a seguito dei controlli dell’Amministrazione Finanziaria, risulti che la propria controparte non era in possesso dei requisiti richiesti ex lege.

In particolare, non è possibile né imporre all’impresa cedente di sostituirsi agli organi del controllo, munendosi di strumenti investigativi atti a prevenire e stanare eventuali illeciti perpetrati dal proprio cliente, né imputare alla medesima l’inosservanza di attività investigative rimesse all’Amministrazione Finanziaria, ritenendo adeguato il riscontro dell’avvenuta trasmissione, da parte del cessionario, della dichiarazione d’intento all’Agenzia.