2 Dicembre 2020

Il segreto professionale va eccepito durante la verifica

di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365
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Con la sentenza n. 340202, depositata ieri, 1° dicembre, la Corte di Cassazione è tornata ad analizzare la disciplina prevista in materia di segreto professionale.

Il GUP di Mantova aveva emesso un decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla successiva confisca per equivalente, nei confronti di più società e più contribuenti, per una serie di ipotesi di emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

Proponeva ricorso uno dei soggetti indagati che si era visto sequestrare alcune sue quote societarie, rilevando, tra l’altro, l’inutilizzabilità dei documenti sequestrati presso lo studio professionale del ragioniere.

Il Tribunale, infatti, aveva ritenuto legittimo l’utilizzo dei documenti, perché non era stato eccepito il segreto professionale da parte del ragioniere stesso; sul punto, però, la ricorrente ribadiva che occorreva l’autorizzazione della Procura.

Nell’analizzare la questione, la Corte di Cassazione ha ricordato che per i professionisti appartenenti a determinati ordini professionali, tra i quali, ad esempio, i dottori commercialisti, è prevista l’osservanza del segreto professionale e la sua violazione costituisce illecito disciplinare.

La tutela è però assicurata soprattutto dalla legge penale, e, nello specifico, dall’articolo 622 c.p., in forza del quale “chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516”.

La finalità della norma è evidentemente quella di salvaguardare i rapporti professionali determinati da necessità o quasi necessità, garantendo la tutela della libertà e della sicurezza dei rapporti professionali.

Ai sensi dell’articolo 200 c.p.p., inoltre, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, tra gli altri, gli esercenti professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.

Il successivo articolo 256 c.p.p. esclude invece, per gli stessi professionisti, l’obbligo a consegnare all’Autorità Giudiziaria atti, documenti e/o ogni altra cosa, da quest’ultima richiesti, se dichiarano, per iscritto, che sono coperti dal segreto professionale; i professionisti hanno infine facoltà, ai sensi dell’articolo 2469 cod. civ., di astenersi dal testimoniare nei processi civili.

Il segreto professionale, dunque, come ricordato dalla Suprema Corte, “si configura come un diritto-dovere che resiste anche di fronte all’esercizio dei poteri istruttori delle Autorità”.

Nell’ordinamento tributario, il segreto professionale è previsto dall’articolo 52 , comma 3, D.P.R. 633/1972, ai sensi del quale “è in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale”.

Se è vero, dunque, che ai sensi del precedente articolo 52, comma 1, D.P.R. 633/1972, l’accesso dei verificatori è consentito anche presso gli studi professionali, è bene sempre ricordare che lo stesso deve essere obbligatoriamente eseguito in presenza del titolare dello studio, o, in caso di sua assenza, di un suo delegato (per iscritto), in modo che venga assicurata la tutela ed opposizione, se del caso, del segreto professionale.

Nel caso in cui il professionista, nel corso dello svolgimento dell’attività accertativa presso il suo studio, eccepisca il segreto professionale, i verificatori dovranno necessariamente richiedere l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità Giudiziaria più vicina: solo a seguito dell’autorizzazione i verificatori potranno riprendere l’attività di verifica e acquisire legittimamente i documenti per i quali, in un primo momento, era stato opposto il segreto professionale.

Il segreto professionale, tuttavia, è bene ribadirlo, riguarda esclusivamente notizie e documenti che attengono l’esercizio dell’attività professionale e non tutti i documenti e notizie di cui il professionista è in possesso o viene a conoscenza sono coperti dal segreto professionale. Vengono infatti esclusi dalla “copertura” del segreto professionale i seguenti documenti:

  • gli atti pubblici,
  • le scritture contabili (sia quelle del professionista che quelle del cliente, trattandosi di atti che la legge impone di redigere),
  • le fatture e le ricevute fiscali emesse dal professionista (dovendo essere conservati proprio in vista di un controllo fiscale).

Alla luce di tutto quanto appena esposto, e considerato dunque che il ragioniere, presente nello studio, non solo non aveva eccepito, con atto scritto, il segreto professionale ma aveva collaborato con i militari nell’analizzare il contenuto della documentazione rinvenuta, non poteva ritenersi necessaria, nel caso di specie, l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, ragion per cui la Corte di Cassazione, con la sentenza depositata nella giornata di ieri, ha ritenuto non  ammissibile il motivo di impugnazione proposto dall’indagato.