29 Maggio 2017

La deducibilità delle spese di rappresentanza

di Marco Bargagli
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Nel nostro ordinamento giuridico, le spese di rappresentanza sono disciplinate dall’articolo 108 del Tuir, rubricato spese relative a più esercizi, a mente del quale le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi.

Le spese di rappresentanza, inoltre, sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa.

Per effetto delle novità introdotte dal D.Lgs. 147/2015, con decorrenza dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 7 ottobre 2015, sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50.

Sotto il profilo dell’inerenza del costo sostenuto, il D.M. 19 novembre 2008 prevede che: “Si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore”.

Un ulteriore requisito previsto per la deducibilità delle spese sostenute, oltre a quello dell’inerenza, è quello della congruità.

In particolare, le spese di rappresentanza sostenute dall’impresa in un determinato esercizio, sono deducibili dal reddito d’impresa in base ai ricavi e proventi della gestione caratteristica risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo.

Quindi, le spese di rappresentanza possono essere dedotte entro un determinato importo, appositamente indicato nel D.M. 19 novembre 2008, ovvero in misura pari:

  • all’1,5% dei ricavi e altri proventi fino a 10 milioni di euro;
  • allo 0,6% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni di euro;
  • allo 0,4% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 50 milioni di euro.

Con particolare riferimento alle spese di rappresentanza e di pubblicità, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10111/2017, ha affermato che per dedurre i costi sostenuti dal reddito di impresa, occorre motivare adeguatamente l’inerenza dei componenti negativi di reddito contabilizzati.

Gli ermellini hanno respinto il ricorso del contribuente, tenuto conto che il giudice di merito aveva ritenuto che i costi dedotti erano idoneamente documentati e inerenti con l’attività esercitata dall’impresa senza, tuttavia, motivare adeguatamente la ragione in base alla quale le spese di rappresentanza rispondevano ai criteri di inerenza e competenza economica richiesti dalla normativa di riferimento.

In buona sostanza, è stato rilevato un difetto di motivazione nella sentenza di prime cure che aveva “sic et simpliciter” riconosciuto la deducibilità dei costi non documentati e delle spese di rappresentanza senza rilevare neanche l’eventuale organizzazione di manifestazioni fieristiche per l’anno considerato.

La suprema Corte ha concluso affermando che: “il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che costituiscono:

  • spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono
  • spese di pubblicità o propaganda quelle aventi come scopo preminente quello di pubblicizzare prodotti, marchi e servizi dell’impresa con una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite.
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