10 Ottobre 2025

Quando spetta la restituzione dell’IVA non dovuta al fornitore

di Marco Peirolo
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La scheda di FISCOPRATICO

L’art. 8, comma 1, Legge n. 167/2017 (Legge europea 2017) ha novellato l’art. 30-ter, D.P.R. n. 633/1972, al fine di disciplinare il rimborso dell’IVA non dovuta.

Sono 2 le fattispecie regolate dalla norma, di cui la prima è riferita al caso dell’applicazione di un’IVA non dovuta a una cessione di beni o ad una prestazione di servizi accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria.

In questa ipotesi, il comma 1 dell’art. 30-ter, D.P.R. n. 633/1972, che corrisponde al contenuto dell’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, avente per oggetto il c.d. rimborso anomalo, dispone che il cedente/prestatore presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di 2 anni dal versamento della medesima ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

La seconda fattispecie regolata dalla norma è relativa al caso in cui il cessionario/committente, che abbia corrisposto, in via di rivalsa, l’IVA non dovuta al cedente/prestatore, ha riversato l’imposta all’Erario a seguito di un accertamento divenuto definitivo.

In questa ipotesi, il cedente/prestatore può presentare la domanda di rimborso entro il termine di 2 anni dall’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’imposta pagata a titolo di rivalsa.

Se, quindi, il cedente/prestatore ha, a pena di decadenza, 2 anni di tempo dal pagamento dell’imposta per attivare la richiesta di rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, il cessionario/committente può, invece, proporre l’azione di ripetizione nei confronti del cedente/prestatore entro il termine decennale di prescrizione previsto dagli artt. 2033 e 2946, c.c..

La Corte di Giustizia UE, nella causa C-427/10 del 15 dicembre 2011, relativa al caso Banca Antoniana Popolare Veneta, ha ritenuto che il disallineamento dei termini di rimborso a disposizione, rispettivamente, del cedente/prestatore e del cessionario/committente non sia, di per sé, incompatibile con l’ordinamento comunitario. La tutela dei princìpi di effettività e di equivalenza esige, tuttavia, che sia garantita la restituzione dell’IVA al cedente/prestatore se esposto all’azione di ripetizione del cessionario/committente.

Giunto al vaglio della Corte di cassazione il tema della coesistenza del doppio termine di rimborso, i giudici di legittimità hanno recepito, in modo alquanto rigoroso, le indicazioni della Corte europea, ritenendo che – per la restituzione dell’imposta al cedente/prestatore – non sia sufficiente la mera richiesta di rimborso avanzata dal cessionario/committente, essendo necessario un provvedimento coattivo che disponga l’obbligo di pagamento a suo favore.

In sostanza, il cessionario/committente, al quale venga disconosciuta la detrazione operata in ragione della natura indebita dell’imposta si rivolge al proprio cedente/prestatore per ottenerne la restituzione, per cui è logico ritenere che, se quest’ultimo ha provveduto al relativo rimborso, in modo spontaneo o coattivo, avrà diritto – anche oltre il termine biennale di decadenza– ad essere reintegrato dall’Amministrazione finanziaria; in caso contrario, l’Erario trarrebbe un indebito arricchimento a danno del cedente/prestatore, sul quale finirebbe per gravare il tributo con una evidente violazione del principio di neutralità.

Pertanto, con l’obiettivo di evitare che il rimborso dell’imposta non dovuta risulti, di fatto, impossibile o eccessivamente difficile quando il cedente/prestatore risulti esposto all’azione di ripetizione del cessionario/committente, il comma 2 dell’art. 30-ter, D.P.R. n. 633/1972, non subordina la restituzione dell’imposta all’esistenza di un provvedimento coattivo, rivolto al cedente/prestatore, considerando ugualmente rilevante la situazione in cui quest’ultimo abbia rimborsato l’imposta alla propria controparte in modo spontaneo.

Infine, il comma 3 dell’art. 30-ter, D.P.R. n. 633/1972, pone un limite più generale al diritto di rimborso, disponendo che la restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

A questo riguardo, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 50/E/2025, ha formulato l’esempio in cui il rapporto contrattuale instaurato tra le parti venga riqualificato da contratto d’appalto di servizi a contratto di somministrazione di lavoro e, di conseguenza, recuperata l’IVA inizialmente esposta in fattura.

Nel documento di prassi si afferma che se, a seguito dell’attività di controllo da parte dell’ufficio, il rapporto contrattuale tra le parti venga riqualificato e, conseguentemente, escluso il diritto alla detrazione dell’IVA collegata alle prestazioni relative al contratto asseritamente ritenuto di appalto per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA, non potrà darsi luogo ad alcuna restituzione dell’imposta.

In proposito, occorre rilevare che la mera riqualificazione del contratto non è idonea, di per sé, a configurare un’ipotesi di frode fiscale, la quale non può infatti discendere dalla sola invalidità del negozio giuridico utilizzato dalle parti per effettuare le operazioni.

In ogni caso, poi, la specifica limitazione prevista quando il versamento dell’IVA sia avvenuto in un contesto di frode fiscale deve essere opportunamente coordinata con le indicazioni della giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, in base alle quali il cedente/prestatore mantiene il diritto al rimborso dell’IVA in precedenza versata in assenza di danno per l’Erario.

Sul punto, la Cassazione ha affermato che, anche in caso di operazioni inesistenti, al cedente/prestatore deve essere garantita la restituzione dell’IVA se è stato eliminato completamente il rischio di danno erariale, che ricorre non solo quando il cessionario/committente non abbia detratto l’imposta o, in caso contrario, abbia già provveduto alla relativa rettifica, ma anche quando la detrazione operata sia stata accertata a titolo definitivo dall’Amministrazione finanziaria e, di conseguenza, la relativa imposta riversata all’Erario (Cass., n. 7080/2020).