21 Ottobre 2025

L’imposta di registro sui diritti di superfice al 9% (anziché al 15%) non sembra aprire la porta ai rimborsi

di Gianfranco Antico
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Il diritto di superficie è disciplinato dagli artt. 952 ss., c.c.. In particolare, l’art. 952, c.c., prevede, al comma 1, che «Il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà» e, al comma 2, che «Del pari può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo».

Dal punto di vista fiscale, l’art. 43, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 131/1986, stabilisce che «La base imponibile, salvo quanto disposto negli artt. seguenti, è costituita: […] per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto […]».

In relazione all’aliquota applicabile, l’art. 1, comma 1, della Tariffa, dispone, al primo periodo, che sono soggetti a imposta di registro con l’aliquota del 9% gli «Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi» e, al terzo periodo, che l’imposta di registro si applica con l’aliquota del 15% «Se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale».

Al riguardo, con la circolare n. 36/E/2013 (par. 8), l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che, nell’ipotesi in cui oggetto della concessione del diritto di superficie era un terreno agricolo, l’imposta andava applicata nella misura del 15%.

Diversamente, per la Corte di Cassazione ordinanza n. 27293/2024 – all’atto di “costituzione” del diritto di superficie su terreni agricoli per la realizzazione di un impianto fotovoltaico va applicata l’imposta di registro dell’aliquota dell’8%, prevista ratione temporis (oggi 9%), in luogo di quella del 15%, atteso che la disposizione del terzo periodo dell’art. 1, comma 1, della Tariffa «è applicabile al trasferimento e non alla “costituzione” di un diritto reale di godimento».

L’orientamento espresso dalla citata ordinanza n. 27293/2024 è conforme a quello precedentemente riportato nell’ordinanza n. 3461/2021, ove la Cassazione, sempre con riferimento alla tassazione di un atto di “costituzione” del diritto di superficie su terreni agricoli per la realizzazione di un impianto fotovoltaico, ha condiviso l’indirizzo già espresso con sentenza n. 16495/2003 […] in una fattispecie riguardante la costituzione di un diritto di servitù (ai fini fiscali assimilabile a quella in esame), atteso che «il termine trasferimento contenuto nel D.P.R. 131 del 1986, art. 1, della tariffa allegata è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante)”».

Alla luce del richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 23/E/2025, hanno ritenuto superate le indicazioni contenute nella circolare n. 36/E/2013 (nonché nella circolare n. 37/E/1986, nella risoluzione n. 92/E/2000 e nella risposta n. 365/2023), con specifico riferimento alla tassazione, ai fini dell’imposta di registro, degli atti di “costituzione” del diritto di superficie su terreni agricoli.

Pur se la risoluzione può impattare sui contenziosi in essere, resta fermo che ove la controversia abbia a oggetto l’impugnazione avverso il silenzio-rifiuto dell’istanza di rimborso, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato, e le argomentazioni con cui l’ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione a essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale (Cass., ord. n. 9320/2023),

Peraltro, il novellato comma 5-bis, dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, ultimo capoverso, stabilisce che spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.

In questo contesto, occorre verificare se sia percorribile l’istanza di rimborso, una volta che il contribuente, per esempio, abbia già provveduto al pagamento dell’avviso di liquidazione notificato, con l’applicazione dell’aliquota del 15%, invece che del 9%.

Sul tema, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17124/2025, ha ribadito che, in tema di rimborso, qualora il contribuente non impugni l’atto col quale l’Amministrazione ha azionato la pretesa tributaria e, quindi, presenti istanza di rimborso di quanto già pagato in relazione al titolo impositivo, dalla definitività di quest’ultimo, per difetto di impugnazione, deriva l’inammissibilità dell’istanza di rimborso, perché contrastante con il titolo, ormai definitivo, che giustifica l’attività di riscossione dell’Amministrazione (cfr., ex plurimis, Cass., n. 31236/2019, n. 26378/2019, n. 20367/2018, n. 24239/2014, n. 3346/2011, n. 28784/2008, n. 672/2007, n. 17718/2004 e n. 3792/1997).

È, quindi, da ritenere che le eventuali impugnazioni proposte dai contribuenti saranno attentamente vagliate dai giudici.