1 Ottobre 2025

Il sindacato del regime sanzionatorio nazionale filtrato dal principio comunitario di proporzionalità

di Luciano Sorgato
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia con la sentenza 3 febbraio 2025, n. 392, ha affermato che: «Va annullata la sanzione del 45% comminata per decadenza della rateazione della definizione agevolata degli avvisi di accertamento ex art, 2, D.L. n 119/2018, per violazione del principio di proporzionalità, qualora sia ravvisabile un comportamento collaborativo del contribuente che prontamente rimedia alla violazione». Specificamente, per la citata Corte, «In sostanza deve ravvisarsi il vizio di sproporzione della sanzione (prevista nella misura del 45%), tenuto conto che essa è stata irrogata senza che vi sia stato alcun danno erariale e dinanzi ad un chiaro comportamento collaborativo e di buona fede della contribuente. Per tale motivo la cartella va annullata». L’ufficio riteneva di aver determinato la sanzione in scrupolosa applicazione del disposto dell’art. 15-ter, comma 2, D.P.R. n. 602/1973, e che non gli residuava alcun margine di variazione in ordine a tale misura.

Dopo la CGT di I grado di Vicenza che, sempre in raccordo con il principio di proporzionalità, ha annullato la cartella di pagamento per eccesso di esercizio di potere, con la sentenza n. 50 del 20/01/2025, anche la CGT della Lombardia prospetta l’identica sensibilità giudiziaria in ordine a tale fondamentale principio, del tutto ignorato dall’Amministrazione finanziaria in sede di comminazione delle sanzioni, la quale anzi ritiene di non poter incidere sulle relative misure di legge.

In ordine a tale fondamentale principio di governo della misura delle sanzioni, si sottolinea come tale principio assuma un ruolo immanente all’ordinamento nazionale, in quanto supportato dalle garanzie degli artt. 2 e 3, Costituzione, nonché dall’art 49 della Carta dell’Unione per il chiaro effetto d’intersezione che essa genera nell’ordinamento degli Stati membri, come proprio convenuto dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia, NE, in causa C-205/20, sentenza 8 marzo 2022, e come anche chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 46/2023. Il principio di proporzionalità, proprio in quanto espressione di un principio immanente d’ordine generale, opera in modo diretto senza la necessità dello specifico supporto di previsioni normative ulteriori. Il rango del principio di proporzionalità è primario per la sua piena equiparazione alle disposizioni dei Trattati e per la derivata appartenenza alle fonti del diritto (codificato per la prima volta nel Trattato di Maastricht, il principio di proporzionalità è oggi consacrato nel Trattato di Lisbona che lo eleva a ruolo fondamentale del diritto europeo). Esso, proprio come sottolineato in sentenza anche dalla Corte di Vicenza, esercita un’efficacia diretta all’interno degli ordinamenti europei, ponendosi come perentorio e invalicabile limite all’esercizio dei pubblici poteri (in tal senso si veda la lucida disamina di Vittorio De Bonis, “Le sanzioni amministrative tributarie”, Pacini Giuridica).

Al pari degli altri principi comunitari, il principio di proporzionalità genera un effetto di spill–over, applicandosi alle situazioni soggettive comunitarie e nazionali, allo scopo di evitare disparità di trattamento nei vari ordinamenti giuridici e a motivo che la tutela giurisdizionale dei diritti sanciti dall’ordinamento europeo è affidata ai giudici nazionali, i quali assolvono il ruolo di adattare l’ordinamento interno, attraverso un processo di osmosi, allo standard europeo (si cfr T. Tridimas, “The general Principles of UE law”, Oxford, 206). Già a partire dagli anni 70, la Corte di Giustizia non solo procede e giunge a sviluppare pienamente tale concetto, ma anche lo incapsula costituzionalmente, facendolo assurgere a principio di portata così dilatata nel diritto comunitario, da riferirlo sia all’attività normativa che a quella esecutivo/amministrativa delle Istituzioni, rendendolo utilizzabile come test per la sindacabilità degli atti e come criterio interpretativo della normativa comunitaria primaria (CGUE, 17 dicembre 1970, Causa 11/70, International Handelsgesellshaft MBH). Specificamente in ambito sanzionatorio, l’art. 49, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea statuisce che «le pene non devono essere sproporzionate rispetto al reato», introducendo un principio pervasivo rispetto a tutte le disposizioni che prescrivono l’irrogazione delle sanzioni, le quali rappresentando norme di attuazione del diritto dell’Unione (come previsto dall’art 51, paragrafo 1, TUE) sono rigidamente soggette al principio di proporzionalità.

Sul tema, si deve ancora rilevare che la fonte CEDU, ossia i diritti garantiti dalla Convenzione, per come interpretati dalla Corte EDU e in linea con quanto statuito dall’art 6, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, partecipano del Diritto Europeo in quanto principi generali e non vi è alcun dubbio che il Trattato di Lisbona, con le modifiche dell’art 6, TUE, abbia rafforzato la tutela dei diritti fondamentali conferendo alla CARTA lo stesso valore giuridico dei Trattati. Dalla qualifica della sanzione amministrativa nazionale come “sostanzialmente” penale deriva l’applicabilità del citato art. 49, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE alle sanzioni amministrative tributarie. Segnatamente, il principio della proporzionalità delle sanzioni previsto da tale disposizione è di carattere incondizionato e si applica in termini assoluti.

Proprio da tale portata applicativa consegue che il divieto di adottare sanzioni sproporzionate non richiede l’emanazione di alcun atto aggiuntivo in quanto non è consentito agli Stati membri alcuna facoltà di condizionarne o restringerne la portata. I limiti imposti alla normativa nazionale rispondono ad una logica di bilanciamento di interessi contrapposti secondo una logica di efficienza strumentale intesa a verificare che la sanzione irrogata sia effettivamente basata sulla gravità del comportamento e della violazione posta in essere (la condotta e l’effettiva offensività verso il bene giuridicamente tutelato), non dovendo eccedere quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta.

Così definita dal giudice europeo l’essenza del principio di proporzionalità, spetta al giudice nazionale valutare le circostanze concrete del caso e verificare l’osservanza del principio. In tal senso, per garantire l’applicazione del principio di proporzionalità diretto ad ogni potere nazionale (amministrativo e giurisdizionale) la Corte di Giustizia UE ritiene procedibile la piena disapplicazione delle disposizioni nazionali in contrasto con il principio (CGUE, 3 marzo 2020, Causa C-482/18). Dal fondamentale principio della proporzione deriva, quale corollario, l’assoluto divieto di eccesso, in quanto intrinsecamente connesso alla persona. Il principio della proporzionalità, inteso come equo criterio di scrutinio bilanciato, di diversi interessi (uno statale e uno privato) vincola ogni attività dei poteri pubblici e, quindi, non solo il potere amministrativo, ma anche il potere legislativo ed il potere giudiziario. Se in uno Stato di diritto ogni potere pubblico deve rispettare il divieto di eccesso, ne deriva il divieto, nell’esercizio di ogni funzione pubblica, di incidere la sfera dei diritti dei cittadini con misure che non sono in rapporto ragionevole con i fini perseguiti.

Proprio la dottrina italiana (G. Moschetti, “Il principio di proporzionalità come giusta misura del potere nell’evoluzione del diritto tributario”, Cedam Editore) connette e fa rientrare la violazione della proporzionalità, nel vizio di eccesso di potere, per cui «un atto, quando la misura adottata sia sproporzionata rispetto al fine che si deve perseguire, tenendo conto dei complessivi interessi implicati, è illegittimo per eccesso di esercizio di potere» (così anche per la dottrina straniera – N. Emiliou – a comprova dell’ormai assoluta universalità del principio della proporzionalità: «Misure adottate da autorità pubbliche non devono mai eccedere i limiti di quanto è strettamente proporzionato e necessario al fine di ottenere obiettivi legittimi nell’interesse pubblico»).