24 Ottobre 2025

I vantaggi penali della conciliazione giudiziale

di Gianfranco Antico
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I diversi interventi normativi succedutisi nel corso di questi anni, operati a seguito della Riforma fiscale, hanno fra l’altro rinforzato gli strumenti deflattivi, per deflazionare il contenzioso. Una delle leve utilizzate è stata quella di far pesare l’accordo raggiunto ai fini penali. Soffermiamoci, quindi sui vantaggi penali che presenta la conciliazione giudiziale, dopo aver delineato sinteticamente le regole dell’istituto.

 

Premessa

La conciliazione giudiziale nasce mediante l’inserimento nel D.P.R. n. 636/1972, dell’art. 20-bis, così come introdotto in via definitiva dall’art. 2-sexies, D.L. n. 564/1994, conv. con modif. in Legge n. 656/1994, che è stata oggetto successivamente di ripetuti e sostanziali mutamenti, fino a giungere all’attuale formulazione[1].

Dopo aver indicato, quindi, le regole essenziali dell’istituto[2], che possono consentire con immediatezza di avere un quadro chiaro, analizziamo l’impatto che deriva sul processo penale dall’accordo raggiunto in sede di conciliazione.

 

La conciliazione giudiziale: quadro generale

Rileviamo nei riquadri che seguono l’attuale formulazione normativa, così da avere un preciso punto di riferimento normativo, evidenziando gli aspetti più significativi.

La conciliazione giudiziale
Art. 48, D.Lgs. n. 546/1992
(Conciliazione fuori udienza)
Art. 48-bis, D.Lgs. n. 546/1992
(Conciliazione in udienza)
1. Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia.

2. Se la data di trattazione è già fissata e sussistono le condizioni di ammissibilità, la Corte di Giustizia Tributaria pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere. Se l’accordo conciliativo è parziale, la corte dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa.

3. Se la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il presidente della Sezione.

4. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

4-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione.

1. Ciascuna parte entro il termine di cui all’art. 32, comma 2, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia.

2. All’udienza la commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo.

3. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

4. La commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.

Art. 48-bis.1, D.Lgs. n. 546/1992
(Conciliazione proposta dalla Corte di Giustizia Tributaria)
1. La Corte di Giustizia Tributaria, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e ai precedenti giurisprudenziali.

2. La proposta può essere formulata in udienza o fuori udienza. Se è formulata fuori udienza, è comunicata alle parti. Se è formulata in udienza, è comunicata alle parti non comparse, con la fissazione di una nuova udienza.

3. La causa, se richiesto da una delle parti, può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. Ove l’accordo non si perfezioni, si procede nella stessa udienza alla trattazione della causa.

4. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale, nel quale sono indicati le somme dovute nonché i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

5. Il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.

6. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.

Art. 48-ter, D.Lgs. n. 546/1992
(Definizione e pagamento delle somme dovute)
1. Le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del secondo grado di giudizio e nella misura del sessanta per cento del minimo previsto dalla legge in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio di Cassazione.

2. Il versamento delle somme dovute ovvero, in caso di rateizzazione, della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo conciliativo di cui all’articolo 48, o di redazione del processo verbale di cui all’articolo 48-bis.

3. In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’articolo 13 del Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta.

4. Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del Decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.

 

Le sanzioni

Ordinariamente, e a regime, secondo quanto contenuto nell’art. 48-ter, D.Lgs. n. 546/1992, le sanzioni si applicano, in ragione dello stato di avanzamento del processo al momento del raggiungimento dell’accordo, nella misura del:

− 40% del minimo previsto dalla legge, qualora l’accordo intervenga nel primo grado di giudizio;

− 50% del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento in sede di appello;

− 60% del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del giudizio di Cassazione.

È stata, altresì, estesa dal D.Lgs. n. 158/2015, anche alla conciliazione giudiziale la disciplina recata dall’art. 12, comma 8, D.Lgs. n. 472/1997, secondo cui «le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta».

 

Le modalità di pagamento

L’accordo previsto in caso di conciliazione “fuori udienza”, ovvero il processo verbale nel caso di conciliazione “in udienza”, costituiscono titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore.

Pagamento
Modalità Il versamento delle intere somme dovute o, in caso di pagamento rateale, della prima rata, va effettuato entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo, per la conciliazione “fuori udienza”, o di redazione del processo verbale, per la conciliazione “in udienza”.
Scomputo Dagli importi dovuti a titolo di conciliazione vanno computate in diminuzione le eventuali somme versate dal contribuente a titolo di iscrizione provvisoria.

Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’art. 8, D.Lgs. n. 218/1997.

Pertanto, è ammesso il pagamento rateale in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo o in un massimo di 16 rate trimestrali se le somme dovute superano i 50.000 euro.

Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno successivo al termine di versamento della prima rata.

Atteso che, come visto, trovano applicazione le regole previste per l’adesione, in forza del comma 2-bis dell’art. 8, D.Lgs. n. 218/1997, per il versamento delle somme dovute a seguito di un accertamento con adesione, conseguente alla definizione di atti di recupero, il contribuente non può avvalersi della rateazione e della compensazione prevista dall’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997.

Entro 10 giorni dal versamento dell’intero importo o di quello della prima rata, il contribuente fa pervenire all’ufficio la quietanza dell’avvenuto pagamento. L’ufficio, verificato l’avvenuto pagamento, rilascia al contribuente copia dell’atto di accertamento con adesione.

Analogamente a quanto previsto per l’accertamento con adesione, trova applicazione anche per la conciliazione giudiziale l’art. 15-ter, comma 3, D.P.R. n. 602/1973, concernente il c.d. lieve inadempimento, norma che esclude la decadenza in caso di lieve inadempimento dovuto a:

a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3% e, in ogni caso, a 10.000 euro;

b) tardivo versamento della prima rata, non superiore a 7 giorni.

Nei casi in cui l’insufficiente o il tardivo pagamento integri un “lieve inadempimento”, l’ufficio iscrive a ruolo l’eventuale frazione non pagata, della sanzione di cui all’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, commisurata all’importo non pagato o pagato in ritardo, e dei relativi interessi. La predetta iscrizione a ruolo non è eseguita se il contribuente si avvale del ravvedimento operoso di cui all’art. 13, D.Lgs. n. 472/1997, entro il termine di pagamento della rata successiva ovvero, in caso di versamento in unica soluzione o di ultima rata, entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per il versamento.

Nel caso di mancato pagamento delle somme dovute entro il termine di 20 giorni dalla sottoscrizione dell’accordo o del verbale di conciliazione o, in caso di rateizzazione, di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, è prevista l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione per omesso versamento, disciplinata dall’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, aumentata della metà e applicata sull’importo residuo dovuto a titolo di imposta.

Per le controversie aventi a oggetto avvisi di accertamento esecutivi, il recupero delle somme non versate a seguito della conciliazione viene effettuato mediante l’intimazione ad adempiere al pagamento.

 

I vantaggi penali

I vantaggi penali che presenta il raggiungimento dell’accordo conciliativo sono sostanzialmente contenuti negli artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. n. 74/2000.

Artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. n. 74/2000
Art. 13, D.Lgs. n. 74/2000 Art. 13-bis, D.Lgs. n. 74/2000
I reati di cui agli artt. 10-bis[3], 10-ter[4] e 10-quater, comma 1[5], D.Lgs. n. 74/2000, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

I reati di cui agli artt. 2[6], 3[7], 4[8] e 5[9], D.Lgs. n. 74/2000, non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Fuori dai casi di non punibilità di cui all’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000, le pene per i delitti tributari sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12, dello stesso D.Lgs. n. 74/2000[10], se, prima della chiusura del dibattimento di primo grado, il debito tributario, comprese sanzioni amministrative e interessi, è estinto. Quando, prima della chiusura del dibattimento, il debito è in fase di estinzione mediante rateizzazione anche a seguito delle procedure conciliative e di adesione all’accertamento, l’imputato ne dà comunicazione al giudice che procede, allegando la relativa documentazione, e informa contestualmente l’Agenzia delle Entrate con indicazione del relativo procedimento penale.
Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di 3 mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre 3 mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione. Nei casi in cui il debito è in fase di estinzione mediante rateizzazione, il processo è sospeso dalla ricezione della comunicazione. Decorso 1 anno la sospensione è revocata, salvo che l’Agenzia delle Entrate abbia comunicato che il pagamento delle rate è regolarmente in corso. In questo caso, il processo è sospeso per ulteriori 3 mesi che il giudice ha facoltà di prorogare, per una sola volta, di non oltre 3 mesi, qualora lo ritenga necessario per consentire l’integrale pagamento del debito[11].
I reati di cui agli artt. 10-bis[12] e 10-ter[13], non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’IVA. Ai fini di cui sopra, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. Per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000, l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444, c.p.p., può essere chiesta, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario, comprese sanzioni amministrative e interessi, è estinto, nonché quando ricorre il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’art. 13, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 74/2000.
Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis, c.p., il giudice valuta, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici:

a) l’entità dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità;

b) salvo quanto previsto al comma 1, art. 13, D.Lgs. n. 74/2000[14], l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’Amministrazione finanziaria;

c) l’entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione;

d) la situazione di crisi ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), CCII, di cui al D.Lgs. n. 14/2019.

Le pene stabilite per i delitti in materia di dichiarazione sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

 

L’utilizzo dell’accordo conciliativo in sede processuale

Il fatto che – per effetto della novella apportata dal D.Lgs. n. 87/2024 all’art. 20, D.Lgs. n. 74/2000 – possano essere acquisiti nel processo penale, ai fini della prova del fatto in essi accertato, «gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione»[15], aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, impone delle riflessioni.

Con tale norma, il «possono essere acquisiti» al fascicolo del dibattimento, gli atti tributari deflattivi, anche senza il consenso delle parti, lascia intendere che trattasi di mera facoltà rimessa al giudice, che potrebbe sostituirla ovvero integrarla con l’assunzione dei testi (funzionari dell’Agenzia delle Entrate ovvero i militari della G.d.F.). E, atteso che non è necessario il consenso delle parti, ciò potrebbe indurre i contribuenti a riservarsi, in sede amministrativa, di far constare nell’atto deflattivo che le conclusioni raggiunte non significano riconoscimento della pretesa, così da potersi difendere in sede penale.

Ma al di là di queste considerazioni, il quadro probatorio proprio del giudizio penale, che si chiude con una sentenza di assoluzione o di colpevolezza, è ancora diverso rispetto al regime tributario, dove hanno un peso notevole le presunzioni. E ciò può determinare diversità di letture e relativi approdi[16].

Infatti, nell’attività di verifica e di accertamento dei tributi è consentito ricostruire la base imponibile, in presenza di determinati presupposti, anche attraverso il ricorso a presunzioni, qualificate o meno, che non possono assurgere a valore di prova dei reati tributari, rilevando però sul piano indiziario, idonee a integrare la notizia di reato. Pur se anche nel rito penale è consentito ricorrere a presunzioni, le quali, per la loro natura di dati di fatto, possono essere ammesse nei limiti indicati dall’art. 192, comma 2, c.p.p., a mente del quale «l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti»[17].

Si pensi all’ipotesi in cui in sede di conciliazione si sia raggiunto l’accordo su una operazione cartolare, concordando sulla parzialità dell’inesistenza ovvero trasformandola da oggettivamente inesistente a soggettivamente inesistente. In questi casi, il giudice penale è libero di condannare, così che – pur in attesa dei primi pronunciamenti post riforma – il pallino sembra rimanere ancora in mano al giudice penale.

Resta fermo che – Cass., sent. n. 19997/2017[18] – la sopravvenienza di un accordo amministrativo, che va a modificare sostanzialmente l’iniziale determinazione dell’imposta evasa, coincidente con quella presa a riferimento per la formulazione dell’imputazione in sede penale, non comporta l’automatico venir meno dell’ipotesi delittuosa originaria.

Il quantum concordato, sceso al di sotto delle soglie di punibilità, può quindi far venir meno il reato, ma il giudice penale può sempre dimostrare che la soglia sia stata superata, restando così salvo il c.d. doppio binario. Infatti, la pretesa tributaria può essere rivalutata e ridimensionata in sede di accordi concordati tra le parti del rapporto o addirittura annullata dal giudice tributario, senza che ciò però vincoli il giudice penale e quindi non può escludersi che il medesimo possa eventualmente pervenire – sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario – a un diverso convincimento e ritenere lo stesso superata la soglia di punibilità, se l’ammontare dell’imposta evasa è superiore a quella accertata nel giudizio tributario.

Tuttavia, se il giudice penale non è vincolato ai risultati degli accertamenti fiscali, gli stessi giudici di vertice hanno affermato che ciò non significa che il giudice penale possa prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per determinare l’imposta evasa: «cambia la regola di giudizio, non la regola da applicare»[19]. E di conseguenza, discordarsi dall’accordo raggiunto in sede di conciliazione è una strada tutta in salita, che difficilmente spunta.

 

[1] Infatti, dapprima, il Legislatore delegato del 2015, dando attuazione ai principi della Legge delega n. 23/2014, è intervenuto con l’art. 9, D.Lgs. n. 156/2015, operando una riscrittura integrale dell’istituto, disciplinandola in maniera più organica: da una parte, la conciliazione fuori udienza (art. 48, D.Lgs. n. 546/1992), e dall’altra parte la conciliazione in udienza (art. 48-bis, D.Lgs. n. 546/1992), aggiungendo una disposizione di chiusura (art. 48-ter, D.Lgs. n. 546/1992), che investe la definizione e il pagamento delle somme dovute, valido per entrambe le modalità di definizione conciliativa. Successivamente, la Legge n. 130/2022 – art. 4, comma 1, lett. g) – dopo l’art. 48-bis, D.Lgs. n. 546/1992, ha inserito l’art. 48-bis.1 (Conciliazione proposta dalla Corte di Giustizia Tributaria), introducendo – di fatto – una nuova ipotesi di conciliazione dedicata alle controversie mediabili ma non mediate, di appannaggio dei giudici – che si affianca alle 2 precedenti, oggi rivisitata per effetto della abrogazione dell’istituto della mediazione operata dall’art. 2, comma 3, lett. a), D.Lgs. n. 220/2023. E da ultimo, il D.Lgs. n. 220/2023, intervenendo sull’art. 48, D.Lgs. n. 546/1992, ha introdotto il comma 4-bis, con il quale le disposizioni relative alla conciliazione fuori udienza si applicano anche alle controversie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, per i giudizi instaurati davanti al giudice di legittimità dal 5 gennaio 2024. Norma corretta dal D.Lgs. n. 81/2025, che attraverso l’art. 16, estende tale possibilità anche ai giudizi pendenti alla data del 4 gennaio 2024.

[2] Per un esame completo dell’istituto sia consentito il rinvio a G. Antico, Guida agli strumenti deflattivi, Euroconference, 2024.

[3] Omesso versamento di ritenute certificate.

[4] Omesso versamento IVA.

[5] Compensazione di crediti non spettanti.

[6] Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

[7] Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

[8] Dichiarazione infedele.

[9] Omessa dichiarazione.

[10] Le pene accessorie previste – che non si applicano – sono:

  1. a) interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a 6 mesi e non superiore a 3 anni;
  2. b) incapacità di contrattare con la pubblica Amministrazione per un periodo non inferiore a 1 anno e non superiore a 3 anni;
  3. c) interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore a 1 anno e non superiore a 5 anni;
  4. d) interdizione perpetua dall’ufficio di componente di Commissione Tributaria;
  5. e) pubblicazione della sentenza a norma dell’art. 36, c.p.

Al comma 2, art. 12, D.Lgs. n. 74/2000, viene previsto che l’interdizione dai pubblici uffici consegua solo alla condanna per i delitti più gravi (artt. 2, 3 e 8, D.Lgs. n. 74/2000). Il comma 2-bis, art. 12, D.Lgs. n. 74/2000, prevede, per i delitti previsti dagli artt. da 2 a 10, la non applicabilità dell’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’art. 163, c.p., nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30% del volume d’affari; l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a 3 milioni di euro.

[11] Anche prima del decorso dei termini di cui al secondo e al terzo periodo, la sospensione è revocata quando l’Agenzia delle Entrate attesta l’integrale versamento delle somme dovute o comunica la decadenza dal beneficio della rateizzazione. Durante la sospensione del processo il corso della prescrizione è sospeso.

[12] Omesso versamento di ritenute certificate.

[13] Omesso versamento IVA.

[14] C.d. causa di non punibilità.

[15] Vi rientrano, quindi, tutte quelle forme di accordi oggi normativamente previsti.

[16] Ricordiamo che l’art. 21-bis, D.Lgs. n. 74/2000, prevede che la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. La sentenza penale irrevocabile può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a 15 giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. Tali disposizioni si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati.

[17] Con chiarezza il manuale sui controlli diramato dalla G.d.F. con la circolare n. 1/2018, rileva che «tale disposizione, tuttavia, non permette di sostenere che nel processo penale tributario possano trovare incondizionatamente ingresso le presunzioni utilizzate in sede fiscale, sol perché in questo contesto ritenute essere connotate da gravità, precisione e concordanza. D’altra parte, specularmente, non è detto che le presunzioni fiscalmente valutate come non gravi, né precise e concordanti debbano essere escluse dal processo penale tributario, solo a motivo della particolare qualificazione che alle stesse è stata data in sede amministrativa».

[18] Cfr. G. Antico, “Procedimento di dissequestro: l’accordo con il Fisco non fa venir meno automaticamente l’ipotesi delittuosa”, in il fisco, n. 22/2017, pag. 2187.

[19] Sent. n. 37094/2015. Cfr. anche sent. n. 4906/2015, che svincola il giudice dalla determinazione concordata dell’imposta, «purché indichi concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta».

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.