22 Maggio 2025

Gli elementi probatori irritualmente acquisiti sono sempre inutilizzabili?

di Marco Bargagli
Scarica in PDF

Nel corso di un’attività istruttoria, l’articolo 52, D.P.R. 633/1972, rubricato “Accessi, ispezioni e verifiche”, contiene le norme giuridiche da seguire nel corso di una verifica fiscale, che consentono di acquisire agli atti del controllo la documentazione contabile ed extracontabile del soggetto passivo.

A tal fine, l’Amministrazione finanziaria può disporre l’accesso dei propri impiegati nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché in quelli utilizzati dagli enti non commerciali, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni.

Ai soli fini amministrativi, i funzionari che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione (c.d. ordine di verifica) che indica lo scopo dell’intervento, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono o dal comandante del Reparto nel caso in cui l’azione ispettiva venga condotta dalla Guardia di Finanza.

Di contro, per l’accesso nei locali adibiti anche ad abitazione, definiti ad “uso promiscuo”, la normativa di riferimento richiede l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Inoltre, l’accesso in locali adibiti esclusivamente ad abitazione privata e relative pertinenze può avvenire, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, soltanto nelle ipotesi di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.

Sul punto, il provvedimento dell’Autorità Giudiziaria che autorizza e legittima l’accesso nell’abitazione privata è un atto amministrativo discrezionale, che deve essere motivato con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di violazione delle norme tributarie.

Quindi, la richiesta di accesso domiciliare deve essere formulata indicando con chiarezza e completezza gli elementi che, sulla base dell’attività investigativa previamente compiuta, legittimano l’esercizio di tale potere ispettivo (cfr. Comando Generale della Guardia di Finanza, circolare n. 1/2018, volume II, parte III – esecuzione delle verifiche e dei controlli – capitolo 2, pagina n. 16).

Inoltre, nel corso di un’indagine penale, una volta che il soggetto risulta responsabile dei reati a lui ascritti e viene notificato l’avviso di conclusione delle indagini, gli organi dell’Amministrazione finanziaria possono anche richiedere al Pubblico Ministero l’autorizzazione all’utilizzo ai fini fiscali dei dati e delle notizie acquisite nel corso delle indagini preliminari.

La suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8452/2025, si è recentemente espressa sul tema dell’utilizzabilità, ai fini fiscali, di elementi info-investigativi irritualmente acquisiti nel corso delle attività poste in essere da parte degli operatori dell’Amministrazione finanziaria, sancendo il principio in base al quale l’inutilizzabilità si verifica solo nella particolare ipotesi di lesione dei diritti fondamentali della persona aventi rango costituzionale.

Nel corso del giudizio di legittimità il ricorrente aveva rilevato che la documentazione utilizzata dall’Amministrazione era stata acquisita, in sede penale, tramite assistenza giudiziaria della Repubblica di San Marino, la quale aveva apposto la clausola di specialità sulla stessa, disponendone il divieto di utilizzo “per fini diversi da quelli indicati nella domanda”.

Questi ultimi consistevano nell’accertamento dei reati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e abusivo esercizio del credito bancario oggetto di indagine in sede penale,sicché non poteva ritenersi legittima la successiva autorizzazione all’utilizzo dei documenti rilasciata dal P.M. procedente ai sensi dell’art. 33, comma terzo, del D.P.R. n. 600/1973.

In questo senso, sostiene il ricorrente, l’Amministrazione avrebbe fatto uso di prove inutilizzabili, con chiara violazione del suo diritto alla difesa, nonché, soprattutto e in via riflessa, dei principi costituzionali del giusto processo, del rispetto dei trattati internazionali e del buon andamento dell’azione amministrativa.

Sul punto, la giurisprudenza espressa in sede di legittimità mantiene una netta differenziazione fra processo penale e accertamento tributario, secondo un principio sancito non solo dalle norme sui reati tributari, ma anche e soprattutto dalle disposizioni generali desumibili dagli articoli 2 e 654, c.p.p., ed espressamente stabilite dall’articolo 220, Disposizioni attuative c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto “ai fini dell’applicazione della legge penale (Cassazione n. 8605/2015; Cassazione n. 13121/2012).

Del resto, prosegue la suprema Corte, eventuali limitazioni apposte all’utilizzo degli atti acquisiti tramite rogatoria non si estendono al processo tributario, proprio in quanto quest’ultimo, diversamente dal processo penale, ha natura amministrativo – contenziosa e mira non già all’accertamento della responsabilità penale, ma a quello del debito d’imposta, tanto che “finanche le informazioni illecitamente acquisite in sede penale sono valutabili dal giudice tributario quali elementi indiziari che possono concorrere a formare il suo convincimento (Cassazione n. 25473/2022; Cassazione. n. 11162/2021; Cassazione n. 31085/2019)”.

In definitiva, sulla base dell’approccio ermeneutico espresso in apicibus da parte della suprema Corte di Cassazione, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso», fatta esclusione per «i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.” (Cassazione n. 24923/2021, n. 20358/2020 e n. 31779/2019).