2 Dicembre 2025

Effetti da valutare a seguito dell’annunciata proroga del regime IVA di esenzione in ambito associativo

di Luca Caramaschi
Scarica in PDF

Dal prossimo 1° gennaio 2026 cambierà la fiscalità degli enti non commerciali, soprattutto per quelli organizzati in forma associativa (ma non solo). È la conseguenza dell’attesa entrata in vigore delle disposizioni contenute nel Titolo X del D.Lgs. n. 117/2017 (il Codice del Terzo settore) e del D.Lgs. n. 112/2017 (che disciplina l’impresa sociale), che produrranno i loro effetti non solo per quegli enti che hanno già assunto o che assumeranno la veste di ente di Terzo settore iscrivendosi nella relativa sezione del RUNTS, ma anche da parte di coloro che, per scelta o per espresso divieto (si pensi ai partiti politici, alle associazioni sindacali e di categoria, agli enti espressione della Pubblica amministrazione, nonché agli enti sottoposti alla direzione e coordinamento dei richiamati enti), non hanno fatto o potuto fare ingresso nell’ampio mondo degli Ente di Terzo Settore.

Se al netto di tutti i dubbi applicativi, che si spera vengano in parte fugati dalla maxi-circolare esplicativa dell’Agenzia delle Entrate in via di pubblicazione, la Riforma del Terzo settore è pronta a decollare dopo oltre 9 anni dalla pubblicazione della Legge delega (la Legge n. 106/2026), così non si può dire per il comparto IVA che – colpevolmente lasciato fuori dalla Riforma ETS – è stato oggetto di modifiche con un separato provvedimento normativo, oggetto di continue e ripetute proroghe. Mi riferisco alle novità introdotte con il D.L. n. 146/2021 e con le quali – in risposta a un una procedura di infrazione comunitaria pendente sul nostro Paese – dal prossimo 1° gennaio 2026 si sarebbe dovuti passare dal pluridecennale regime di esclusione previsto dall’art. 4, Decreto IVA, a quello di esenzione contemplato dall’art. 10 del medesimo Decreto. Con conseguenze che sono state descritte da numerosi commenti apparsi in dottrina nel corso di questi ultimi anni.

Senonché, a ridotto della prossima fatidica data dell’1.1.2026, abbiamo appreso che a partire, anche nei suoi contenuti fiscali, sarà solo la Riforma del Terzo settore, ma non anche il correlato comparto IVA. Ciò alla luce dell’annuncio che il Viceministro all’Economia e alle Finanze ha fatto lo scorso 18 settembre 2025, in occasione di un incontro con la stampa specializzata e con il quale ha dichiarato l’esistenza di avanzate interlocuzioni con l’Unione Europea per addivenire ad una proroga della “Riforma IVA” che potrebbe addirittura protrarsi fino a un decennio. Riforma che viene, quindi, e riforma che va, ma con delle conseguenze probabilmente non volute che, sotto il profilo IVA, dovranno essere attentamente esaminate dagli operatori.

Se, infatti, il regime di esenzione da IVA di talune prestazioni poteva apparire coerente con l’impianto normativo introdotto con la riforma del terzo settore (che in buona parte si ispira, è bene ribadirlo, a quello delle ONLUS in via di abrogazione), la rinnovata disciplina di esclusione da IVA potrebbe in taluni casi determinare pericolosi scenari applicativi, con importanti penalizzazioni per il mondo delle organizzazioni di tipo associativo.

Il primo pensiero va proprio a quelle associazioni di tipo culturale escluse dal RUNTS che dal prossimo 1° gennaio 2026 – in ragione della modifica apportata dal Legislatore – non potranno applicare la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 148, TUIR, consistente nella decommercializzazione dei corrispettivi specifici ricevuti dai propri associati. Stessa sorte per gli enti di Terzo settore generici diversi dalle APS che, non riuscendo a rientrare nella previsione di non commercialità, recata dal comma 6, dell’art. 79, D.Lgs. n. 117/2017, dovranno anche essi considerare rilevanti, ai fini reddituali, i corrispettivi specifici ricevuti dai propri associati.

Se sul versante reddituale, la disciplina appare chiara, quale sarà il correlato trattamento ai fini IVA? Potrà cioè continuare a trovare applicazione – come emerge dall’interpretazione letterale della disposizione – la previsione di esclusione contemplata dal combinato disposto dei commi 4 e 7 dell’art. 4, Decreto IVA, in presenza di una rilevanza reddituale dei medesimi proventi, creandosi quindi l’ennesimo disallineamento tra i 2 comparti impositivi? Posto che l’alternativa sarebbe l’assoggettamento ad aliquota ordinaria del 22% dei richiamati corrispettivi specifici, una precisazione ufficiale a conferma della lecita applicazione in questi casi del “doppio binario IVA-redditi” parrebbe quantomeno opportuna. O che, in alternativa, si valuti l’estensione dell’aliquota IVA ridotta del 5% anche a tali fattispecie (come, peraltro, già recentemente avvenuto nell’ambito degli sporti invernali).