28 Novembre 2025

Deducibilità IRPEF spese sostenute da artisti e professionisti dello spettacolo: il confine dell’uso promiscuo

di Alessandra MagliaroSandro Censi
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La scheda di FISCOPRATICO

L’attività degli artisti e professionisti dello spettacolo può essere qualificata, a seconda della modalità con cui viene esercitata, sia come lavoro dipendente che come lavoro autonomo abituale o occasionale. La corrispondente determinazione del reddito percepito seguirà, pertanto, le regole fiscalmente previste per la relativa fattispecie.

Per quanto concerne il reddito da lavoro dipendente, come noto, non sarà possibile dedurre le spese sostenute per la produzione del medesimo mentre, per quanto riguarda il reddito da lavoro autonomo, potranno essere dedotte le relative spese.

Per quanto concerne queste ultime ve ne sono alcune di difficile contestazione e di sicura inerenza quali, se ad esempio stiamo parlando dello staff tecnico, l’acquisto di attrezzature audio-video, computer, smartphone, videocamere, fotocamere, microfoni, luci, computer per montaggio video, software di editing, costi di viaggio e trasferta, ecc.

L’ottica può, però, essere diversa quando da coloro che non sono “on stage”, per utilizzare il termine del Commentario Ocse, ci si sposta verso coloro che “sono sul palco”. Per costoro, infatti, elementi quali la cura estetica o l’abbigliamento, le calzature, il trucco, ecc., possono essere estremamente rilevanti e rappresentano una componente importante dell’attività professionale esercitata.

E’ invero la questione relativa, ad esempio, alla deducibilità ai fini IRPEF delle spese sostenute per l’acquisto del vestiario da parte di artisti e professionisti è da anni oggetto di acceso dibattito e contenzioso. La normativa di riferimento, l’art. 54, TUIR, consente la deducibilità solo delle spese dotate dell’attributo di inerenza rispetto all’attività esercitata.

L’inerenza, intesa come il rapporto di diretta e immediata correlazione tra la spesa e la professione, si manifesta chiaramente solo in casi specifici, dove l’abbigliamento è strettamente funzionale all’attività e non ha impiego privato (come la toga per l’avvocato o gli abiti di scena per i ballerini, i cui costi dovrebbero essere integralmente deducibili).

I maggiori dubbi sorgono, invece, per i capi di abbigliamento che possono essere utilizzati sia nell’ambito lavorativo che nella vita privata (uso promiscuo); situazione tipica dei volti noti del mondo dello spettacolo.

La giurisprudenza di merito ha sviluppato orientamenti che tendono a riconoscere la deducibilità parziale in queste casistiche. In un particolare caso, la CTR Lombardia, sent. n. 3938/15/18, ha riconosciuto la deducibilità forfettaria del 50% dei costi per il vestiario e gli accessori di un’attrice, show girl e conduttrice TV italo-argentina. Il Collegio ha ritenuto l’inerenza oggettivamente dimostrata dai contratti televisivi, i quali espressamente prevedevano che l’artista dovesse usare un “adeguato vestiario moderno di sua proprietà”.

In una decisione successiva, CTR Lombardia n. 949/1/22, i costi per l’abbigliamento di una cantante lirica professionista sono stati ritenuti deducibili al 50%, poiché la spesa è stata considerata direttamente funzionale e inerente allo svolgimento della professione, che richiede specifici standard di immagine.

Infine, anche per una giornalista e influencer nel campo della moda, il vestiario è stato qualificato come parte integrante del personaggio e un presupposto necessario per l’attività svolta (CGT II grado Lombardia, n. 468/7/24). Secondo i giudici la spesa sostenuta «è una condizione strettamente collegata con l’attività svolta e ne rappresenta il necessario presupposto di modo che va ritenuto inerente alla particolare attività professionale esercitata».

In linea di principio, quando l’abbigliamento, pur essendo richiesto dal decoro professionale, può avere impieghi privati, è possibile dedurre i relativi costi nella misura del 50%, applicando la percentuale prevista dall’art. 54, TUIR, per i beni a uso promiscuo. È cruciale, tuttavia, che tale correlazione tra attività professionale e costo sia plausibile e documentata.

Il suggerimento potrebbe essere quello di conservare la ricevuta della spesa sostenuta (fattura o scontrino fiscale) insieme a foto o video che documentino in quale occasione “lavorativa” quell’abito, quelle scarpe o quegli accessori sono stati utilizzati, dimostrando così quell’inerenza che, secondo la Cassazione (sent. n. 27786/2018), va valutata attraverso un «giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo».