28 Novembre 2025

Aliquota IVA delle operazioni complesse con prezzo unico

di Marco Peirolo
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La scheda di FISCOPRATICO

Dall’art. 1, par. 2, Direttiva 2006/112/CE, si desume che, ai fini IVA, ciascuna cessione di beni o prestazione di servizi deve essere normalmente considerata distinta e indipendente.

Di conseguenza, un’operazione economica che comprenda più elementi deve considerarsi costituita da diverse cessioni e/o prestazioni distinte e indipendenti, da valutare separatamente dal punto di vista dell’IVA.

L’applicazione del medesimo regime IVA a tutti gli elementi che configurano l’operazione economica è possibile solo in presenza di un’operazione complessa la cui sussistenza implica, in particolare, che le cessioni e/o prestazioni formalmente distinte, che potrebbero essere eseguite separatamente dando luogo a una differente imposizione, non sono tra loro indipendenti.

In base all’orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria, ripresa anche dalla prassi amministrativa, questa circostanza si verifica quando:

  • 2 o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo sono così strettamente collegati da formare, oggettivamente, un’unica operazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale; oppure
  • 1 o più prestazioni costituiscono la prestazione principale, mentre l’altra o le altre prestazioni costituiscono una prestazione accessoria o più prestazioni accessorie cui si applica la stessa disciplina IVA della prestazione principale.

Al fine di stabilire se le prestazioni fornite costituiscano più prestazioni indipendenti o una prestazione unica, occorre, da un lato, individuare gli elementi caratteristici dell’operazione complessa e, dall’altro, tenere conto dell’obiettivo economico di tale operazione.

Nell’ambito delle operazioni complesse per le quali sia pattuito un corrispettivo unico si pone il problema di stabilire quale sia l’aliquota IVA applicabile.

Nella risoluzione n. 142/E/1999, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che alle prestazioni di cui trattasi è applicabile l’IVA con l’aliquota massima prevista per le prestazioni ricomprese nella fattispecie negoziale.

In sostanza, tale documento di prassi ha chiarito che, in presenza di più operazioni, per le quali sia pattuito un corrispettivo unico, deve aversi riguardo all’aliquota IVA più alta tra quelle previste per i beni/servizi ceduti/resi, a prescindere dall’eventuale prevalenza dei beni/servizi ad aliquota inferiore.

Tale posizione è stata confermata dalla risoluzione n. 111/E/2004, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, in base a un consolidato principio di carattere generale, implicito nella disciplina IVA, se, a fronte di prestazioni per le quali sono previste diverse aliquote, viene richiesto e fatturato un corrispettivo indistinto, prevale in ogni caso l’aliquota maggiore.

Nello stesso senso anche la risposta a interpello n. 35/E/2022, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che l’operazione presa in considerazione deve essere assoggettata a IVA con applicazione dell’aliquota nella misura del 10%, vale a dire con l’aliquota più elevata tra quelle astrattamente applicabili agli ingredienti che compongono la confezione, specificando che tale soluzione presuppone, in ogni caso, che gli ingredienti siano riconducibili ai prodotti tassativamente elencati nelle Parti II, II-bis e III della Tabella A, allegata al D.P.R. n. 633/1972.

Una diversa indicazione è stata, invece, resa con la risoluzione n. 51/E/2019, secondo cui la presenza, nella stessa confezione, di erbe aromatiche assoggettate ad aliquote differenti – per le quali non sia possibile riscontrare una predominanza che conferisca il “carattere essenziale” all’operazione – comporta l’assoggettamento dell’intera confezione all’aliquota IVA più elevata e, in particolare, secondo la risoluzione n. 56/E/2017, all’aliquota ordinaria, qualora nella confezione vi sia anche la presenza di erbe la cui cessione sia assoggettata a tale aliquota.

A ben vedere, l’Amministrazione finanziaria è allineata alla posizione della giurisprudenza comunitaria nel ritenere che alla prestazione considerata come unica debba applicarsi una sola aliquota IVA, ma è da ritenere che quest’ultima dovrebbe essere individuata in funzione del rapporto di prevalenza esistente tra gli elementi che compongono l’operazione economicamente unitaria, anziché applicare, “a prescindere”, l’aliquota più alta.

Nella sentenza di cui alla causa C-463/16 del 18 gennaio 2018, la Corte ha affermato che la qualifica come “prestazione unica” di un’operazione composta da più elementi implica l’applicazione della medesima aliquota IVA. La facoltà, lasciata agli Stati membri, di assoggettare i diversi elementi che compongono la prestazione unica a più aliquote IVA comporterebbe, infatti, la scomposizione artificiale di tale prestazione e rischierebbe di alterare la funzionalità del sistema dell’IVA, in violazione della giurisprudenza che ha sancito tale principio.

Sempre secondo i giudici UE, la circostanza che sia possibile identificare il prezzo corrispondente a ciascun elemento distinto che compone la prestazione unica non è idonea a giustificare alcuna deroga alla conclusione che precede, anche perché il principio di neutralità fiscale rischierebbe di essere compromesso, poiché 2 prestazioni uniche, composte da 2 o più elementi distinti, che sono, sotto tutti gli aspetti, simili, potrebbero dover essere assoggettate, secondo la predetta ipotesi, ad aliquote IVA distinte applicabili ai suddetti elementi, a seconda che sia o meno possibile identificare il prezzo corrispondente a tali diversi elementi.

Ritornando alle indicazioni della prassi amministrativa sopra richiamate, è vero che le aliquote ridotte costituiscono un’eccezione e devono essere applicate in modo restrittivo, ma c’è da chiedersi se sia effettivamente corretto prescindere dal rapporto di prevalenza tra i beni/servizi ceduti/resi a fronte di un corrispettivo unitario, in particolar modo quando l’operatore sia in grado di supportare il suddetto rapporto di prevalenza sul piano probatorio.

In effetti, la Corte di Cassazione, con l’ord. n. 9661/2017, sembra smentire l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, laddove nel caso esaminato – relativo alla cessione di un fabbricato unitariamente considerato avente prevalente destinazione strumentale – viene confermata l’applicazione dell’aliquota ordinaria, ben potendosi quindi ritenere che se la destinazione prevalente dell’immobile fosse stata abitativa si sarebbe concluso per l’applicazione dell’aliquota ridotta.