21 Febbraio 2019

Tassata in Italia la pensione estera

di Davide Albonico
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Con la risposta n. 4 del 12 febbraio 2019, l’Agenzia delle Entrate si è soffermata sul corretto trattamento fiscale riservato ad una pensione estera percepita in Italia da un residente.

In particolare, nel caso in oggetto, l’istante, nato nel Regno Unito, dove ha vissuto per i primi anni, si è trasferito in Italia alla fine degli anni Sessanta, dove vive tuttora con sua moglie, avendo anche ottenuto la cittadinanza italiana.

In Italia ha sempre lavorato come dipendente ed ha maturato, conseguentemente, in base ai periodi di lavoro effettuati in Italia, il diritto a percepire una pensione, erogata dall’Inps.

In aggiunta, l’istante inizierà a percepire anche un ulteriore importo da UK in base alle regole dello State Pension System britannico. Tali importi non derivano da attività lavorativa svolta dallo stesso in Gran Bretagna (se non nella misura del 3% delle settimane di riferimento, per attività lavorative saltuarie svolte da giovane nel corso degli studi), ma da contributi volontari versati dallo stesso contribuente (denominati “Voluntary Class 3 contributions”).

L’istante ritiene che, dal punto di vista tributario, la State Pension che percepirà da parte della Gran Bretagna, non essendo collegata, se non in minima parte, allo svolgimento di una effettiva prestazione lavorativa effettuata nel passato ma al versamento volontario di contributi, sarebbe assimilabile ad una forma di previdenza complementare (ex D.Lgs. 252/2005).

Si ricorda come, nell’ordinamento nazionale, tale disciplina prevede da un lato la deducibilità dal reddito imponibile dei contributi versati dal contribuente (nel limite annuo di euro 5.164,57) e, dall’altro, la non imponibilità delle prestazioni riferite alla parte non dedotta dal reddito (cfr. circolare AdE 70/E/2007, par. 2.4).

Pertanto, secondo l’istante, avendo tali somme la medesima natura dei contributi versati volontariamente ad una forma di previdenza complementare italiana e poiché nel corso degli anni non ha dedotto dal proprio reddito imponibile i versamenti effettuati su base volontaria alla previdenza britannica, la relativa e collegata prestazione dovrebbe di conseguenza essere non imponibile ai fini Irpef (quanto al 97%).

Mentre la restante parte, ovverosia quella collegata a prestazioni lavorative a suo tempo effettuate in Gran Bretagna, pari al 3%, dovrebbe essere dichiarata dallo stesso come reddito da pensione ai sensi della normativa interna.

Innanzitutto l’Agenzia rammenta come, secondo quanto previsto dall’articolo 49, comma 2, Tuir, costituiscono redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati.

Alle pensioni, anche estere, si applicano così le stesse disposizioni previste per la categoria dei redditi di lavoro dipendente, ex comma 1 dell’articolo 49 predetto, concorrendo alla formazione del reddito complessivo dei soggetti residenti, in virtù dell’applicazione del cd. “worldwide taxation principle”, ex articolo 3, comma 1, Tuir.

Qualora esista un trattato bilaterale contro le doppie imposizioni tra l’Italia e l’altro Paese, tuttavia, può essere prevista una diversa modalità di tassazione delle pensioni estere corrisposte a cittadini residenti, a seconda che si tratti di pensioni pubbliche o private.

In particolare, con riferimento al caso di specie, l’articolo 18 della Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Gran Bretagna stabilisce che le pensioni e le altre remunerazioni analoghe, diverse da quelle corrisposte da uno Stato contraente o da una sua suddivisione politica od amministrativa, o da un suo Ente locale, pagate ad un residente di uno Stato contraente in relazione ad un cessato impiego ed ogni altra annualità pagata a tale residente, sono imponibili soltanto in detto Stato.

Passando poi all’analisi del caso specifico, appare evidente che la pensione che l’istante riceverà dal Regno Unito è una “pensione di Stato”, erogata al raggiungimento dell’età pensionistica, in funzione delle regole del nuovo sistema pensionistico britannico, riformato nel 2016 (cd. New State Pension) e interamente fondato su un meccanismo contributivo, anche di natura volontaria.

Considerato che le disposizioni normative di riferimento richiamano le pensioni “di ogni genere” (articolo 49, comma 2, Tuir) e le “pensioni e le altre remunerazioni analoghe” pagate al residente di uno Stato contraente (articolo 18 della Convenzione), l’Agenzia ritiene non applicabile la disciplina fiscale prevista per la previdenza complementare, assimilando la New State Pension, nell’ordinamento nazionale, ai redditi da pensione, di cui all’articolo 49, comma 2, Tuir e, come tali, assoggettabili alle regole dei redditi di lavoro dipendente.

A nulla rileva, inoltre, la circostanza che, a suo tempo, l’istante non abbia dedotto, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lett. e), Tuir, dal proprio reddito imponibile in Italia i versamenti contributivi effettuati su base volontaria, atteso che la mancata deduzione degli stessi, pur in presenza del relativo diritto, non giustifica l’applicazione delle disposizioni della previdenza complementare che prevedono la non imponibilità della parte dei contributi versati che non hanno fruito della deduzione (ex articolo 8, comma 4, D.Lgs. 252/2005).

A parere dell’Agenzia pertanto, nel caso di specie, l’istante deve assoggettare alla disciplina fiscale italiana, per l’intero importo, la pensione che percepirà dalla Gran Bretagna, ai sensi dell’articolo 49, comma 2, Tuir.

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La fiscalità internazionale nella dichiarazione dei redditi