13 Giugno 2025

Sul dies a quo di prescrizione previsto dall’articolo 15, D.Lgs. 39/2010 per le azioni di responsabilità nei confronti dell’organo di revisione alla luce della sentenza interpretativa della Corte Costituzionale

di Mary Moramarco
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Con una pronuncia interpretativa di rigetto dal contenuto dicotomico e tutt’altro che scontato la Consulta ha cercato di porre la parola fine alla querelle sviluppatasi in dottrina e giurisprudenza in merito alla legittimità costituzionale del termine prescrizionale previsto per le azioni di responsabilità nei confronti dei revisori dall’articolo 15, comma 3, D.Lgs. 39/2010. La Corte Costituzionale, infatti, è giunta alla conclusione di dover (e poter) escludere ogni profilo di illegittimità della norma, tanto ai sensi dell’articolo 3 quanto ai sensi dell’articolo 24, Costituzione, solo assegnando alla stessa un contenuto e un raggio di applicazione più limitato di quello a essa attribuito dalle Corti territoriali e deducibile dal tenore letterale della stessa.

La pronuncia, peraltro, mantiene la sua importanza anche a seguito della recente proposta di modifica dell’articolo 15, D.Lgs. 39/2010, attualmente presentata in Senato, nel contesto della Riforma in materia di responsabilità dei revisori legali.

 

La disciplina dettata dal D.Lgs. 39/2010 in tema di responsabilità dell’organo deputato alla attività di revisione contabile

Con il D.Lgs. 39/2010, in attuazione della Direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati (che ha modificato le Direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE e abrogato la Direttiva 84/253/CEE), il Legislatore italiano ha introdotto una disciplina ad hoc riferita alle azioni di responsabilità, tanto ex contractu quanto ex delicto, a carico dei soggetti incaricati dell’esercizio dell’attività di revisione contabile per i danni da questi arrecati nello svolgimento di tale attività nei confronti della società oggetto di revisione, dei suoi soci e dei terzi.

Infatti, a mente del comma 1, articolo 15, D.Lgs. 39/2010: “I revisori legali e le società di revisione legale rispondono in solido tra loro e con gli amministratori nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Nei rapporti interni tra i debitori solidali, essi sono responsabili nei limiti del contributo effettivo al danno cagionato”.

Trattasi, come noto, di normativa di carattere speciale, che, quindi, alla luce del noto principio di diritto secondo cui “lex specialis derogat generali”, fa eccezione al regime generale previsto dagli articoli 2393 e ss., 2407, cod. civ., per le azioni di responsabilità dettate per amministratori e sindaci di Spa e ne impedisce l’applicazione in via analogica[1].

La citata disposizione, quindi, individua l’insieme delle azioni di responsabilità esperibili nei confronti di coloro che esercitano l’attività di revisione legale, specificando che questi ultimi, alla pari di amministratori e sindaci, sono chiamati a rispondere tanto dei danni da loro cagionati nei confronti dell’ente per il quale prestano la loro attività di revisione, quanto nei confronti dei soci di queste o dei terzi. Nel far ciò il Legislatore crea un perimetro di responsabilità parzialmente analogo a quello previsto dalla disciplina della Spa per i membri degli organi di amministrazione e controllo[2], seppur con l’utilizzo di una tecnica legislativa diversa rispetto a quella codicistica. Mentre, infatti, nel dettato del codice civile le varie azioni vengono disciplinate da norme differenti che contemplano, a livello testuale, eterogenei momenti di decorrenza dei relativi termini prescrizionali[3], al contrario il D.Lgs. 39/2010 regola in maniera sostanzialmente unitaria, all’interno del solo articolo 15, le varie azioni esperibili nei confronti dell’organo di revisione e, ciò nonostante, l’ontologica diversità giuridica delle stesse. Pochi dubbi, difatti, paiono esservi in merito al fatto che, mentre l’azione di responsabilità esercitabile nei confronti dei revisori da parte della società va considerata di natura contrattuale, diversamente l’azione risarcitoria esercitabile da parte dei soci e dei terzi va inquadrata nell’ambito della responsabilità di tipo aquiliano, alla pari di quanto accade, rispettivamente, nelle ipotesi di responsabilità esercitate ex articoli 2393 e 2395, cod. civ. (applicabili anche ai sindaci in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 2407, cod. civ., tanto nella sua versione previgente quanto nella sua versione appena novellata)[4].

Senonché il comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, di nuovo senza operare alcuna distinzione tra le diverse fattispecie di responsabilità, individua un unico dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale dei diritti risarcitori ad esse riferiti, stabilendo che: “L’azione di risarcimento nei confronti dei responsabili ai sensi del presente articolo si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento”.

Il termine di decorrenza viene così riferito a una data iniziale fissa, corrispondente a quella della ultima relazione redatta dal revisore in relazione all’attività a cui si riferisce l’azione. Data fissa che, quindi, prescinde dalla conoscibilità del danno da parte dei potenziali legittimati attivi dell’azione e che, come fatto notare da alcuni, probabilmente è frutto di un ripensamento dell’ultimo minuto[5].

Ebbene, proprio tale precetto ha portato all’insorgere di notevoli dubbi interpretativi tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, poi sfociati, di recente, nella rimessione della questione alla Consulta[6], per la valutazione di legittimità costituzionale della norma rispetto agli articoli 3 e 24, Costituzione.

 

Il tentativo esegetico di ricondurre la norma al paradigma della conoscibilità del danno

Invero, già prima della rimessione alla Consulta della questione, una parte della dottrina aveva ampiamente censurato il termine di decorrenza prescrizionale previsto dal comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, ritenendo che esso introducesse un non condivisibile né giustificabile “disallineamento con i termini di prescrizione degli organi di amministrazione e controllo” destinato a una sicura: “bocciatura del Giudice delle leggi se non si riuscirà a trovare un’interpretazione “costituzionalmente orientata” che uniformi, nella pratica, la diversa formulazione degli artt. 2393, 4º comma, 2395, 2º comma e 15, 3º comma, del decreto in esame[7].

La principale contestazione che veniva mossa al riguardo e che, quindi, spingeva a ricercare soluzioni interpretative alternative, affermava l’esistenza di un differente (e non giustificato) trattamento disposto dal Legislatore per le azioni verso amministratori e sindaci rispetto a quelle pensate per i revisori, dovuto alla diversa decorrenza del dies a quo del termine prescrizionale a fronte della identica durata dello stesso[8]. Secondo questa opinione, infatti, mentre per la prima tipologia di azioni, nonostante l’apparente diverso tenore letterale delle norme di cui agli articoli 2393, comma 4[9] e 2395, comma 2, cod. civ. [10], il termine prescrizionale andrebbe letto in conformità al principio generale di cui all’articolo 2935, cod. civ. (che, come noto, prevede che “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”), per le azioni esercitabili nei confronti del revisore, tale termine decorrerebbe dalla data della relazione di revisione, cioè da un termine fisso, identificabile in un comportamento generativo del danno, ma che è privo di rapporto con il manifestarsi del danno medesimo e che, anzi, potrebbe dar vita a uno iato temporale tale da impedire l’esercizio dell’azione[11]. Una tale diversità di trattamento, poi, non potrebbe trovare giustificazione nel differente atteggiarsi delle rispettive azioni, posta l’identità sostanziale e di ratio sottesa all’esercizio delle stesse.

Ebbene, proprio la difficoltà di giustificare una tale difformità di trattamento e, dunque, in definitiva, di spiegare il motivo per cui le azioni nei confronti dei revisori avrebbero dovuto godere di un regime di maggior favore ai fini della prescrizione rispetto alle regole valevoli per gli altri organi sociali (così consentendo un più ampio utilizzo dell’eccezione in sede giudiziale), aveva fatto sì che una parte della giurisprudenza, onde tentare di offrire una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, avesse fatto proprie le censure sollevate in dottrina aderendo a un’esegesi che faceva applicazione del principio generale di cui all’articolo 2935, cod. civ., anche all’azione di responsabilità verso i revisori e le società di revisione[12], perlomeno tutte le volte in cui il danno fosse maturato o comunque divenuto percepibile in epoca successiva rispetto al deposito della relazione.

 

La rimessione della questione alla Corte Costituzionale da parte del Tribunale di Milano

Pur muovendo dalle medesime premesse circa la non condivisibile, né giustificabile diversità di trattamento operata dal comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, e pur aderendo all’idea secondo cui il termine di decorrenza delle diverse azioni di responsabilità esercitabili nei confronti degli organi sociali decorra dal momento di effettiva conoscibilità del danno, in applicazione del principio generale di cui all’articolo 2935, cod. civ., il Tribunale di Milano, con ordinanza n. 2357/2023, è giunto alla diversa conclusione secondo cui detta norma, non può essere affatto interpretata facendo applicazione di tale ultimo principio, poiché in realtà essa si pone in deroga proprio rispetto a esso e non, invece, al regime di cui agli articoli 2393 e ss., cod. civ.[13].

Secondo la ricostruzione operata dal Tribunale meneghino, infatti, l’articolo 15, comma 3, D.Lgs. 39/2010, disciplina sia il momento iniziale di decorrenza, sia il termine di prescrizione dei diritti risarcitori esercitabili verso i revisori, sicché non sarebbe possibile, con riferimento a tali 2 aspetti, fare ricorso a ragionamenti di tipo analogico, non rinvenendosi lacune normative in merito. Ciò posto, detta lex specialis non sarebbe tale rispetto alle disposizioni speciali previste dalla disciplina societaria (articoli 2393 e ss., cod. civ.), ma direttamente rispetto alle corrispondenti norme di disciplina generale, cioè, quanto alla durata del termine, all’articolo 2946, cod. civ. – con riferimento all’azione contrattuale esperibile dalla società verso il revisore – e, quanto alla decorrenza del termine, all’articolo 2935, cod. civ.. Da ciò discenderebbe, nel percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Milano, l’impossibilità di seguire la via dell’interpretazione analogica e costituzionalmente adeguatrice e, dunque, l’oggettiva differenza di disciplina dettata per queste azioni rispetto a quelle regolanti la responsabilità degli organi di amministrazione e controllo. A questo proposito va, peraltro, evidenziato l’ulteriore pilastro su cui si è fondato l’iter argomentativo che ha portato il Tribunale di Milano a ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma de qua. Anche quest’ultimo, infatti, ha condiviso l’idea che le norme che stabiliscono, in materia societaria, il regime della prescrizione dei diritti risarcitori verso gli amministratori e i sindaci non derogano alle norme generali in materia di decorrenza del termine prescrizionale, poiché per ius receptum il dies a quo di ciascuna di esse va rinvenuto nel momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno[14], sicché esse possono costituire il tertium comparationis rispetto a cui commisurare la ragionevolezza della decorrenza del termine prescrizionale dettato dal comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010.

La conseguenza di tale impostazione è la pretesa violazione degli articoli 3 e 24, Costituzione. Quanto alla asserita violazione della prima delle 2 norme (espressione del principio di uguaglianza), secondo il Tribunale rimettente, per un verso, il comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010 genera un’irragionevole disparità di trattamento rispetto al dies a quo del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria nei confronti degli organi di amministrazione e controllo delle Spa, il quale decorre solo dal momento in cui il diritto può essere fatto valere e, per altro verso, presenta un profilo di irragionevolezza intrinseca, atteso che il termine decorre quando il danneggiato non può ancora esercitare il proprio diritto risarcitorio, non essendo a conoscenza del danno o non essendo ancora sorto tale diritto. Questi stessi profili, poi, inciderebbero anche sulla violazione del diritto di difesa, cui l’articolo 24, Costituzione, poiché, sempre secondo il Tribunale rimettente, la previsione normativa di cui al comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, renderebbe più difficoltoso l’esercizio dell’azione risarcitoria, proprio perché farebbe decorrere il termine di prescrizione da un momento antecedente rispetto alla produzione del danno risarcibile e prima ancora che esso diventi effettivamente conoscibile.

 

La soluzione “dicotomica” adottata dalla Consulta

La questione è stata decisa dalla Consulta con sentenza n. 115/2024, con la quale, del tutto inaspettatamente[15], è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale tanto con riferimento all’articolo 3, Costituzione, sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, quanto con riferimento agli articoli 3 e 24, Costituzione, sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza e della violazione del diritto di difesa, seppur con riferimento a questi ultimi aspetti “nei sensi di cui in motivazione” e, dunque, attraverso una pronuncia interpretativa di rigetto[16].

Quanto all’asserita violazione dell’articolo 3, Costituzione, come precisato nel precedente paragrafo, il perno principale del ragionamento svolto dal Tribunale rimettente faceva leva sull’assunto secondo il quale tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli organi di amministrazione e controllo dettate dagli articoli 2393 e ss., cod. civ., non costituirebbero affatto eccezione rispetto ai principi generali dettati in materia di prescrizione, ma al contrario sarebbero governate dagli stessi. Questo perché anche il dies a quo del termine prescrizionale di cui agli articoli 2393, comma 4, e 2395, cod. civ., andrebbe pur sempre interpretato alla luce del disposto dell’articolo 2935, cod. civ..

Ebbene la Corte Costituzionale ha disatteso questa tesi e nega la sussistenza di un “diritto vivente[17] che ravvede il dies a quo di tutte le azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci nella conoscibilità o nella conoscenza del danno[18], escludendo di conseguenza che detto momento di decorrenza possa rappresentare un tertium comparationis ai fini del giudizio di disparità di trattamento del termine prescrizionale dettato dal comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010.

Quanto, invece, alla pretesa irragionevolezza intrinseca della norma e alla violazione del diritto di difesa, la Consulta ha analizzato separatamente l’azione esercitabile da parte della società che ha conferito l’incarico di revisione rispetto a quella che può essere fatta valere dai soci o dai terzi, giungendo a 2 conclusioni recisamente opposte.

Nel primo caso, si afferma, si tratta di azione contrattuale ove l’illecito nei confronti della società si compie con l’inadempimento da parte del revisore, sicché il momento del deposito della relazione integra l’illecito contrattuale, che è già produttivo di danni nei confronti della società, poiché l’inadempimento genera immediatamente un danno, costituito dalla perdita economica correlata al valore (minore o nullo) della prestazione inesattamente eseguita, qual è la revisione inesatta e scorretta. Sicché la tutela del danneggiato, secondo la Consulta, pur essendo minima, è ugualmente accettabile e, dunque, la norma non può essere tacciata di irragionevolezza intrinseca né produce una violazione del diritto di difesa.

Evidente è, però, che quello a cui si riferisce la Corte è un danno diverso rispetto a quello che può derivare, quale effetto dell’inadempimento del revisore, dalla diminuzione o dall’azzeramento patrimoniale della società, evento che, per l’appunto, a quella data potrebbe non essersi ancora verificato o non essere conosciuto (come accade, ad esempio, nei casi in cui a causa dell’occultamento della reale situazione si prosegue l’attività incrementando il passivo). Sicché è vero che un danno già si verifica al momento del rilascio della relazione (ossia quello derivante dall’inadempimento della prestazione da parte del revisore e rappresentato dal corrispettivo a questi pagato per lo svolgimento dell’incarico), ma è parimenti vero che non è quello il danno per cui viene accordata la tutela dalla norma (non essendovi necessità alcuna di introdurre nel sistema una norma speciale per disciplinare un semplice inadempimento contrattuale) e che detto danno potrebbe agevolmente non essere conosciuto a quella data[19]. E ciò è ben chiaro alla Consulta[20], la quale, infatti, nel tentativo di mitigare il rischio che la condotta del revisore possa rendere occulti i danni cagionati alla società per il tempo in cui quest’ultima avrebbe diritto a farli valere, afferma che in tali casi può trovare applicazione la causa di sospensione di cui all’articolo 2941, comma 1, n. 8, cod. civ.[21], rilevando che l’eventuale dolosa omessa segnalazione del carattere non veritiero e non corretto di tale rappresentazione vada considerata equivalente all’aver dolosamente celato il proprio stesso debito.

Ebbene, una siffatta interpretazione, ove accolta dalla giurisprudenza, porterebbe con sé 2 conseguenze di non poco conto sotto il profilo processuale.

La prima è che la società che volesse agire in giudizio contro il revisore, laddove intendesse avvalersi della causa di sospensione per evitare la prescrizione del diritto risarcitorio, dovrebbe dimostrare, oltre che il danno e il nesso causale, anche la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo in capo al revisore. La seconda è che la società non potrebbe avvalersi di detta causa di sospensione, viceversa, in caso di colpa grave, di colpa lieve o di mala fede del revisore.

Un diverso e tutt’altro che scontato ragionamento giuridico ha seguito, invece, la Corte per affermare la legittimità costituzionale del comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, rispetto all’azione risarcitoria (ritenuta di natura extra contrattuale) che può essere fatta valere dai soci e dai terzi, ai sensi del comma 1 della medesima norma. In tal caso, osserva la Consulta, è evidente che nei confronti di questi soggetti il deposito della relazione da parte del revisore identifica una condotta che non è ancora di per sé produttiva di danni[22]. Di conseguenza, il dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoria di soci o di terzi non può essere quello del deposito della relazione, che è antecedente rispetto al momento in cui si possono produrre danni e rispetto al momento in cui, dunque, diventano identificabili i soggetti danneggiati. Sicché, rileva la Corte, l’unico modo per ricondurre la norma di cui al comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, al paradigma della legittimità costituzionale, in linea con il principio di ragionevolezza e con la tutela del danneggiato, è quello di assegnarle un significato più ristretto e, aggiunge chi scrive, un significato non affatto ovvio né aderente ai canoni interpretativi[23].

La Corte Costituzionale giunge, infatti, alla conclusione secondo cui il perimetro di applicazione del dies a quo del comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010 vada circoscritto alle sole azioni con cui la società, che ha conferito l’incarico di revisione fa valere il danno conseguente al’erronea o inesatta revisione, mentre per l’illecito nei confronti dei soci e dei terzi, la responsabilità sarebbe retta dalle regole di cui all’articolo 2947, cod. civ., che, quanto al dies a quo, assicura che il termine di prescrizione non possa iniziare a decorrere prima che si sia compiuto il fatto illecito e prima che si siano prodotti danni[24]. Il che, detto in altri termini, equivale a dire che la norma di cui al comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, è costituzionalmente legittima solo ove la si interpreti nel senso che il termine di decorrenza prescrizionale ivi contenuto è riferito esclusivamente alle azioni risarcitorie esercitabili nei confronti del revisore da parte della società per cui viene prestata l’attività di revisione, alle quali sarà applicabile, in caso di dolosa condotta di quest’ultimo, la causa di sospensione di cui all’articolo 2941, comma 1, n. 8, cod. civ.. Viceversa, le azioni di responsabilità esercitate da parte dei soci e dei terzi vengono escluse dall’ambito di applicabilità della norma de qua, per essere regolate secondo i principi generali previsti per la responsabilità extra contrattuale dall’articolo 2947, cod. civ., non essendo, peraltro, neppure chiaro se nel concetto di “terzi” possano rientrare anche i creditori sociali[25].

Una soluzione, quindi, che pare essere più il frutto della necessità di preservare la di cui comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, accontentando i portatori dei vari interessi coinvolti, che il risultato dell’analisi della reale portata della stessa, ove si consideri anche che la giurisprudenza che si era occupata sino a oggi della questione aveva inteso attribuire a detto precetto una portata onnicomprensiva e nient’affatto limitata alla sola azione di tipo contrattuale[26]. E infatti, non a caso, la Corte ha affermato le legittimità “nei sensi di cui in motivazione”, ossia attraverso il ricorso a una sentenza interpretativa di rigetto[27], un tipo di decisione che viene utilizzato tutte le volte in cui occorre dare alla disposizione una esegesi tale da “salvarla” dall’incostituzionalità. In questi casi la Corte si pronuncia non sulla disposizione esaminata per come interpretata dal giudice a quo ma, per l’appunto, attribuendole un significato differente che essa ritiene sia contenuto nella disposizione stessa[28].

 

I possibili riflessi applicativi della lettura costituzionalmente orientata della norma

A ogni buon conto, volendo avere riguardo esclusivamente al profilo del risultato ottenuto, la lettura costituzionalmente orientata così resa dalla Consulta potrebbe avere l’effetto di sopire ogni ulteriore querelle sul perimetro di applicazione della norma de qua, avendo fornito agli interpreti un duplice paradigma esegetico sulla base del quale operare e che distingue le soluzioni a seconda della natura dell’azione da esercitare. Al riguardo va, peraltro, osservato che la pronuncia mantiene integra la sua importanza esegetica anche la proposta di modifica dell’articolo 15, D.Lgs. 39/2010[29], posto che il testo di detto disegno di legge lascia invariato l’attuale comma 3, dedicato al dies a quo che regola la prescrizione, esattamente nella versione già sottoposta al vaglio della Consulta.

Allo stesso modo, poi, i principi espressi dalla pronuncia della Corte Costituzionale dovrebbero costituire i parametri di cui tener conto nella costruzione delle norme afferenti alle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali (interni ed esterni). Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo poiché occorrerà vedere, per un verso, se la giurisprudenza recepirà o meno le indicazioni interpretative fornite dalla Consulta e, per altro verso, soprattutto, se il Legislatore farà propri i principi espressi da quest’ultima nella futura produzione legislativa. A quest’ultimo quesito, invero, pare doversi già dare una prima risposta negativa. Infatti, a distanza di soli pochi mesi dalla pronuncia de qua, stato approvato dal Parlamento un disegno di Legge di modifica dell’articolo 2407, cod. civ., che pare non tenere affatto conto dei risultati esegetici emersi dalla stessa.

Il testo della nuova norma, divenuta Legge dello Stato (L. 35/2025) ed entrata in vigore lo scorso 12 aprile prevede, inter alia, l’inserimento di un nuovo comma 4 nell’articolo 2407, cod. civ. che mira a regolamentare la decorrenza del termine di prescrizione[30] relativo alle azioni di responsabilità esperibili nei confronti dei componenti del collegio sindacale. La formulazione di detto comma stabilisce che “L’azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all’articolo 2429 concernente l’esercizio in cui si è verificato il danno”, così indicando (di nuovo) un termine fisso di decorrenza del termine prescrizionale, quale è per l’appunto quello in cui l’organo di controllo deposita (non è chiaro se presso la sede sociale o nel Registro Imprese in sede di deposito del bilancio) la propria relazione sul bilancio relativo all’esercizio sociale in cui si è “verificato” il danno di cui si richiede il ristoro. Ebbene, considerato che il nuovo testo della norma:

  1. continua a disciplinare la responsabilità dei sindaci;
  2. seguita ad affermare che “All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395”; e che
  3. nel novello comma 4, non opera alcuna delimitazione dell’ambito di applicazione del termine di prescrizione rispetto alle diverse fattispecie di azioni risarcitorie esercitabili;

vi è più di qualche motivo per ritenere che detto comma 4, stante il suo tenore letterale, introduca un unico dies a quo riferibile all’esercizio di tutte le varie azioni di responsabilità esperibili nei confronti dei sindaci, ex articoli 2393, 2394 e 2395, cod. civ.. Ma se così è, ecco che di nuovo il Legislatore introduce un disallineamento rispetto ai termini di prescrizione previsti per gli organi di amministrazione e, soprattutto, determina un arretramento della soglia normativa della tutela posta dall’articolo 2947, cod. civ., per le azioni (extra contrattuali)[31] dei soci e dei terzi, analogo a quello già censurato dalla Consulta. Sicché la previsione de qua rischia di prestare il fianco alle medesime eccezioni già sollevate con riguardo al termine fisso di cui al comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2020. Il tutto, peraltro, senza considerare che, nel caso dei sindaci, vi è un ulteriore elemento di criticità da prendere in considerazione. Come è stato correttamente osservato[32], l’arretramento di tutela del soggetto danneggiato, infatti, si avrebbe anche con riferimento all’azione esperibile da parte dei creditori sociali, atteso che questa, secondo l’interpretazione della giurisprudenza prevalente[33], può essere esercitata solo allorquando l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i crediti si manifesta all’esterno, diventando percepibile, ossia in un momento sicuramente successivo rispetto a quello del deposito della relazione ex articolo 2429, cod. civ..

Né pare che possa giungersi a una differente esegesi del testo (che ponga la nuova norma al riparo da censure di incostituzionalità) valorizzando, come pure da parte di alcuni prospettato[34], il diverso tenore letterale del nuovo comma 4, articolo 2407, cod. civ.. Se è vero, infatti, che tale norma, a differenza del testo di cui al comma 3, articolo 15, D.Lgs. 39/2010, contiene un espresso riferimento al momento del “verificarsi” del danno, è parimenti vero che da ciò non è possibile desumere tout court che detto lemma vada necessariamente inteso non come riferito al momento della produzione del danno, ma a quello della sua esteriorizzazione e, dunque, del suo manifestarsi. Peraltro, può accadere che il danno si riveli ben dopo il momento il suo verificarsi e che in detto momento risulti essere in carica un diverso soggetto rispetto a quello che lo era all’epoca della sua produzione, sicché laddove si intendesse il sintagma “cinque anni dal deposito della relazione […] concernente l’esercizio in cui si è verificato il danno” come se dicesse “cinque anni dal deposito della relazione concernente l’esercizio in cui si è manifestato il danno”, si avrebbe il singolare effetto di far decorrere il termine prescrizionale da un momento che non presenta collegamento alcuno con il soggetto ritenuto responsabile dello stesso. Non pare, peraltro, che la norma sia stata realmente pensata per collegare la decorrenza del termine di prescrizione all’effettiva esteriorizzazione del danno, ma semmai il contrario, atteso che nel testo della proposta di legge[35] (presentata, peraltro, in data antecedente rispetto anche alla rimessione alla Consulta della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 3, D.Lgs. 39/2010) viene detto a chiare lettere che l’intervento legislativo è finalizzato a uniformare il regime della prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata contro i sindaci a quello previsto per l’organo di revisione ai sensi dell’articolo 15, comma 3, D.Lgs. 39/2010.

Non a caso, infatti, come già rilevato, la modifica dell’articolo 15, D.Lgs. 39/2010, che estende anche ai revisori le limitazioni di responsabilità introdotte dal novellato articolo 2407, cod. civ., per i componenti del collegio sindacale, mantiene inalterata la attuale previsione riferita alla decorrenza del termine prescrizionale, il quale rimane legato alla “data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento”, così confermando il testo normativo nella versione già al vaglio della Consulta.

A ben vedere, quindi, vi sono tutti gli estremi perché la storia possa ripetersi anche con riguardo al nuovo termine prescrizionale di cui al novellato articolo 2407, cod. civ.. Di nuovo, dunque, è lecito attendersi un intervento esegetico “di adeguamento” da parte della giurisprudenza[36].

[1] Sul punto Tribunale Milano n. 2068/2020, secondo cui “costituisce lex specialis (di indubbio favore) che esclude l’applicabilità in via analogica delle regole dettate per l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci con i quali pure il revisore sia chiamato “in correità”; e che ricomprende indistintamente tutte le azioni risarcitorie, di qualunque natura, esperibili ai sensi del medesimo art. 15 contro il revisore dalla società revisionata come anche dai soci di questa e dai terzi in genere”.

[2] Sul punto va osservato, infatti, che la disposizione non contempla espressamente i creditori tra i soggetti legittimati attivi all’esercizio dei diritti risarcitori, a differenza di quanto accade in tema di responsabilità degli organi di amministrazione e controllo, ove l’articolo 2394, cod. civ., consente ai creditori sociali di agire in caso di insufficienza patrimoniale della società. Tuttavia, non è chiaro se una tale categoria di soggetti possa essere fatta rientrare nella definizione di “terzi” prevista dalla norma dell’articolo 15, D.Lgs. 39/2010.

[3] Come noto, infatti, 1. l’azione sociale di responsabilità trova la propria disciplina nell’articolo 2393, cod. civ., che al comma 4 prevede che l’azione può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica; 2. mentre l’azione esercitabile dai creditori sociali è disciplinata dall’articolo 2394, cod. civ., il quale stabilisce che questa può essere proposta quando il patrimonio sociale risulta insufficiente; e 3. l’azione dei soci e dei terzi dall’articolo 2395, cod. civ., secondo cui questa può essere esercitata entro 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo. Sull’interpretazione di tali termini di decorrenza, tuttavia, si vedano infra nt. 9 e 10.

[4] Sulla natura dell’azione ex articolo 2395, cod. civ. cfr. Cassazione n. 8359/2007, secondo cui “La responsabilità prevista dall’art. 2395 c.c., per la cui ricorrenza non rileva che il danno sia stato arrecato al socio o al terzo dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ha natura extracontrattuale, costituendo un’applicazione dell’ipotesi disciplinata dall’art. 2043 c.c.”. In senso sostanzialmente conforme cfr. Cassazione n. 15822/2019, n. 17794/2015, n. 8458/2014, n. 6870/2010, n. 21130/2008 e n. 2251/1998. Nella giurisprudenza di merito: Tribunale Bari n. 4051/2022, Tribunale Bologna n. 884/2021, Tribunale Latina n. 2071/2019, Tribunale Torino n. 2509/2019 e Tribunale Roma n. 20164/2018.

[5] M. Spiotta, “La responsabilità civile del revisore legale in base all’art. 15 del d.lgs. 39/2010”, in Giur. comm., 2012, pag. 711, la quale fa notare che nella Relazione illustrativa “il giorno di partenza viene ancora individuato nella data di cessazione dell’incarico”.

[6] Ordinanza del Tribunale di Milano n. 2357/2023.

[7] Così M. Spiotta, “La responsabilità civile del revisore legale in base all’art. 15 del d.lgs. 39/2010”, cit., pag. 711; sul punto anche Assonime, circolare n. 16/2010; P. Giudici, “La nuova disciplina della revisione legale”, in Società, 2010, 540. Nello stesso senso, si veda anche G. M. Buta, “Art. 15 del d.lgs. 39/2010”, in Le società per azioni, a cura di P. Abbadessa e G. B. Portale, 2016, pag. 1834, secondo cui “Se la nuova disposizione sulla prescrizione consente di accorciare, a vantaggio del revisore negligente, l’arco di tempo a disposizione del danneggiato per promuovere l’azione, perché la prescrizione decorre dalla singola relazione di revisione contestata, per contro, potrebbero riproporsi questioni di legittimità costituzionale della norma che – in maniera forse più evidente rispetto a quanto disponeva l’art. 2409 sexies c.c. – crea un’ingiustificata disparità di trattamento nella responsabilità dei revisori da un lato, e amministratori e sindaci dall’altro”.

[8] Mette conto rammentare che alla pari delle azioni verso i revisori, anche tutte le azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci si prescrivono in cinque anni, in forza delle previsioni di cui agli articoli 2393, comma 4, 2949, comma 2, 2395, comma 2, e 2407, cod. civ..

[9] Aderiscono alla tesi che riconosce alla previsione di cui all’articolo 2393, comma 4, cod. civ., non carattere di deroga al regime generale di prescrizione, ma precetto da interpretarsi in ossequio alla regola di decorrenza di cui all’articolo 2935, cod. civ., identificando il dies a quo in quello in cui la società può rappresentarsi il danno ricevuto: S. Ambrosini, “La responsabilità degli amministratori”, in Abriani-Ambrosini-Cagnasso-Montalenti, Le società per azioni, Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, 2010, pag. 658; A. Picciau, “Artt. 2393, 2393 bis, 2394 bis”, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, a cura di Ghezzi, 2005, pag. 592. Contrari a questa tesi sono, invece, F. Vassalli, “Art. 2393, Società di capitali. Commentario”, a cura di Niccolini-Stagno D’Alcontres, 2004, pag. 690; L. Calvosa, “La prescrizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci di società per azioni”, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber Amicorum Pietro Abbadessa, 2014, pag. 945.

[10] Favorevoli all’idea che anche il termine di cui al comma 2, articolo 2395, cod. civ., decorra dal momento del compimento dell’atto illecito solo nel caso in cui il relativo danno sia immediatamente manifesto, mentre che esso decorra dal momento della conoscibilità del pregiudizio nell’ipotesi di danni lungolatenti: S. Ambrosini, “La responsabilità degli amministratori”, cit. pag. 658; G. M. Zamperetti, “Art. 2395 c.c.”, in Il nuovo diritto societario. Commentario, diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, 2004, pag. 833; A. Audino, “Art. 2395 c.c.”, in Commentario breve al diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, 2016, pag. 859, il quale osserva che “L’idea di far decorrere la prescrizione da un momento in cui l’effetto lesivo potrebbe non essersi ancora verificato o non essere obiettivamente conoscibile appare del tutto insoddisfacente in relazione al principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost. (..) e potrebbe sollevare dubbi di legittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza in riferimento alla diversa decorrenza della prescrizione per le altre ipotesi di illecito”; pur non aderendo a questa idea, ma in senso critico verso una lettura della norma che faccia decorrere il termine dal compimento dell’atto A. Silvestrini, “Art. 2395 c.c.”, in La riforma della società. Commentario, a cura di Sandulli-Santoro, II, 2003, pag. 510. Contra A. De Nicola, “Art. 2395 c.c.”, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, a cura di Ghezzi, 2005, pag. 661; L. Sambucci, “Art. 2395 c.c.”, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini-Stagno D’alcontres, 2004, 720.

[11] G. Bilò, “La responsabilità del revisore legale”, in Crisi d’impresa e responsabilità nelle società di capitali, a cura di L. Balestra e M. Martino, Milano, 2022, pag. 270 secondo cui “L’esperienza insegna (…) come le irregolarità contabili possano emergere anche molto tempo dopo l’espletamento dell’incarico da parte della società di audit, specie quando la relazione sia volta ad occultare, piuttosto che a segnalare, le criticità riscontrate. In tali casi, seguendo le indicazioni della dottrina in relazione all’analogo termine fissato dall’art. 2393, comma 4, c.c., non può escludersi la prova, da parte del curatore o del commissario, del diverso momento di manifestazione del danno, ove successivo a quello individuato dal legislatore. A ritener diversamente, infatti, i soggetti incaricati della revisione legale finirebbero con l’andare esenti da responsabilità, per inutile decorso del termine quinquennale, proprio nei casi in cui la ritardata manifestazione del danno sia da imputare ad un loro concorso nell’occultamento della condizione di decozione dell’impresa”.

[12] Con la sentenza n. 46/2021, il Tribunale di Palermo ha, infatti, affermato che “Nell’azione sociale di responsabilità promossa contro gli incaricati della revisione legale dei conti, il dies a quo del quinquennio di prescrizione coincide con la data della relazione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce il danno, solo ove il pregiudizio emerga e si esteriorizzi come fatto imputabile alla condotta dei responsabili in epoca antecedente o concomitante a tale data”.

[13] Sul punto M. Spiotta, “Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem”, in Le Società, 8-9, 2024, pag. 936, la quale rileva come si tratti dello “stesso foro che, pochi mesi prima, aveva difeso la scelta del Legislatore sottolineando che “la specificità della materia del controllo esterno da parte del revisore giustifica la scelta […] di discostarsi dal principio generale ex art. 2935 c.c.” con la sentenza n. 1290/2023.

[14] Sul punto la Corte meneghina richiama Cassazione n. 12666/2003, n. 10493/2006, n. 19022/2007 e n. 5504/2012.

[15] M. Spiotta, “Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem”, cit., pag. 937, la quale osserva che “Il decisum della Corte Costituzionale è stato (almeno in parte) diverso da quello che molti Studiosi probabilmente si aspettavano in quanto, per fortuna o per sfortuna (a seconda che ci si cali nel ruolo di convenuto o di attore), la stessa ha bocciato la tesi dell’incostituzionalità e “promosso” (anche se non a pieni voti) la norma”.

[16] Al riguardo va, infatti, osservato che la dichiarazione di infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento all’articolo 3, Costituzione, sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza, e all’articolo 24, Costituzione, sono state assunte “nei sensi di cui in motivazione”, ossia con la tipica formula che viene adottata dalla Consulta per le sentenze interpretative di rigetto.

[17] L’espressione “diritto vivente” è stata utilizzata per la prima volta dalla Consulta nella sentenza n. 276/1974, ove questo viene definito come “il “sistema giurisprudenziale” formatosi, nel difetto di espresse disposizioni”.

[18] La Consulta rileva al riguardo che “E, tuttavia, a sostegno del presupposto interpretativo che assume, l’ordinanza menziona pronunce della Corte di cassazione sulla decorrenza del termine di prescrizione dalla oggettiva conoscibilità del danno, che, a ben vedere, riguardano fattispecie estranee al contesto delle azioni societarie (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 5 aprile 2012, n. 5504; sezione lavoro, sentenza 11 settembre 2007, n. 19022; sezione terza civile, sentenza 8 maggio 2006, n. 10493, sezione lavoro, sentenza 29 agosto 2003, n. 12666)”.

[19] Sul punto B. Ciliberti – S. Legnani, “La Corte costituzionale sulla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti del revisore legale”, in IUS Societario, 3 dicembre 2024, secondo cui “non può essere condivisa l’idea – sottesa al medesimo ragionamento svolto dalla Consulta – secondo cui, al momento del deposito della relazione del revisore, la società sia già in condizione di esperire l’azione risarcitoria nei suoi confronti (anche a motivo della già presente conoscibilità del danno, evidentemente). Ebbene, in concreto, nella maggior parte dei casi potrebbe non essere così, atteso che il danno dovrebbe essere conosciuto (e l’azione nei confronti del revisore promossa) dalla società in persona degli amministratori, i quali, tuttavia, sono proprio coloro che hanno verosimilmente concorso con lo stesso revisore legale nella condotta illecita pregiudizievole per la società”.

[20] La Corte Costituzionale, infatti, non a caso prosegue il proprio ragionamento rilevando che “benché la posizione del danneggiato risulti certamente meno protetta di quanto lo sarebbe se la prescrizione decorresse dalla oggettiva conoscibilità di tutti i danni cagionati, nonché della loro derivazione causale dall’inadempimento, nondimeno, nel bilanciamento di interessi con la posizione particolarmente svantaggiata del revisore e con le esigenze di certezza del diritto, non è manifestamente irragionevole che il legislatore abbia adottato un termine che si colloca a un livello di tutela minima del danneggiato, essendo quest’ultimo favorito dalla responsabilità solidale del revisore”.

[21] Secondo il quale “la prescrizione rimane sospesa […] tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto”.

[22] Al riguardo la Consulta osserva che “i soci e i terzi, in tanto possono agire nei confronti del revisore, coobbligato in solido con l’amministratore, in quanto dimostrino: che sia stata effettuata, dolosamente o colposamente, una revisione erronea o incompleta; che la revisione abbia ingenerato un affidamento sulla attendibilità di quanto da essa erroneamente attestato, dando un contributo causale al compimento da parte di soci e di terzi di scelte per loro stessi pregiudizievoli (il che delimita necessariamente nel tempo le revisioni suscettibili di aver concorso al pregiudizio); che da ciò derivino i danni di cui soci e terzi domandano il ristoro”.

[23] In questo senso anche B. Ciliberti – S. Legnani, “La Corte costituzionale sulla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti del revisore legale, i quali a tal riguardo osservano correttamente che la limitazione dell’alveo applicativo della norma di cui all’art. 15 del d. lgs. 39/2010 “realizzata mediante una sentenza interpretativa di rigetto, non appare invero rispettosa dei limiti stessi nei quali deve essere contenuta l’interpretazione giuridica, anche nella particolare specie della interpretazione secundum constitutionem: come è noto, infatti “una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (…), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (principio affermato da Corte cost., 22 ottobre 1996, n. 356 e più volte ribadito). Ebbene, il tenore letterale della norma in commento non permette di distinguere tra la disciplina applicabile alle azioni promosse nei confronti dei revisori legali dalla società e quella applicabile alle azioni promosse dai singoli soci o terzi danneggiati (come osservato anche dalla stessa giurisprudenza che si era pronunciata sul punto: cfr. Trib. Milano, Sez. spec. Impresa, 9 marzo 2020, n. 2068): al contrario, essa si rivolge indiscutibilmente, in modo unitario, a tutte le azioni contemplate dall’art. 15 d.lgs. n. 39/2010””.

[24] Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza la disposizione di cui all’articolo 2947, cod. civ. (che prevede che “Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato”) va interpretata nel senso che il “fatto” ivi indicato vada inteso non come riferito alla semplice azione o omissione del soggetto, ma a tutto l’evento lesivo, comprensivo anche del verificarsi del danno. Sul punto ex multis Cassazione n. 13/1993.

[25] M. Spiotta, “Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem”, cit., pag. 939, rileva che “il vero punctum dolens – abilmente bypassato dalla Consulta, ma che non sarà sfuggito all’attento Lettore – concerne i creditori sociali: nel silenzio dell’art. 15, D.Lgs. n. 39/2010, si discute se possano solo esercitare in via surrogatoria l’azione spettante alla società o se siano legittimati ad agire autonomamente in responsabilità contro i revisori e, in quest’ultimo caso, se ai sensi di un’azione riconducibile all’art. 2394 c.c. (per danno riflesso) o all’art. 2395 c.c. (per danno diretto) in quanto sussumibili nella categoria dei “terzi””.

[26] Così Tribunale Milano, 9 marzo 2020, n. 2068; Tribunale Milano, 20 febbraio 2023, n. 1290; Tribunale di Palermo, 8 gennaio 2021, n. 46.

[27] Sul punto A. De Domenico, “Azione di responsabilità nei confronti del revisore: dies a quo del termine di prescrizione (alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 1° luglio 2024 n. 115)”, in Ristrutturazioni aziendali, 10 febbraio 2025, p. 7, la quale osserva che “Trattasi più che di ‘rigetto’, di sentenza “interpretativa di rigetto”, in cui la Corte Costituzionale implicitamente riconosce che la norma scrutinata non garantisce un equo contemperamento degli interessi e che, se interpretata alla lettera, sacrifica il diritto del danneggiato sull’altare dell’esigenza di non esporre il revisore, sine die, alla spada di Damocle di una iniziativa giudiziaria”. Nello stesso senso anche M. Spiotta, “Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem”, cit., pag. 938.

[28] Così D. Diaco, “Le tipologie decisorie della Corte costituzionale attraverso gli scritti della dottrina”, in Corte Costituzionale – Quaderno processuale del Servizio Studi, Tecniche decisorie e tipologie di decisioni della Corte costituzionale, 2016, pag. 17, il quale rileva al riguardo che “È di tutta evidenza che tale potere interpretativo della Corte coesiste con quello esercitato dai giudici comuni ai sensi dell’articolo 101, secondo comma, della Costituzione per l’applicazione delle leggi al caso concreto, con la conseguente necessità che si instauri tra la Corte e gli altri giudici un dialogo leale e proficuo”.

[29] Disegno di legge 1426 presentato in data 19 marzo 2025.

[30] Stante la espressa qualificazione del termine come prescrizionale è da escludersi che possa trattarsi di decadenza, considerando anche che tale ultimo istituto costituisce un’ipotesi di carattere eccezionale. Sul punto F. Rosselli, “Decadenza”, in Enciclopedia Giuridica, 1988, p. 3.

[31] In favore della tesi che riconosce natura aquiliana all’azione di cui all’articolo 2395, cod. civ. cfr. nt. 4.

[32] M. Spiotta, “Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem”, cit., pag. 941; A. De Domenico, “Azione di responsabilità nei confronti del revisore: dies a quo del termine di prescrizione (alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 1° luglio 2024 n. 115)”, pag. 9.

[33] Così ex pluribus, Cassazione n. 23052/2023, n. 3552/2023, n. 5795/2021, n. 24715/2015 e n. 9815/2002.

[34] M. Spiotta, “Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem”, cit., pag. 941, secondo cui “L’esplicito riferimento al verificarsi (rectius, “manifestarsi”) del danno offre il destro per spostare in avanti il dies a quo sulla falsariga dell’iter argomentativo tradizionalmente utilizzato per offrire un’esegesi dell’art. 2395 c.c. coerente con (l’art. 2947 c.c. e) il principio generale sancito dall’art. 2935 c.c.”.

[35] Proposta di Legge 1276 presentata alla Camera dei deputati in data 4 luglio 2023, pag. 4.

[36] Al riguardo, peraltro, deve osservarsi come una prima pronuncia “adeguatrice” sia già stata adottata dal Tribunale di Bari. Quest’ultimo, infatti, con ordinanza n. 1981/2025 ha affermato che i principi espressi dalla Consulta con riferimento al c.d. “doppio binario” dell’articolo 15, comma 3, D.Lgs. 39/2010 possano essere estesi anche alle condotte che saranno regolate dalla nuova previsione in tema di prescrizione di cui all’articolo 2407, cod. civ., rilevando che “per i danni arrecati ai creditori dalle condotte commissive o omissive dei sindaci la decorrenza della prescrizione va fatta pur sempre risalire al momento della possibilità per i terzi di percepire il danno”.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Bilancio, vigilanza e controlli”.