3 Settembre 2014

L’Iva su royalties e diritti di licenza per i beni importati

di Marco Peirolo
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Come evidenziato in un precedente intervento (Il valore in dogana delle royalties e dei diritti di licenza), il Codice doganale comunitario stabilisce che, ai fini della determinazione del valore in dogana dei beni oggetto di importazione, al prezzo effettivamente pagato o da pagare occorre addizionare:

  • ove non già compresi nel prezzo di acquisto;
  • i corrispettivi e i diritti di licenza (royalties) che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare.

Nell’ipotesi in cui le royalties siano da ricomprendere nel valore in dogana delle merci importate, occorre prestare particolare attenzione ai profili IVA.

In linea di principio, infatti, le royalties sono assoggettate a IVA:

  • sia in dogana, in quanto il valore in dogana dei beni importati, assunto ai fini dell’applicazione dei dazi, costituisce anche la base imponibile dell’IVA all’importazione, dato che l’art. 69, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 prevede che “l’imposta è commisurata (…) al valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale (…)”;
  • sia, autonomamente, in capo all’acquirente-licenziatario italiano.

A quest’ultimo riguardo, è dato osservare che, in base all’art. 3, comma 2, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972, costituiscono prestazioni di servizi, se effettuate verso un corrispettivo, “le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne, nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti”.

Nel caso esaminato, in cui l’acquirente-licenziatario italiano sia un soggetto passivo d’imposta, risulta soddisfatto (anche) il presupposto territoriale, di cui all’art. 7-ter, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, sicché le royalties vanno assoggettate ad IVA in Italia:

  • con applicazione del reverse charge, ex art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, da parte dell’acquirente, se il licenziante è un soggetto passivo non stabilito in Italia, ovvero
  • con addebito dell’IVA, in fattura, all’acquirente-licenziatario, se il licenziante è un soggetto passivo stabilito in Italia.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, “allo scopo di evitare che per uno stesso rapporto giuridico si verifichi una duplicazione d’imposta, la scrivente è del parere che le maggiorazioni di cui in premessa non debbano concorrere alla determinazione del valore dei beni importati” (R.M. 14 novembre 1987, n. 505327).

A fondamento di tale conclusione è stato osservato che l’art. 69, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, in conformità all’art. 11, parte B, n. 3), della VI Direttiva (ora art. 86, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE), prevede soltanto, quali elementi aggiuntivi al valore doganale dei beni importati, l’ammontare dei diritti doganali dovuti (esclusa l’IVA) e delle spese d’inoltro (trasporto, assicurazione, commissione, imballaggio) fino al primo luogo di destinazione all’interno del territorio doganale, che risulta dal documento di trasporto che accompagna i beni medesimi.

In giurisprudenza, il profilo della doppia imposizione è stato specificamente esaminato nell’ambito delle decisioni n. 384 del 30 dicembre 2008 e n. 307 del 22 dicembre 2008, entrambe della Commissione Tributaria Provinciale di Milano.

Il problema, nelle fattispecie oggetto di giudizio, si è posto poiché l’IVA dovuta sulle royalties, assolta attraverso il reverse charge anziché, in dogana, all’atto dell’importazione dei beni, è stata recuperata a tassazione senza riconoscerne la detrazione.

Secondo il Collegio, la preminenza del principio di neutralità fiscale esclude l’indebito arricchimento erariale conseguente alla doppia imposizione dei diritti di licenza. Si tratta di una conclusione allineata alla posizione della Corte di Giustizia (sentenza Ecotrade, di cui alle cause C-95/07 e C-96/07 dell’8 maggio 2008), confermata anche dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 35 del 17 dicembre 2013 (§ 3.2), che ha ammesso la detrazione dell’IVA all’importazione liquidata in sede di revisione dell’accertamento doganale.

La questione, in ogni caso, può considerarsi risolta a seguito di una recente pronuncia della giurisprudenza comunitaria (sentenza Equoland, di cui alla causa C-272/13 del 17 luglio 2014), con la quale è stato affermato, al fine di tutelare il principio di neutralità fiscale e, quindi, il divieto di doppia imposizione, che l’IVA all’importazione ha natura di tributo interno e non di diritto di confine. Con la conseguenza che l’intervenuto assolvimento dell’imposta attraverso il sistema del reverse charge impedisce all’Ufficio di assoggettare la stessa operazione ad accertamento doganale per il recupero dell’IVA all’importazione.

In definitiva, in ragione dell’unitarietà dell’IVA (interna e all’importazione), le royalties vanno assoggettate ad imposta una sola volta, cioè o in dogana o in capo all’acquirente-licenziatario, a mezzo di reverse charge o per effetto della rivalsa se, in questa seconda ipotesi, il licenziante è anch’esso italiano.

In base a questa impostazione, risulta “assorbito” anche il dubbio sul trattamento IVA applicabile in caso di applicazione della procedura prevista dall’art. 156-bis del Reg. CEE n. 2954/1993, ossia quando l’importo delle royalties non è conosciuto al momento dell’importazione siccome determinato in funzione delle vendite effettuate in un arco temporale prestabilito.

Nell’ipotesi in esame, rispetto alla quale la norma citata prevede che le Autorità doganali possano autorizzare l’interessato a calcolare le royalties sulla base di “criteri adeguati e specifici”, cioè in via forfetaria, le royalties vanno comunque assoggettate a IVA in dogana in considerazione del fatto che, all’atto dell’importazione, il relativo importo, non essendo noto, non può essere stato assoggettato ad imposta in capo all’acquirente-licenziatario.