Le “mere pretese” e i diritti di credito ancora incerti o illiquidi della società estinta passano agli ex soci. La relativa omessa indicazione nel bilancio di liquidazione non equivale a rinuncia: Cass., SS.UU., n. 19750/2025
di Cosimo ZuccaroElisa FamàStefano MuraroLe Sezioni Unite intervengono nuovamente sul non sopito tema degli effetti della cancellazione della società dal Registro Imprese e, pacifico oramai il fenomeno successorio che l’estinzione della società genera in capo agli ex soci, dirimono il conflitto concernente il perimetro delle posizioni che per effetto dell’estinzione della società si trasmettono de iure agli ex soci, enunciando il seguente Principio di diritto: «l’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal Registro delle Imprese, non comporta anche l’estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci, salvo che il creditore abbia inequivocamente manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore, e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare: a tal fine, non risulta tuttavia sufficiente la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione, la quale non giustifica di per sé la presunzione dell’avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore convenuto in giudizio dall’ex-socio, o nei confronti del quale quest’ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l’onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l’estinzione del credito».
Questo il Principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sent. n. 19750, depositata il 16 luglio 2025, a seguito dell’ord. interlocutoria n. 16477, depositata il 13 giugno 2024.
Nel presente contributo, gli scriventi hanno commentato la suindicata sentenza esponendo, preliminarmente, una sintesi degli orientamenti di legittimità in seno alla Suprema Corte ed evidenziando sia le motivazioni della decisione resa dalle SS.UU., sia alcune sintetiche considerazioni anche relative alle norme che regolano la redazione del bilancio di liquidazione e ai relativi Principi contabili applicabili.
Premessa: la cancellazione di una società di capitali dal Registro Imprese
La cancellazione di una società di capitali dal Registro Imprese – che nella previgente disciplina si riteneva non valesse a provocare l’estinzione dell’ente, qualora non tutti i rapporti giuridici a esso facenti capo fossero stati definiti – è oggi da considerare senz’altro produttiva di quell’effetto estintivo, destinato a operare in coincidenza con la cancellazione.
In proposito, la scomparsa del debitore non estingue il debito, ma innesca un meccanismo successorio nell’ambito del quale le ragioni del creditore sono destinate a essere variamente contemperate con quelle degli eredi. Quando il debitore è un ente collettivo non c’è ragione per ritenere che la sua estinzione (alla quale, a differenza della morte della persona fisica, concorre di regola la sua stessa volontà) non dia ugualmente luogo a un fenomeno di tipo successorio, che coinvolge i soci e che è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali. In particolare, per quanto di interesse in questa sede, anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale viene a determinarsi un analogo meccanismo successorio.
La fattispecie affrontata dalle SS.UU. n. 19750/2025
La società (Gamma S.r.l.), intestataria di un conto corrente presso un istituto di credito e i soci[1] (CG, GA. A.BU e AB), in qualità di fideiussori della correntista, convenne in giudizio la banca[2] innanzi al Tribunale di Napoli per chiedere l’accertamento dell’illegittima applicazione degli interessi sul c/c con conseguente condanna alla restituzione delle somme indebitamente versate a tale titolo.
Con sent. 28 aprile 2017, il Tribunale di Napoli dichiarò la cessata materia del contendere in ordine alle domande presentata dalla società (Gamma S.r.l.), rilevando che la stessa era stata cancellata dal Registro Imprese e ritenendo che in tal modo essa avesse implicitamente rinunciato alla pretesa azionata.
La società (Gamma S.r.l. in liquidazione) propose impugnazione avverso la suindicata sentenza emessa dal Tribunale di Napoli che venne dichiarata inammissibile dalla Corte d’Appello di Napoli che – da quanto si desume dai fatti di causa riportati nella sent. n. 19750/2025, Cass., SS.UU., qui in commento – con sentenza 30 settembre 2020 invece accolse parzialmente il gravame proposto da G.C., in qualità di unico socio di Gamma S.r.l. condannando la banca alla refusione di 456.746,48 euro oltre interessi legali dalla data della domanda, e dichiarando invece assorbita la domanda proposta dai fideiussori.
In proposito, per quanto di interesse in questa sede, si evidenza che la Corte d’Appello di Napoli: «ha escluso che la cancellazione [dal Registro delle Imprese, n.d.A.] avesse comportato l’implicita rinuncia al credito azionato, osservando che a tal fine è necessaria la comunicazione da parte del creditore della volontà di rimettere il debito, anche attraverso un comportamento univoco assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto, e la mancata dichiarazione da parte del debitore di non volerne profittare. Ha aggiunto che, in mancanza di una norma che preveda, in caso di cancellazione intervenuta in corso di causa, la rinuncia al credito, i diritti vantati dalla società estinta, non riportati nel bilancio finale di liquidazione, transitano nella titolarità dei soci, ed ha concluso pertanto che nei diritti della Gamma era subentrato, per successione, il socio unico G.C.»[3].
Avverso tale sentenza propose ricorso per Cassazione la banca e con controricorso resistette G.C., in proprio e in qualità di socio unico della società (Gamma S.r.l.).
Con ord. interlocutoria n. 16477, depositata il 13 giugno 2024, la I Sez. civ., ha rimesso gli atti alla Prima Presidente, che ne ha disposto l’assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione del contrasto di giurisprudenza determinatosi in ordine alla: «configurabilità di una tacita rinuncia ai crediti della società non compresi nel bilancio finale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione dal Registro delle Imprese, con conseguente estinzione della società, in pendenza del giudizio volto a farli accertare».
Sintesi degli orientamenti giurisprudenziali in seno alla Corte di Cassazione.
L’ordinanza interlocutoria suindicata richiama innanzitutto le 2 pronunce delle Sezioni Unite con cui, in riferimento alla disciplina introdotta dalla riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. n. 6/2003, fu enunciato il seguente principio di diritto: «Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle Imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale:
a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato» (cfr. Cass., SS.UU., n. 6070 e 6071/2013).
A tali pronunce ne seguirono altre conformi, le quali ribadirono: «l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle Imprese, ove intervenuta in pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina il trasferimento della corrispondente azione in capo ai soci, atteso che il fenomeno di tipo successorio derivante dalla suddetta vicenda, riguardante esclusivamente gli eventuali rapporti giuridici (afferenti le obbligazioni ancora inadempiute, oppure i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione) non venuti meno a causa di quest’ultima, non si estende alle mere pretese, benché azionate in giudizio, né ai diritti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato con conseguente cessazione della materia del contendere» (cfr. Cass., Sez. I, n. 25974/2015, nel medesimo senso, v. Cass., Sez. I, n. 23269/2016).
Nell’ambito di tale indirizzo, la Prima Sezione Civile rileva che alcune pronunce hanno ravvisato nell’inerzia del liquidatore un elemento idoneo a fondare una presunzione qualificata di rinuncia alle predette pretese, ancorché relative a crediti incerti e illiquidi: «Ponendosi in linea di continuità con l’orientamento giurisprudenziale su richiamato, si deve allora affermare che la società che, parte attrice in un giudizio risarcitorio, volontariamente si cancelli dal Registro delle Imprese, in pendenza di giudizio, quando l’accertamento giudiziale non sia concluso, si presume che abbia tacitamente rinunciato alla pretesa relativa al credito, ancora incerto ed illiquido, per la cui determinazione il liquidatore non si sia attivato, preferendo concludere il procedimento estintivo della società» (cfr. Cass. n. 15782/2016).
Tale assunto (cfr. Cass. n. 15782/2016) non è stato integralmente condiviso dalla giurisprudenza successiva, la quale ha affermato che: «in tema di cancellazione volontaria, l’estinzione della società, ove intervenuta in pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare» (cfr. Cass., Sez. I, n. 9464/2020)[4].
Peraltro, in tema di cancellazione di ufficio, ai sensi dell’art. 2490, ultimo comma, c.c., è stato statuito che: «l’estinzione della società dal Registro delle Imprese non consente di ritenere automaticamente rinunciato il credito controverso (nella specie derivante da un’azione promossa ai sensi dell’art. 2476 c.c.), poiché la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell’art. 1236 c.c., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore» (cfr. Cass., Sez. VI, n. 30075/2020)[5].
Tuttavia, alcune pronunce più recenti hanno ribadito la tesi secondo cui: «l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle Imprese determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale sono trasferiti ai soci esclusivamente le obbligazioni ancora inadempiute ed i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con esclusione, invece, delle mere pretese, ancorché azionabili in giudizio e dei crediti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato, con la conseguenza che gli ex-soci non sono legittimati a farli valere in giudizio» (cfr. Cass., Sez. II, n. 24246/2023; Cass., Sez. III, n. 11411/2024).
Le argomentazioni delle SS.UU. n. 19750/2025
Le Sezioni Unite nella sent. n. 19750/2025, per la risoluzione del contrasto, ribadiscono un punto fermo e delimitano il campo di indagine.
Il punto fermo, comune ai vari orientamenti, è quello rappresentato dal fatto che la cancellazione della società determina un fenomeno successorio, dalla società estinta agli ex soci. Pertanto, l’estinzione della società non comporta l’automatica estinzione dei propri crediti che si trasferiscono agli ex soci.
La delimitazione del campo di indagine è operata in punto di prova. In particolare, le Sezioni Unite muovono dal riconoscimento che le contrastanti ricostruzioni della giurisprudenza di legittimità siano accomunate dal rifiuto dell’automatismo insito nel meccanismo – che inserisce una presunzione juris et de jure – in virtù del quale, per le mere pretese e per i crediti incerti o illiquidi, il mancato inserimento nel bilancio di liquidazione significherebbe estinzione, perché di per sé sufficiente a escluderne la trasmissione ai soci, implicando una rinuncia al relativo diritto. Le Sezioni Unite fanno ulteriore sintesi nell’evidenziare che la differenza tra i 2 orientamenti si gioca sul fatto che mentre per il primo la regola è che il diritto si trasmette ai soci, nonostante la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione, mentre l’estinzione costituisce un’eccezione, che dev’essere rigorosamente allegata e provata da chi intenda farla valere (i.e. la controparte dell’ex socio), secondo le ordinarie regole di ripartizione dell’onere della prova, per il secondo la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione rende applicabile non la (definitiva) estinzione del diritto ma una presunzione (semplice) di estinzione, che pone a carico dell’ex socio che intenda azionare un diritto della società o proseguire un giudizio dalla stessa iniziato l’onere di allegare e provare di essere subentrato nella titolarità del diritto fatto valere.
Le obiezioni addotte dalle Sezioni Unite per contrastare tale ultimo indirizzo sono diverse.
Anzitutto, le Sezioni Unite evidenziano le incertezze applicative relative all’individuazione di quali sarebbero i diritti suscettibili di tal estinzione, conseguenti all’indeterminatezza della distinzione tra i diritti veri e propri e le “mere pretese” o i “diritti litigiosi o illiquidi” o altre simili categorie emergenti dalla terminologia adottata caso per caso.
In secondo luogo, le Sezioni Unite evidenziano la difficoltà d’individuare le modalità con cui le “mere pretese” dovrebbero essere iscritte in bilancio al fine di evitarne l’estinzione e di garantirne la trasmissione ai soci, scongiurandone dunque la presunzione di estinzione. Ma come evidenziano le Sezioni Unite: «Trattandosi di «attività potenziali», cioè di attività connesse a situazioni già presenti alla data di bilancio, la cui esistenza è destinata ad essere confermata soltanto all’avverarsi o meno di uno o più eventi futuri incerti che non ricadono nell’ambito del controllo della società (OIC n. 31, par. 11), le stesse non possono essere rilevate in bilancio, in ossequio al principio della prudenza, in quanto, anche se probabili, possono comportare il riconoscimento di utili che non verranno mai realizzati (OIC n. 31, par. 48)» (cfr. Cass., SS.UU., n. 19750/2025).
Si è inoltre evidenziata la difficoltà a ricondurre l’omissione in bilancio alla disciplina civilistica della rinuncia al credito, che richiede una manifestazione di volontà (o un comportamento univocamente rivolto a tale effetto) specificamente portata a conoscenza del singolo destinatario[6].
Si è infine rimarcato che ricollegare più o meno automaticamente (benché con presunzione “solo” semplice) alla mancata iscrizione in bilancio l’estinzione del credito significa esporre a pregiudizio i creditori sociali, i quali, pur vedendo ridotto il valore patrimoniale complessivamente destinato alla soddisfazione dei loro crediti, in misura pari al valore della pretesa o del credito incerto o illiquido, non hanno alcun mezzo di tutela a fronte della cancellazione della società, né dispongono: «di strumenti di conoscenza in ordine all’esistenza ed all’incasso da parte degli ex-soci, che consentano loro di coltivare le sopravvenienze attive nei confronti dei terzi ed ottenere da questi ultimi o dagli ex-soci i relativi pagamenti» (cfr. Cass., SS.UU., n. 19750/2025).
Sulla scorta di queste considerazioni le Sezioni Unite sono giunte all’emanazione del principio sopra esposto, declarando la successione degli ex soci anche nelle posizioni della società estinta indicate come “mere pretese”, indipendentemente dalla relativa inclusione nel bilancio di liquidazione e senza attribuire un significato all’omessa indicazione delle stesse in bilancio (peraltro a dir poco difficilmente percorribile in base alle norme che regolano la redazione del bilancio e ai Principi contabili applicabili).
Le norme che regolano la redazione del bilancio di liquidazione e ai relativi Principi contabili applicabili
Sul punto si evidenzia altresì che la circostanza secondo cui l’estinzione di una società, conseguente alla cancellazione dal Registro Imprese, non comporti anche l’estinzione dei suoi crediti non iscritti nel “bilancio finale di liquidazione”, così come sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione oggetto del presente contributo, può essere letto anche come conseguenza delle finalità del “bilancio finale di liquidazione”.
In relazione a ciò, preliminarmente, si fa presente che sostanzialmente i primi 2 commi dell’art. 2492, c.c., prevedono che:
a) compiuta la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione dove deve essere indicata la parte spettante a ciascun socio nella divisione dell’attivo;
b) il bilancio, sottoscritto dai liquidatori, deve essere depositato presso l’ufficio del Registro delle Imprese.
Il comma 1 dell’art. 2495, c.c., statuisce altresì che «approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal Registro delle Imprese […]”. mentre l’ultimo comma, dello stesso articolo, afferma che: «[…] ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi […]».
Come correttamente prescrive il vigente Principio contabile OIC 5: «[…] si tratta in sostanza della fase terminale della procedura di liquidazione, che compete ai liquidatori allorquando si è completata la monetizzazione dell’intero patrimonio aziendale e si sono estinti i debiti della società […]».
Nello stesso Principio si ammette comunque che sia possibile riscontrare situazione in cui non tutti gli “asset” sociali siano monetizzati, in particolare viene espressamente previsto che: «[…] l’articolazione dello stato patrimoniale assumerà forma ancor più complessa nel momento in cui alla conclusione del processo liquidatorio sussistessero ancora elementi patrimoniali attivi non realizzati. Tale situazione si può verificare per la presenza di apposita previsione statutaria o di specifica delibera assembleare in base alla quale, al posto dei (o in aggiunta ai) fondi liquidi, sia stabilita l’assegnazione in natura di beni immobili o mobili, o ancora di crediti. In presenza di tali situazioni, ricorrenti nei casi di compagini sociali ristrette e concordi nell’evitare possibili allungamenti dei tempi di liquidazione, ovvero realizzi poco convenienti di determinati beni è chiaro che si pone un delicato problema valutativo che richiederà particolare attenzione da parte dei liquidatori. In proposito, è evidente come tanto per ragioni di uniformità con le logiche valutative della fase di liquidazione vera e propria, quanto al fine di evitare disparità di trattamento tra i soci, il valore corrente di realizzo per stralcio costituisca l’unico criterio a cui far ricorso, nelle relative configurazioni di valore di mercato per i beni mobili ed immobili e di valore di realizzo per i crediti (valore di realizzo)».
Posto quanto sopra, il vigente Principio contabile OIC 5 fa discendere che il “bilancio finale di liquidazione” ha: «[…] una duplice funzione informativa, dimostrativa e di rendicontazione, principalmente rivolta ai soci, in ordine alle modalità di svolgimento delle operazioni gestionali di liquidazione ed ai relativi risultati, in base ai quali operare la determinazione delle quote di riparto del netto residuo […]».
Dal quadro sopra descritto sembra trasparire che le finalità del “bilancio finale di liquidazione” siano:
− essenzialmente “organiche” alla società e ai suoi soci;
− necessarie per stabilire la eventuale responsabilità dei soci e dei liquidatori e per la procedura di cancellazione dal Registro delle Imprese.
Al contrario, non vi è evidenza che il “bilancio finale di liquidazione” possa inferire sulle c.d. sopravvenienze attive per le quali si determina un acquisto in comunione tra i soci dei relativi diritti.
Brevi considerazioni conclusive
La pronuncia delle Sezioni Unite aggiunge un importante tassello chiarificatore nella disciplina degli effetti della cancellazione della società dal Registro Imprese. Acclarato l’oramai pacifico fenomeno successorio che consegue all’estinzione della società con la cancellazione dal Registro Imprese, l’indagine ha, nel tempo, fatto focus sul perimetro del fenomeno successorio, dapprima facendosi guidare da quel che risultava per tabulas dal bilancio di liquidazione e giungendo infine a dare preminenza a quel che risulta dalla dinamica delle relazioni giuridiche che il soggetto estinto aveva instaurato, senza affidare efficacia presuntiva (sia pur semplice) a quel che risulta rappresentato nel bilancio di liquidazione.
La pronuncia in commento muove da un piano in cui si fa ordine, ad avviso di chi scrive, tra “istituti civilistici”, quali quello successorio, quello della remissione del debito e quelli concernenti le prove e la ripartizione dell’onere della prova, e “istituti meramente contabili” che governano la redazione del bilancio di liquidazione. E così facendo le posizioni giuridiche facenti capo alla società estinta passano agli ex soci e passano anche le “mere pretese” (“successione a titolo universale”) e chi vuole contestarne l’estinzione o la modifica deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda (secondo la regola della ripartizione dell’onere della prova, art. 2697, c.c.); e se il fatto estintivo a base dell’eccezione è la rinuncia a un credito affermato, la parte che vuole far valere tale estinzione deve allegare e provare «la sussistenza di un’inequivoca manifestazione di volontà remissoria, avente lei stessa come specifica destinataria»[7] (quali presupposti per la remissione del debito, art. 1236, c.c.).
Di presunto e automatico non resta nulla.
[1] Sembrerebbe desumersi che detti soggetti siano identificabili come soci della società, per quanto a pag. 1 della sentenza in commento detto aspetto non emerga chiaramente.
[2] Alfa Italy S.p.A., in qualità di procuratrice speciale di Beta S.p.A., succeduta a banca Delta a seguito di fusione.
[3] Cfr. Cass., SS.UU., n. 19750/2025.
[4] «2.2.7. – Conclusioni. In definitiva, l’estinzione della società nel corso del primo grado del giudizio non può essere automaticamente ritenuta causa di estinzione per rinuncia della pretesa in esso azionata: una tale affermazione, per la sua perentoria assolutezza, non può essere condivisa.
Non coglie dunque nel segno la tesi che pretende di desumere sic et simpliciter la remissione del debito da ripetizione di indebito dal fatto che la società sia stata cancellata dal registro delle imprese in corso di causa: con conseguente rigetto anche del secondo motivo» (cfr. Cass. n. 9464/2020).
[5] «– che questa Corte ha evidenziato – per la fattispecie della cancellazione volontaria dal registro delle imprese – come, ferma l’estinzione a norma dell’art. 2495 c.c., il credito controverso, esistente al momento della cancellazione, non può ritenersi automaticamente rinunciato, dal momento che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, mentre la non sopravvivenza delle “mere pretese” è l’eccezione: onde l’esistenza della rinuncia, da ricondurre alla remissione del debito di cui all’art. 1236 c.c., va allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere in tutti i presupposti della fattispecie, ossia la volontà remissoria, la manifestazione inequivoca di tale volontà e la destinazione della dichiarazione allo specifico creditore (ancora Cass. 22 maggio 2020, n. 9464)» (cfr. Cass. n. 30075/2020).
[6] Si veda Cass. civ., Sez. I, sent. (data ud. 7 gennaio 2020) n. 9464/2020, per una dettagliata disamina delle argomentazioni della questione della non configurabilità della remissione del debito nella omissione di bilancio.
[7] Cass., SS.UU., n. 19750/2025.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie”.


