19 Settembre 2025

Frode carosello: amministratori legittimati all’impugnazione del sequestro sulla società filtro

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

La frode carosello è una delle forme più diffuse di evasione IVA. Si chiama così perché le operazioni si muovono in cerchio e possono teoricamente ripetersi all’infinito. Il meccanismo ruota intorno a una società cartiera, detta anche società-filtro o “missing trader”. Questa società ha caratteristiche precise:

  • è un soggetto “di carta”, senza struttura reale né patrimonio;
  • serve solo a emettere e ricevere fatture;
  • ha vita breve, spesso chiude e riapre con una nuova partita IVA per sfuggire ai controlli.

In pratica, accade che la società cartiera acquisti beni senza versare l’IVA. Rivende gli stessi beni applicando l’IVA, ma incassa l’imposta e non la versa allo Stato. Grazie a questo “salto d’imposta”, quindi, la cartiera può vendere a prezzi più bassi della concorrenza, attirando clienti.

Nella catena possono esserci anche altre società “filtro”, che rendono più difficile ricostruire i passaggi e tracciano solo formalmente il flusso dei beni. Il risultato, comunque, è che la cartiera trattiene l’IVA incassata e genera un guadagno illecito. Altri soggetti della catena possono compensare o chiedere a rimborso l’IVA pagata, creando un ulteriore danno per l’Erario. Spesso i beni non si muovono nemmeno, ma restano fermi nei magazzini, al contrario delle fatture.

Come sottolineato più volte dall’Amministrazione finanziaria, queste società hanno vita brevissima. Nascono per compiere poche operazioni illecite e poi scompaiono, lasciando allo Stato un danno e rendendo difficile individuare i veri responsabili.

In sintesi, la frode carosello vive della società cartiera-filtro, che è il perno del meccanismo, l’anello fragile, ma anche più sfuggente della catena.

Sul tema, nel corso degli anni, si è sviluppato un intenso dibattito giurisprudenziale su una serie di questioni molti interessanti e di recente la Cassazione, con sentenza n. 30437/2025, è intervenuta nuovamente sulla legittimazione ad impugnare il sequestro sulla società-filtro.

Nel caso di specie, una S.r.l., operante nel settore della commercializzazione di carburanti, è stata qualificata dai giudici come una società-filtro o “apparato fittizio”, interposta tra società cartiere e il destinatario finale, con il compito di schermare i reali beneficiari della frode.

Secondo l’accusa, gli indagati (1 amministratore di diritto e 2 amministratori di fatto) avevano utilizzato la società per fatturare operazioni inesistenti, accumulando un profitto illecito quantificato in circa 1 milione di euro. Il Pubblico ministero aveva disposto d’urgenza il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di tale somma, eseguito sui conti correnti della società.

La questione controversa concerneva la legittimazione all’impugnazione del sequestro. Il Tribunale di Firenze aveva dichiarato inammissibili i ricorsi degli indagati, sostenendo che i beni sequestrati appartenevano formalmente alla società e che, quindi, solo questa avrebbe potuto agire per la restituzione.

La difesa, invece, ha sostenuto che la società fosse solo uno schermo fittizio e che, di fatto, i beni fossero nella disponibilità degli indagati stessi. Pertanto, anche questi ultimi avevano interesse e legittimazione ad agire contro il sequestro.

Ebbene, la Corte di cassazione ha accolto i ricorsi degli indagati, affermando alcuni principi molto importanti. Prima di tutto, ha richiamato l’art. 322, c.p.p., secondo cui possono impugnare il sequestro l’imputato, la persona cui sono stati sequestrati i beni e chi avrebbe diritto alla loro restituzione. Oltre alla legittimazione astratta, essa ha evidenziato la necessità di un interesse effettivo e concreto, collegato alla possibilità di ottenere la restituzione del bene.

Poi, la suprema Corte ha osservato che, quando la persona giuridica è priva di autonomia e agisce solo come schermo dell’amministratore, i beni formalmente intestati alla società restano nella disponibilità sostanziale delle persone fisiche che la controllano.

Inoltre, veniva sottolineato che, nel caso concreto, non si trattava di un sequestro diretto sul profitto del reato incamerato dalla società, ma di un sequestro per equivalente finalizzato a colpire beni nella disponibilità effettiva degli indagati.

Sulla scorta di tali argomentazioni, la Cassazione ha concluso che la società dedita alla commercializzazione di carburanti fosse un mero “apparato fittizio” e, pertanto, gli indagati avevano titolo a impugnare il sequestro delle somme, pur se formalmente intestate alla società.

Tale pronuncia, da un lato, conferma che possono essere aggrediti i beni intestati a società-filtro, trattandosi in realtà di patrimoni nella disponibilità degli indagati e, dall’altro, offre a questi ultimi una chance di difesa, consentendo loro di impugnare i sequestri disposti sui conti societari.

In un’ottica difensiva, quindi, sarà cruciale dimostrare se la società è realmente autonoma o un semplice apparato fittizio; il confine tra legittimazione della persona fisica e della società sarà valutato caso per caso, in base alla sostanza economica delle operazioni e non solo alle apparenze formali.