19 Novembre 2025

Autorizzazione del PM per l’accesso al locale a uso promiscuo con collegamento agevole all’abitazione

di Fabio Campanella
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La scheda di FISCOPRATICO

L’art. 52, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 – per le verifiche in ambito IVA, richiamato dall’art. 33, D.P.R. n. 600/1973, per quelle riferite alle imposte dirette – disciplina l’accesso dei verificatori ai locali che siano adibiti sia ad attività professionale sia ad abitazione (c.d. a uso promiscuo), prevedendo la necessità per i funzionari di munirsi della preventiva autorizzazione del Procura della Repubblica che può essere concessa anche in assenza dei gravi indizi di violazioni delle norme tributarie che sono, invece, richiesti per l’accesso ai locali adibiti esclusivamente ad abitazione privata (art. 52, comma 2, D.P.R. n. 633/1972).

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ord. n. 28338/2025 del 25 ottobre 2025 ha risolto la questione connessa all’identificazione del locale a uso promiscuo, chiarendo che «l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica … ai fini dell’accesso del personale dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli Uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo; destinazione, quest’ultima, che ricorre non soltanto ove i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi».

In sostanza, il Supremo Collegio ha identificato quali locali sono da considerare a uso promiscuo, e quindi oggetto di tutela rafforzata rispetto a quelli adibiti esclusivamente all’attività d’impresa o professionale: sia quelli utilizzati contestualmente per la vita familiare e professionale (si pensi, ad esempio, all’appartamento di residenza utilizzato anche per l’esercizio della propria attività), sia i locali professionali separati dall’abitazione, ma congiunti alla stessa da collegamenti agevoli che, secondo la Cassazione, consentano il trasferimento dei documenti connessi all’attività dai locali professionali a quelli abitativi. Questo orientamento può considerarsi ormai consolidato, alla luce dei conformi precedenti di legittimità adottati con le ord. n. 7723/2018 e n. 21411/2020. I giudici, inoltre, hanno colto l’occasione per ribadire che il vaglio preventivo della magistratura requirente sulle esigenze di verifica e accesso agli spazi della vita privata del contribuente costituisce un giusto bilanciamento tra le esigenze di celerità ed efficacia delle verifiche tributarie – collegate alla stabilità finanziaria dello Stato – e la tutela della persona, sia in relazione ai principi eurounitari in tema di accessi e ispezione dei locali, sia in relazione ai principi costituzionali attualmente applicabili.

Incidentalmente, poi, il Supremo Collegio è tornato ad affrontare la questione inerente alla valenza probatoria del Processo verbale di constatazione, in ragione della natura dei fatti attestati, ricordando che al PVC possono riconoscersi 3 diversi livelli di attendibilità e valenza probatoria.

Il primo livello di efficacia probatoria, ai sensi dell’art. 2700, c.c., è quello connesso ai fatti attestati dal Pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto connesso alla provenienza del documento redatto dallo stesso Pubblico ufficiale e alle dichiarazioni a lui rese, per le quali viene riconosciuta fede privilegiata.

Il secondo livello di valenza probatoria, invece, è connesso alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese al Pubblico ufficiale dalle parti oggetto di verifica o da terzi soggetti e quindi anche del contenuto di documenti da loro redatti, che fanno fede, fino a prova contraria; per scalfire l’efficacia probatoria del PVC è necessario che la specifica indicazione delle fonti di prova contrarie citate consentano al giudice e alle parti processuali l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate al Pubblico ufficiale.

Infine, come terzo e minore livello di efficacia probatoria, vi è il caso in cui il PVC costituisce comunque elemento di prova che il giudice deve in ogni caso valutare in concorso con gli altri elementi, nell’ipotesi che le dichiarazioni rilasciate al Pubblico ufficiale e riportate nel verbale non siano supportate dall’indicazione e individuazione specifica dei soggetti che le hanno fornite; in tale eventualità, il verbale può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza – fino a querela di falso – che quei fatti riportati sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore.

I giudici della Suprema Corte, nel definire il caso in esame, hanno negato il valore probatorio assistito da fede privilegiata al PVC, redatto dai verificatori al momento dell’accesso nel locale del contribuente utilizzato ai fini lavorativi in cui veniva negata la natura promiscua del locale, in quanto la descrizione della stanza andava considerata dichiarazione di scienza con soggettività percettiva e, per l’effetto, non poteva ritenersi prevalente rispetto ai documenti prodotti in giudizio dal contribuente che attestavano la promiscuità del locale.