Un unico elemento presuntivo legittima l’accertamento nei confronti dei ristoratori
di Gianfranco AnticoNel settore della ristorazione l’evasione si realizza principalmente attraverso l’occultamento dei corrispettivi; ipotesi che ricorre qualora, a fronte di approvvigionamenti di materie prime regolarmente fatturati, sia incongruente il numero delle somministrazioni risultanti dai documenti fiscali emessi. Tale tipologia di evasione agisce, quindi, sulle quantità utilizzate, talvolta “gonfiando” il magazzino, al fine di evidenziare un risultato di esercizio “credibile”. In tal caso, la ricostruzione indiretta degli effettivi corrispettivi conseguiti viene realizzata in base ai quantitativi di prodotti impiegati, risultanti dalle fatture di acquisto.
In altri casi si può riscontrare sia l’omessa contabilizzazione dei servizi resi che degli acquisti di materie prime. Ipotesi che si presenta, invece, quando, a seguito dei riscontri effettuati (inventario fisico delle merci in giacenza e analisi dei rapporti quantitativi fra alimenti complementari), emergano acquisti privi di fattura, funzionali all’occultamento dei corrispettivi.
Il controllo dei verificatori, diretto alla ricostruzione indiretta dei ricavi, di fatto, può essere eseguito nei ristoranti in modi diversi: o attraverso la verifica dei rapporti esistenti tra l’impiego delle materie prime acquistate e utilizzate (considerando, naturalmente, anche gli eventuali acquisti non fatturati emersi nel corso della verifica) e i pasti somministrati risultanti dalle ricevute fiscali emesse; ovvero attraverso il controllo dei coperti disponibili, tenendo conto della diversa utilizzazione a seconda della stagione, dei giorni di chiusura al pubblico, dell’ubicazione dell’esercizio, dei dati dichiarati dalla parte per la somministrazione dei pasti e dei prezzi praticati esposti nel menù dell’anno in esame.
È naturale che il primo metodo di controllo potrà essere suffragato dal secondo e viceversa, ovvero costituire 2 autonomi percorsi di controllo.
La quantificazione dei ricavi può essere effettuata, come abbiamo visto, tenendo conto del numero di coperti (dato dichiarato in contraddittorio e constatato in sede di accesso), coadiuvato degli ulteriori elementi sopra visti.
Esempio pratico:
| Prospetto relativo alla somministrazione dei pasti nel corso dell’anno sulla base del numero dei coperti |
| Numero Coperti
……… |
Mesi di riferimento
……………………. |
Numero Giornate lavorative
…………. |
Percentuale di utilizzazione dei coperti
………… |
Numero di pasti somministrati
……………….
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| Totale pasti somministrati
……………………………………. |
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| Quantificazione del prezzo medio praticato per ogni somministrazione |
| Tipologia del pasto | Prezzo medio | Origine del dato | |
| Antipasto | listino prezzi e dichiarazioni rese in contraddittorio | ||
| Primi Piatti | listino prezzi e dichiarazioni rese in contraddittorio | ||
| Secondi piatti | listino prezzi e dichiarazioni rese in contraddittorio | ||
| Bevande | listino prezzi e dichiarazioni rese in contraddittorio | ||
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Sommatoria |
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Pertanto, dall’analisi effettuata si ottiene il numero delle somministrazioni nell’anno, che moltiplicate per il prezzo medio di ciascun pasto determinano l’importo complessivo dei corrispettivi, da cui vanno defalcati i corrispettivi dichiarati. La quantificazione dei maggiori coperti non contabilizzati è operata anche in contraddittorio con il contribuente.
E per la Corte di Cassazione – ord. n. 6618/2022 – le ricostruzioni del prezzi per ciascun piatto, sia alla carta sia a menù fisso, con un volume d’affari del tutto sproporzionato rispetto all’utile “irrisorio” di esercizio dichiarato, conduce a ritenere del tutto antieconomica l’attività svolta e, di conseguenza, irragionevoli le argomentazioni della contribuente volte a rimarcare che i prezzi assunti a base dell’accertamento non sono significativi e che non sarebbe stato valorizzato il fatto che il ristorante operava con differenti fasce di prezzo, a seconda della tipologia di pasto, della fascia oraria e delle specifiche richieste (menù degustazione o menù personalizzati).
Così come, in tema di accertamento analitico-induttivo nei confronti di un ristorante, è stata ritenuta legittima la ricostruzione dei ricavi sulla base dell’applicazione di una percentuale di ricarico, calcolata sull’ammontare complessivo dei costi, beni e servizi, sulla base di quelle praticate da esercizi commerciali operanti nello stesso ambito territoriale e nel medesimo settore, “temperata” dal primo giudice, che aveva proceduto a una riduzione (Cass., ord. n. 30827/2024).
E da ultimo segnaliamo l’ordinanza n. 13205/2025 della Corte di Cassazione che, dopo aver ribadito che gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, comma 1, c.c., l’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973, e l’art. 54, D.P.R. n. 633/1972, si esprimano al plurale – ha richiamato una serie di interessanti pronunciamenti in materia di ristorazione:
- Cass., Sez. V, n. 17408/2010, che ha considerato legittima la ricostruzione dei ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo di acqua minerale, costituendo lo stesso un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate;
- Cass., Sez. V, n. 9884/2002, che ha ritenuto legittimo l’accertamento presuntivo che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto capace, anche di per sé solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati (pur dovendosi, del pari ragionevolmente, sottrarre dal totale i tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri e simili).


