3 Dicembre 2025

Transizione 5.0: una grande opportunità finita nel caos

di Settore Fisco e Diritto d’Impresa di Assolombarda
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Negli ultimi giorni le imprese hanno dovuto affrontare una corsa contro il tempo senza precedenti. Migliaia di aziende si sono ritrovate improvvisamente a dover rispettare scadenze impossibili per non perdere il credito d’imposta Transizione 5.0.

Il D.L. 175 del 21 novembre 2025, infatti, ha introdotto due novità che hanno stravolto le regole del gioco: la chiusura definitiva delle prenotazioni del credito 5.0 fissata al 27 novembre e l’obbligo, per chi aveva richiesto anche il credito 4.0 sugli stessi investimenti, di scegliere entro la stessa data quale agevolazione mantenere. Il provvedimento è stato pubblicato appena sei giorni prima della deadline, imponendo tempi impossibili per adempiere agli obblighi previsti.

In questo articolo vogliamo ripercorrere la storia di una misura nata come opportunità strategica e finita per diventare un caso emblematico di cattiva gestione delle politiche agevolative.

 

Dall’euforia iniziale ai ritardi, fino allo stop improvviso

Il credito d’imposta Transizione 5.0 è nato come pilastro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con 6,3 miliardi di risorse europee e un orizzonte temporale di oltre due anni: dal 1° gennaio 2024 al 28 febbraio 2026. Una misura strategica, presentata come occasione storica per accelerare la trasformazione digitale ed energetica delle imprese.

La realtà, però, è stata ben diversa. Il decreto attuativo è arrivato solo nell’agosto 2024, con oltre sette mesi di ritardo: un segnale evidente di scarsa programmazione. La disciplina, complessa e frammentata, è stata chiarita a colpi di FAQ pubblicate “a singhiozzo”, alimentando incertezza anziché fiducia.

Quando finalmente, nel 2025, grazie alle semplificazioni della Legge di Bilancio e a un quadro interpretativo più stabile, la misura ha iniziato a funzionare, è arrivata un’improvvisa doccia fredda: il Mimit con il D.M. del 7 novembre ha ridotto le risorse da 6,3 a 2,5 miliardi di euro e chiuso anticipatamente la misura, relegando in lista d’attesa le domande presentate dopo quella data. Una decisione adottata senza considerare che il ritmo delle prenotazioni stava accelerando.

Questo stop improvviso ha penalizzato pesantemente le imprese che avevano programmato e stavano realizzando gli investimenti sulla base delle regole stabilite originariamente. Sono state particolarmente danneggiate le imprese con più progetti 5.0: nel rispetto della regola che vieta di presentare più richieste contemporaneamente, chi non aveva ancora chiuso la procedura relativa al primo intervento non ha potuto agevolare quello successivo.

Dopo la pubblicazione del DM del 7 novembre, le associazioni imprenditoriali hanno chiesto a gran voce il ripristino delle risorse inizialmente stanziate o almeno un rifinanziamento della misura e la riapertura ordinaria dei termini. Con il D.L. 175/2025, però, queste richieste sono state ignorate e si è consumato il disastro definitivo.

 

Decreto lampo e scadenze impossibili

Il D.L. 175/2025, approvato il 20 novembre e pubblicato il giorno successivo, ha sancito la chiusura dell’agevolazione fissando al 27 novembre il termine ultimo per le prenotazioni. Sei giorni per adempiere a obblighi complessi, senza alcuna garanzia di ottenere il credito.

Ma non è tutto. Il Decreto ha introdotto un’interpretazione autentica del divieto di cumulo tra il 5.0 e il 4.0, stabilendo che per i medesimi investimenti non fosse possibile presentare domande per entrambi i crediti. Come corollario, le imprese che alla data del 22 novembre avevano prenotato sia il 5.0 sia il 4.0 sono state obbligate a esercitare un’opzione entro il 27 novembre.

Il GSE ha quindi iniziato a mandare migliaia di PEC chiedendo alle aziende di inviare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio firmata digitalmente entro la scadenza: una corsa contro il tempo che ha generato il panico.

Ai tempi strettissimi, si è aggiunta la totale mancanza di indicazioni operative: la guida per compilare la dichiarazione è stata pubblicata dal MIMIT solo nella tarda mattinata del 27 novembre, ossia il giorno stesso della scadenza, mentre molte imprese non avevano ancora ricevuto la PEC.

E il colpo di scena finale è arrivato in serata: il GSE ha annunciato sul proprio sito che sarebbe stato possibile rispondere entro cinque giorni dal ricevimento della PEC. Una proroga comunicata all’ultimo minuto e con modalità discutibili (un semplice avviso online per derogare a un termine fissato per decreto).

 

L’incognita sulle risorse

L’obbligo di scegliere tra i due crediti – 5.0 e 4.0 – per le imprese che li avevano prenotati entrambi sugli stessi investimenti è stato introdotto con l’obiettivo di “liberare” risorse prenotate due volte. Ora il MIMIT dovrà verificare, sulla base delle dichiarazioni ricevute, quante risorse saranno effettivamente disponibili. A queste si aggiungerebbero i 250 milioni di euro stanziati dal DL 175, ma resta da capire se il totale – risorse liberate più i nuovi fondi – sarà sufficiente a soddisfare tutte le richieste presentate.

Un’incognita che pesa sulle imprese e conferma la mancanza di chiarezza nella gestione della misura.

 

Cosa ci aspetta all’orizzonte

Le imprese rimaste senza il credito Transizione 5.0 guardano ora all’iper ammortamento, previsto dal disegno di Legge di Bilancio 2026, come possibile alternativa.

Ma anche qui le criticità non mancano.

L’iper ammortamento, così come emerge dal testo in discussione al Senato, si applicherà solo agli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2026 con l’esclusione di quelli realizzati precedentemente. Serve quindi una norma per salvaguardare le imprese che hanno completato gli investimenti nel 2025 e che non potranno accedere né al credito 5.0 (per l’esaurimento delle risorse) né all’iper ammortamento.

Resta, inoltre, da chiarire un altro punto cruciale: gli investimenti effettuati nel 2026 ma avviati nel 2025, con ordini e acconti già versati, potranno accedere all’iper ammortamento? La risposta dovrebbe essere affermativa, in applicazione del principio di competenza fiscale (art. 109, TUIR), ma occorre una conferma ufficiale.

Dopo il disastro del 5.0, è doveroso tutelare chi è stato lasciato ingiustamente nell’incertezza. È il minimo che si possa fare per recuperare la fiducia delle imprese.