24 Dicembre 2020

Sull’obbligatorietà delle nuove specifiche tecniche della fattura elettronica

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

Fra pochi giorni, cioè dal 1° gennaio 2021, diventerà obbligatorio l’utilizzo delle nuove specifiche tecniche 1.6.1 della fattura elettronica, approvate dall’Agenzia delle Entrate con Provvedimento del 28 febbraio 2020, poi modificato con Provvedimento del 20 aprile 2020.

Nel corso degli ultimi mesi, diverse sono le problematiche interpretative evidenziate dalle imprese nel corso dei vari incontri, nei quali è emerso, in particolare, che spesso apparirà difficoltoso adeguare i propri sistemi informativi alle nuove specifiche tecniche.

Sul punto, a parere di chi scrive, le nuove regole devono dividersi in tre macro-categorie:

  • alcune sono obbligatoriamente da adottare,
  • per altre è chiaro che il loro utilizzo è meramente facoltativo,
  • per altre ancora si deve giungere alla conclusione circa la loro facoltà di utilizzo da una interpretazione sistematica delle regole dell’ordinamento giudico.

Mi si permetta una premessa: la Direttiva Europea prevede che la fattura può essere sia elettronica che cartacea, e allo Stato italiano è stata concessa una deroga a tale facoltà, che consente di esigere dai soggetti passivi stabiliti in Italia, l’utilizzo della fattura elettronica.

Fattura elettronica significa che la stessa deve essere creata, inviata ed archiviata elettronicamente; nel 2010 venne emendata la Direttiva Iva e redatte delle linee guida UE per specificare e chiarire che doveva essere libera la tecnologia utilizzata per la creazione e lo scambio del file.

Il fatto che in Italia sia obbligatorio l’utilizzo di un unico tipo di file (quello XML) e che nell’invio di una fattura dall’emittente al destinatario debba intervenire l’Agenzia delle Entrate, sembra quindi essere una cosa che va oltre la deroga concessa dalle Autorità Comunitarie.

Ciò premesso, oramai ci si è adeguati al rispetto di quelle regole informatiche che evitano lo scarto della fattura elettronica da parte di SdI.

Tra le novità delle nuove specifiche tecniche, ve ne sono alcune da rispettare, pena lo scarto del file, e la conseguente constatazione circa la mancata emissione della fattura.

Queste nuove regole da rispettare, riguardano in particolare l’utilizzo di una maggiore specifica nel campo della natura dell’operazione, da utilizzare quando un’operazione indicata in fattura non è soggetta ad Iva.

Pertanto, il contribuente che continuasse ad utilizzare i codici N2, N3, ed N6, andrà incontro allo scarto del file della fattura.

Nella guida alle nuove specifiche tecniche in versione 1.3, pubblicate sul sito dell’Agenzia il 18 dicembre, è inoltre indicato che “Relativamente alle operazioni di cui all’articolo 21 comma 6 bis lettera a), dovrà essere inserita la dicitura “INVCONT” nel campo 2.2.1.16.1<TipoDato>del blocco 2.2.1.16 <AltriDatiGestionali>”.

Si tratta, in particolare, di indicare la dicitura contratta di “inversione contabile” alle fatture emesse senza Iva ai sensi degli articoli 7-bis, 7-ter, 7-quater e 7-quinquies nei confronti di clienti soggetti passivi di altri Stati UE.

Premesso che – come chiariremo nel proseguo – tali indicazioni non devono considerarsi obbligatorie, questa indicazione potrebbe rivelarsi utile qualora l’Agenzia, tornando sui propri passi, nel liquidare in automatico l’imposta di bollo, non chiederà l’applicazione dell’imposta alle operazioni rese nei confronti di clienti comunitari, per non correre il rischio di soccombere in giudizi aventi ad oggetto il principio di non discriminazione.

Sicuramente facoltativi sono i nuovi tipi di documento TD16, TD17, TD18 e TD19.

Questi codici sono stati creati per consentire ai contribuenti di smaterializzare la fase del reverse charge, e – per quanto riguarda le operazioni con l’estero – evitare l’esterometro.

Infatti, nel reverse charge interno, l’invio a Sdi si un documento con il codice TD16 evita di dover materializzare una copia leggibile della fattura del fornitore, integrarla e conservarla analogicamente. Resta però fermo che il contribuente ha la possibilità di continuare ad operare come nel 2020.

L’invio a SdI di documenti con i codici TD17, TD18 e TD19, analogamente, oltre a consentire di non dover integrare la fattura estera o di emettere autofattura cartacea, permettono al contribuente di non comunicare la stessa operazione nell’esterometro. Resta però fermo che tali codici non sono obbligatori e il contribuente potrà continuare ad integrare in modo analogico, o emettere autofatture cartacee, ed inviare l’esterometro secondo le scadenze trimestrali.

Il contribuente che non utilizza i codici TD16, TD17, TD18 e TD19, vedrà le bozze dei registri Iva e delle LiPe messe a disposizione dall’Agenzia delle Entrate incomplete, in quanto non terranno conto, né nella fase di debito, né in quella di credito delle operazioni sulle quali è stato posto in essere il reverse charge.

In pratica, questi codici sono stati previsti a beneficio di coloro che troveranno proficuo il loro utilizzo per far sì che le bozze dei documenti predisposti dall’Agenzia siano più precisi possibili, in modo da poterli confermare o modificare online (garantendosi così il diritto di non dover tenere i registri Iva).

I soggetti che, invece, non riterranno proficua la tenuta dei registri Iva da parte dell’Agenzia delle Entrate, non hanno alcun interesse, e ad avviso di chi scrive nemmeno nessun obbligo, ad utilizzare i dettagli delle specifiche tecniche che sono stati creati per tale motivo.

Ad esempio, codificare con il tipo documento TD26 la cessione di un bene ammortizzabile, ha l’unico scopo di permettere all’Agenzia delle Entrate la corretta compilazione del rigo VE40 della bozza di dichiarazione che sarà messa a disposizione. Tuttavia, coloro che chiedono rimborsi coi requisiti della prevalenza di operazioni non imponibili o non territoriali, potrebbero considerare utile che l’Agenzia calcoli le percentuali di spettanza del diritto in modo corretto.

Utilizzare un codice TD27 per le cessioni gratuite per le quali non si esercita la rivalsa presenta l’unico beneficio che – qualora si emetta una autofattura per documentare tale operazione – l’Agenzia registri la stessa nel solo registro delle vendite. Per le imprese che, per una cessione gratuita senza rivalsa, emettono fattura nei confronti del cliente, ad avviso di chi scrive non ha senso utilizzare il codice TD27.

Nelle note di credito è richiesto l’identificativo della fattura che si va a rettificare. Anche tale dato è richiesto per fa sì che, se la fattura originaria era riferita ad esempio alla cessione di un bene ammortizzabile, l’Agenzia compili correttamente il predetto rido VE40. Tale indicazione, tuttavia, non essendo prevista da alcuna norma, deve ritenersi facoltativa.

Per quanto riguarda i codici delle fatture differite, tralasciando il TD25 (che ha ad oggetto solo la cessione effettuata dal promotore di una operazione triangolare che fattura nel mese successivo a quello in cui ha ceduto la merce al proprio cliente), in entrambi i casi viene richiesta, come data della fattura, quella relativa al mese nel quale l’operazione deve confluire in liquidazione. Un utilizzo di un codice errato, quindi, ad avviso di chi scrive non può essere considerato comportamento sanzionabile.