23 Ottobre 2025

Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: la valutazione degli elementi di artificio

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nella prassi operativa, per frode fiscale si intende un articolato sistema di evasione fiscale posto in essere con il precipuo scopo di evadere le imposte o consentire a terzi l’evasione delle imposte.

In particolare, l’organizzazione criminale utilizza, per creare un credito IVA inesistente, particolari veicoli societari denominati “cartiere”, imprese prive di una minima organizzazione di uomini, mezzi e attrezzature, costituite con l’unico scopo di evadere le imposte dovute.

A livello normativo, l’ordinamento penale-tributario prevede specifiche sanzioni per arginare la frode fiscale:

  • la reclusione da 4 a 8 anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi (ex art. 2, D.Lgs. n. 74/2000). Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono comunque detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Infine, qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi fosse inferiore a 100.000 euro, si applica la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni;
  • la reclusione da 4 a 8 anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (ex art. 8, D.Lgs. n. 74/2000). L’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. Infine, qualora l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per singolo periodo d’imposta, sia inferiore a 100.000 euro, si applica la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni;
  • la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni chiunque non versa le somme dovute utilizzando in compensazione (ex art. 17, D.Lgs. n. 241/1997), crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai 50.000 euro (ex art. 10-quater, D.Lgs. n. 74/2000).

Analizzando il peculiare reato che normalmente si realizza a seguito della frode fiscale, come chiarito dalla prassi operativa (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I, pag. 178), l’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, rientra nel novero degli strumenti a contrasto della «morosità nel pagamento di imposte riscosse mediante iscrizione a ruolo».

Lo stesso, al comma 1, sanziona la condotta materiale del contribuente che alieni simulatamente o compia atti fraudolenti sui propri beni e su beni altrui, al fine di rendere in tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale a tutela della pretesa erariale.

In particolare, il delitto in rassegna prevede un duplice presupposto giuridico:

  • il compimento di atti aventi la finalità di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o dell’IVA, dei relativi interessi e sanzioni amministrative;
  • il superamento della soglia di punibilità di 50.000 euro, calcolata sull’ammontare delle imposte dovute, oltre agli interessi e alle sanzioni amministrative irrogate dall’ufficio.

Nonostante la locuzione “chiunque”, con la quale la norma indica il soggetto che può rendersi responsabile dell’illecito, il delitto in argomento può essere commesso solo dal contribuente (che agisce quindi come soggetto attivo del reato), già qualificato come debitore d’imposta ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, nei confronti del quale possa essere avanzata dall’Erario una pretesa fiscale di importo superiore a 50.000 euro.

Il reato in rassegna si consuma quando il contribuente, consapevole di aver occultato materia imponibile, ossia di non aver versato le imposte dovute, pone in essere una condotta finalizzata a sottrarre i beni propri o altrui soggetti a una successiva azione coattiva di riscossione (l’elemento psicologico è quindi riconducibile al c.d. dolo specifico).

Ciò posto, per espressa disposizione normativa:

  • è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni “chiunque”, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni e interessi è superiore a 200.000 euro si applica la reclusione da 1 anno a 6 anni;
  • è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore a 200.000 euro si applica la reclusione da 1 anno a 6 anni.

In relazione al reato sopra indicato, previsto e punito come detto dall’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, la Corte di Cassazione, III Sez. penale, con la sentenza n. 29943/2025 ha sancito che, ai fini della sussistenza dell’illecito, viene sanzionato ogni comportamento idoneo a impedire la riscossione delle imposte evase.

Quanto alla condotta del reato, accanto all’alienazione simulata, il Legislatore ha individuato l’ulteriore condotta del compimento di «altri atti fraudolenti», diversi dalla alienazione simulata, la cui idoneità a sottrarre i beni al pagamento del debito tributario è stata valutata dal Legislatore in via generale e astratta, la cui natura fraudolenta diretta a sottrarre il bene al pagamento delle imposte deve caratterizzare l’atto.

A parere della suprema Corte di Cassazione, nel novero degli «altri atti fraudolenti» rientrano sia gli atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza alienazione), sia gli atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, finalizzati a sottrarre beni al pagamento delle imposte.

Sul punto gli ermellini affermano che, «con particolare riferimento all’alienazione di beni, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (cfr. Corte di cassazione, Sez. 3, sentenza n. 29636 del 02/03/2018)».

In definitiva la nozione di “atti fraudolenti”, sulla base di un consolidato indirizzo ermeneutico espresso in sede di legittimità (ex multis cfr. Cassazione, Sez. 3, sentenza n. 25677/2012), comprende tutti quei comportamenti che, «quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell’eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato».