Riaddebiti professionali – seconda parte
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Il tema dei riaddebiti di costi riguarda, tra le altre, due fattispecie citate nell’articolo 54, comma 2, lettera a) e c), Tuir. Si tratta dell’addebito dei contributi previdenziali che, per legge, sono dovuti dal committente e dei costi per l’utilizzo comune dell’immobile. In entrambi i casi, la norma succitata li dichiara esclusi dalla formazione del reddito imponibile, ma mentre nel caso dei contributi previdenziali il tema è semplice, più complesso, o quantomeno, suscettibile di maggiori considerazioni, è il riaddebito di costi per l’uso comune dell’immobile.
Esclusione dal reddito dei contributi previdenziali
I contributi previdenziali, che per legge sono posti a carico del soggetto che li corrisponde, non concorrono alla formazione del reddito del professionista. Si tratta dei contributi previdenziali dovuti alle Casse di categoria, mentre quelli addebitati a titolo facoltativo da coloro che sono iscritti alla Gestione separata Inps concorrono a pieno titolo alla formazione del reddito. Entrambi gli addebiti (obbligatori o facoltativi) rilevano dal punto di vista Iva.
Esclusione dal reddito dei riaddebiti per uso comune dell’immobile
L’esclusione dal reddito imponibile per questo tipo di riaddebito era già stata prevista in sede interpretativa dalla circolare n. 38/2010, § 3.4., secondo cui il riaddebito non concorre alla formazione del reddito professionale e conseguentemente il costo viene dedotto al netto della quota riaddebitata. L’esclusione dal reddito professionale porta con sé l’esonero dalla operazione di ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta, il quale a sua volta potrà dedurre l’importo riaddebitato secondo il principio di cassa (se professionista). L’esclusione dal reddito del riaddebito è estesa ai servizi relativi all’immobile; quindi, oltre ai costi, per così dire, diretti (canoni locativi) occorre escludere anche quelli “correlati” che possono essere riassunti in costi per utenze, spese condominiali, manutenzioni ordinarie e quant’altro. Più complessa si presenta la situazione nella quale il contratto di riaddebito preveda l’imputazione anche di costi non relativi all’immobile, quali, ad esempio, i servizi di segreteria. In quest’ultimo caso delle due l’una: o dal contratto si può desumere in modo ragionevole quanto della cifra complessiva sia imputabile ai servizi di segreteria e, quindi, somma imponibile, o viceversa risulta difficile individuare un quantum legittimamente sottraibile dal reddito da lavoro autonomo.
Va sottolineato che, mentre nella disciplina dei rimborsi per spese relative alla esecuzione dell’incarico è prevista una salvaguardia per il contribuente che ha comunicato l’addebito, ma non lo ha incassato, nessuna salvaguardia è presente, invece, nella fattispecie del riaddebito dei costi comuni dell’immobile. Ciò, nonostante, la sostanziale analogia delle due ipotesi succitate. Al riguardo, l’articolo 54-ter, comma 1, Tuir, statuisce l’indeducibilità di tutti i costi riaddebitati sia per trasferte che per uso comune dell’immobile, ma poi interviene solo per tutelare il professionista che, avendo riaddebitato le spese per trasferta, non riesce ad ottenere il rimborso delle stesse dal committente: il rimedio consiste nella sopravvenuta deducibilità dei costi riaddebitati. Nulla, invece, è stabilito per l’analoga situazione del riaddebito, ad esempio, del canone locativo, per cui può accadere che parte del canone sia stato riaddebitato, e quindi non dedotto dal titolare del contratto, e poi quest’ultimo non riesca ad ottenere il rimborso della quota di canone riaddebitata. In questa situazione, a fronte del mancato incasso del riaddebito resta, iniquamente, indeducibile il canone a suo tempo riaddebitato.
L’obbligatorietà o meno del riaddebito per uso comune dell’immobile
Una situazione veramente frequente, specie negli studi professionali di media/grande dimensione, è la presenza di collaboratori del dominus, che utilizzano locali dello studio messi a disposizione gratuitamente dal titolare. Questo scenario aveva prodotto una pronuncia molto criticata della Cassazione. Infatti, con la sentenza n. 16035/2015, la Suprema Corte ha ritenuto necessario il riaddebito ai collaboratori (con propria partita Iva) dei costi comuni, poiché diversamente si verserebbe in una ipotesi di liberalità (concessione gratuita dell’uso dei locali studio) che fiscalmente non è riconosciuta. Da qui la riconosciuta indeducibilità parziale dei costi dell’immobile professionale interamente dedotti dal titolare dello studio. Ma questa opinabile tesi è stata recentemente ribaltata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4663/2025. Con questa ultima pronuncia la Cassazione ritiene perfettamente legittimo che un titolare conceda l’utilizzo di spazi ad altri collaboratori, che non possono essere collocati sul medesimo piano in quanto soggiacciono alle direttive del dominus. Che costui addebiti o meno ai collaboratori i costi di utilizzo dell’immobile è decisione che dipende solo da lui nell’esercizio della libertà contrattuale. Comunque, i costi sono integralmente deducibili, poiché il dominus trae in ogni caso vantaggio dalla prestazione dei collaboratori che ospita gratuitamente. Il mancato riaddebito rende non applicabile la previsione (prima interpretativa, ora normativa) di indeducibilità dei costi in capo a chi li sostiene integramente.


