21 Ottobre 2025

Regime sospensivo dell’IVA all’importazione

di Marco Peirolo
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Le operazioni di immissione in libera pratica sono operazioni che, ai sensi dell’art. 67, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, costituiscono importazioni, qualora abbiano per oggetto beni di provenienza extracomunitaria che non siano stati già immessi in libera pratica in altro Paese UE.

Fermo restando che, con l’immissione in libera pratica, i beni di provenienza extracomunitaria mutano la propria posizione doganale, diventando “beni comunitari” e, quindi, possono anche essere oggetto di uno scambio intracomunitario imponibile nel Paese UE di destinazione, secondo il principio di tassazione che caratterizza tali operazioni, il comma 2-bis dello stesso art. 67, D.P.R. n. 633/1972, dispone che, per le importazioni in esame, il pagamento dell’imposta in dogana è sospeso se i beni sono destinati a essere trasferiti in altro Paese UE, eventualmente dopo l’esecuzione delle manipolazioni usuali di cui all’Allegato 71-03 del Regolamento delegato n. 2015/2446/UE, previamente autorizzate dall’Ufficio doganale (c.d. regime 42).

Sul punto, l’art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 141/2024 (Disposizioni di applicazione del Codice doganale dell’Unione Europea), nel modificare il citato comma 2-bis dello stesso art. 67, D.P.R. n. 633/1972, nulla ha specificato in merito alla tipologia di trasferimento intracomunitario di beni e, in particolare, se il regime sospensivo sia applicabile anche quando il trasporto/spedizione dei beni in altro Paese UE avvenga in dipendenza non già di una cessione intracomunitaria “in senso stretto”, non imponibile IVA, ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. a), D.L. n. 331/1993, ma di una cessione intracomunitaria “per assimilazione”, non imponibile a norma dell’art. 41, comma 2, lett. c), D.L. n. 331/1993.

In effetti, il corrispondente art. 143, par. 2, della Direttiva n. 2006/112/CE, dispone che il regime sospensivo è riconosciuto non solo quando i beni importati proseguono a destinazione di altro Paese UE in esecuzione di una cessione intracomunitaria “ordinaria”, ma anche quando il trasferimento avvenga “senza vendita”, integrando la fattispecie prevista dall’art. 41, comma 2, lett. c), D.L. n. 331/1993.

Tuttavia, il successivo comma 2-ter, dell’art. 67, D.P.R. n. 633/1972, nel prevedere l’ulteriore condizione per beneficiare della sospensione dell’IVA all’importazione, stabilisce che l’importatore deve fornire il proprio numero di partita IVA, il numero di identificazione IVA attribuito al cessionario stabilito in altro Paese UE, nonché, a richiesta dell’Ufficio doganale, idonea documentazione che provi l’effettivo trasferimento intracomunitario dei beni. La norma, quindi, non richiede la comunicazione del codice identificativo posseduto dall’importatore nel Paese UE di destinazione dei beni, sembrando, quindi, precludere, in contrasto con la norma comunitaria, la sospensione d’imposta in caso di cessione intracomunitaria “per assimilazione”.

Da ultimo, con l’art. 6, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 141/2024, è stato introdotto il nuovo comma 2-quater del medesimo art. 67,D.P.R. n. 633/1972, con l’obiettivo di rendere maggiormente effettivi e, allo stesso tempo, dissuasivi i controlli della documentazione sull’effettiva consegna dei beni nel Paese UE di destinazione.

Tenendo conto delle indicazioni fornite dalla Commissione europea nel documento COM (2014) 69 del 12 febbraio 2014, è previsto che, nell’ambito dell’analisi dei rischi effettuata secondo i principi stabiliti dal Codice doganale dell’Unione, qualora venga richiesta la documentazione comprovante l’effettivo trasferimento dei beni in altro Paese UE, l’Ufficio doganale può esigere la costituzione di una cauzione pari all’importo dell’imposta sospesa.

In buona sostanza, l’obbligo di garanzia non è generalizzato, ma limitato agli operatori a rischio di frode.

La cauzione è incamerata dall’Ufficio se, entro 45 giorni dallo svincolo dei beni, non pervenga la predetta documentazione, oppure quando la documentazione non sia ritenuta idonea a dimostrare l’effettivo trasferimento dei beni oggetto di importazione in altro Stato UE.

Fermo restando che l’obbligo di garanzia è rivolto esclusivamente agli operatori a rischio, in analogia a quanto previsto in materia di depositi IVA dall’art. 50-bis, comma 4, lett. b), D.L. n. 331/1993, la cauzione non è richiesta ai soggetti in possesso dell’autorizzazione prevista dall’art. 38 del Codice doganale dell’Unione (soggetti certificati AEO) e a quelli esonerati ai sensi dell’art. 51 delle disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione.

Si ricorda, infine, che, l’art. 27, comma 3, D.Lgs. n. 141/2024, stabilisce che l’IVA all’importazione non costituisce diritto di confine nei casi di:

  • immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’IVA per successiva immissione in consumo in altro Stato membro (c.d. regime 42);
  • immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’IVA e vincolo a un regime di deposito diverso dal deposito doganale. Si tratta del caso di merci immesse in libera pratica introdotte in un deposito IVA (c.d. regime 45).

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con la circolare n. 20/D/2024, ha precisato che l’IVA è considerata diritto di confine solo nel caso di irregolare introduzione in consumo in Italia, vale a dire:

  • per il “regime 42”, ove non sia dimostrata l’immissione in consumo in altro Stato membro e non vi siano prove dell’uscita dal territorio italiano;
  • per il “regime 45”, ove la merce non sia presa in carico nella contabilità del deposito IVA.