18 Maggio 2017

Reddito d’impresa e riduzione dei debiti

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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Le riduzioni dei debiti finalizzate a risolvere le difficoltà finanziarie delle imprese hanno effetti differenti nella determinazione del reddito d’impresa a seconda dell’operazione sottostante alla riduzione stessa. Nel Tuir, infatti, sono previste diverse regole per disciplinare l’impatto delle sopravvenienze attive che derivano dalla riduzione dei debiti, ed in particolare l’articolo 88 contiene al riguardo due disposizioni:

  • il comma 4-bis, in cui sono regolati gli effetti che derivano dalla rinuncia da parte dei soci ai propri crediti vantati nei confronti della società partecipata;
  • il comma 4-ter, in cui sono disciplinati gli effetti derivanti dall’adozione di una procedura concorsuale o paraconcorsuale a seguito delle quali l’impresa ottiene una riduzione dei debiti.

Con riferimento alla rinuncia da parte dei soci ai propri crediti, il citato comma 4-bis, in aderenza alle indicazioni del documento OIC 28 secondo cui tale rinuncia determina l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto (senza quindi alcun impatto a conto economico), considera irrilevante la sopravvenienza attiva laddove non vi sia differenza tra valore fiscale e valore nominale del credito vantato da parte del socio. A tal fine, è richiesto a quest’ultimo di rilasciare una dichiarazione sostituiva in cui si attesti il costo fiscale del credito al fine di consentire alla società di verificare l’eventuale tassazione in capo alla stessa (ferma restando l’iscrizione diretta di una riserva nel patrimonio netto).

Più complessa e articolata è la disciplina della riduzione dei debiti prevista nel successivo comma 4-ter che deriva dall’adozione di una procedura concorsuale o paraconcorsuale. In tal caso, infatti, è necessario prendere in considerazione due ipotesi:

  • adozione di una procedura di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio, ovvero di procedure estere equivalenti (a condizione che si tratti di Stati o territori con i quali sussiste un adeguato scambio di informazioni);
  • adozione di un concordato di risanamento, di un accordo di ristrutturazione del debito omologato ai sensi dell’articolo 182-bisF., ovvero di un piano attestato di risanamento iscritto nel registro imprese ex articolo 67, comma 3, lettera d), L.F. (ovvero procedure estere equivalenti).

Mentre nel primo caso la finalità liquidatoria della procedura consente di fruire di una detassazione integrale delle sopravvenienze attive che derivano dalla riduzione dei debiti, nel secondo caso, trattandosi di operazioni aventi finalità di continuità dell’impresa, il legislatore accorda la detassazione delle predette sopravvenienze solo per la parte che eccede le perdite fiscali di periodo e pregresse, e le riduzioni e le eccedenze Ace e degli interessi passivi di cui al comma 4 dell’articolo 96 del Tuir. La ratio di tale differenza, sia pure penalizzante per le imprese che intendono perseguire la continuità aziendale, risiede probabilmente nella circostanza che le perdite fiscali maturate durante il periodo di crisi debbano essere utilizzate prima di tutto ad abbattimento dei componenti positivi che derivano dalla riduzione dei debiti, e solo per la parte eccedente tali perdite si possa beneficiare della detassazione. In ogni caso, sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore da parte dell’Agenzia delle Entrate al fine di stabilire cosa debba intendersi per concordato preventivo “liquidatorio” e concordato di “risanamento”, trattandosi di definizioni non rinvenibili dalla lettura della legge fallimentare. Tale aspetto, come detto, assume particolare rilievo tenendo conto che, come detto, solamente per i concordati “liquidatori” si prevede un’irrilevanza assoluta delle sopravvenienze, mentre per quelli di “risanamento” l’agevolazione è limitata dalla presenza di perdite fiscali.

Una simulazione pratica di determinazione del reddito d’impresa