Redditi da locazione imputabili al comodatario: norma AIDC n. 233
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariCon la norma n. 233, l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC) affronta la questione dell’imputazione dei redditi derivanti dalla concessione in locazione di un immobile da parte del comodatario. In passato l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che i redditi derivanti dalla concessione in locazione da parte del comodatario devono essere imputati direttamente al proprietario quale soggetto titolare del diritto, poiché il comodatario detiene il bene ma non vanta alcun diritto reale sullo stesso. Nel presente contributo, dopo aver illustrato le regole generali della tassazione diretta dei fabbricati posseduti, si analizza il contenuto della norma dell’AIDC cercando di comprendere se le conclusioni raggiunte siano o meno condivisibili.
Redditi dei fabbricati: aspetti generali
Prima di entrare nel merito del contenuto della norma di comportamento n. 233 dell’AIDC del 5 novembre scorso, è opportuno ricordare le regole di tassazione dei redditi derivanti dal possesso di fabbricati. Il reddito derivante dal possesso dei fabbricati rientra nella categoria dei redditi fondiari, come disciplinato dagli artt. 36-43, TUIR. Il reddito dei fabbricati è definito come il reddito medio ordinario ritraibile da ciascuna unità immobiliare urbana. Le unità immobiliari urbane comprendono fabbricati, altre costruzioni stabili o loro porzioni suscettibili di reddito autonomo, includendo le aree occupate e quelle che ne costituiscono pertinenze.
Il reddito medio ordinario delle unità immobiliari è determinato mediante diversi criteri, a seconda della loro destinazione:
− con applicazione delle tariffe d’estimo, utilizzate per le unità immobiliari a destinazione ordinaria (Gruppi A, B e C), stabilite secondo le norme della legge catastale per ciascuna categoria e classe;
− con stima diretta, utilizzata per i fabbricati a destinazione speciale o particolare (Gruppi D ed E).
Le tariffe d’estimo e i redditi dei fabbricati a destinazione speciale o particolare sono soggetti a revisione quando sopravvengono variazioni di carattere permanente nella capacità di reddito delle unità immobiliari e comunque, ogni 10 anni.
La revisione viene disposta con Decreto MEF e può essere effettuata per singole zone censuarie. Le modificazioni derivanti dalla revisione hanno effetto dall’anno di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (per le unità ordinarie) o dall’anno in cui è notificato il nuovo reddito al possessore iscritto in Catasto (per le unità speciali/particolari). Se la pubblicazione o notificazione avviene oltre il mese precedente quello stabilito per il versamento dell’acconto d’imposta, le modificazioni hanno effetto dall’anno successivo. Per le unità immobiliari non ancora iscritte in Catasto, il reddito è determinato comparativamente a quello delle unità similari già iscritte.
Immobili che non producono reddito di fabbricati
Non tutti gli immobili producono reddito di fabbricati ai sensi del TUIR. In particolare, non producono reddito di fabbricati o non sono soggetti a reddito fondiario:
− gli immobili relativi a imprese commerciali, siano essi immobili merce, strumentali o patrimoniali;
− gli immobili che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni;
− le costruzioni rurali utilizzate come abitazione che appartengono al possessore o all’affittuario dei terreni ed effettivamente adibite a usi agricoli;
− le costruzioni strumentali alle attività agricole e i fabbricati rurali destinati all’agriturismo;
− gli immobili per i quali sono state rilasciate licenze, concessioni o autorizzazioni per restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, purché il proprietario non li abbia utilizzati durante il periodo di validità del provvedimento;
− gli immobili destinati esclusivamente all’esercizio del culto e le loro pertinenze, a meno che non siano dati in locazione;
− gli immobili completamente adibiti a musei, biblioteche, archivi, cineteche ed emeroteche aperti al pubblico, a condizione che non ne derivi alcun reddito per l’intero anno e che tale circostanza sia comunicata all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate entro 3 mesi dall’inizio.
Fabbricati non locati
Il regime fiscale dei fabbricati varia sostanzialmente a seconda che essi siano concessi o meno in locazione. Per le unità immobiliari non locate a soggetti terzi (possedute a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale), il reddito fondiario si determina prendendo la rendita catastale e rivalutandola del 5%.
L’IMU sostituisce l’IRPEF e le relative addizionali dovute con riferimento ai redditi dei fabbricati non locati. Questo effetto sostitutivo opera anche per gli immobili dati in comodato d’uso gratuito e quelli utilizzati a uso promiscuo dal professionista.
Tuttavia, esistono importanti eccezioni all’effetto sostitutivo:
− gli immobili a uso abitativo non locati (comprese le c.d. seconde case) situati nello stesso Comune in cui si trova l’abitazione principale del contribuente, concorrono alla formazione della base imponibile dell’IRPEF e relative addizionali nella misura del 50%. Per questi immobili, il contribuente deve pagare sia l’IMU che il 50% dell’IRPEF e relative addizionali;
− gli immobili esenti dall’IMU (ad esempio, l’abitazione principale non di lusso, ex art. 1, comma 740, Legge n. 160/2019), continuano a scontare le ordinarie imposte sui redditi, applicandosi l’IRPEF e le addizionali secondo la disciplina ordinaria.
Infine, per gli immobili di interesse storico o artistico non locati, il reddito fondiario si determina sulla rendita catastale ridotta del 50% e rivalutata del 5%. A causa dell’effetto sostitutivo dell’IMU, anche questi immobili non sono assoggettati all’IRPEF e alle relative addizionali se non locati.
Redditi da locazione: aspetti generali
I fabbricati posseduti da soggetti che non esercitano attività d’impresa generano redditi fondiari, la cui disciplina è contenuta negli artt. 36-43, TUIR.
È fondamentale premettere che, per gli immobili locati, non si applica il c.d. effetto sostitutivo dell’IRPEF da parte dell’IMU (o imposte locali equivalenti) previsto dall’art. 8, D.Lgs. n. 23/2011. Di conseguenza, sui fabbricati concessi in locazione a terzi sono generalmente dovute sia l’IMU sia l’IRPEF e le relative addizionali, salvo il caso di opzione per il regime sostitutivo della cedolare secca.
Ai sensi dell’art. 26, comma 1, TUIR, i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale. Tali redditi sono imputati per il periodo d’imposta in cui si è verificato il possesso, indipendentemente dalla percezione.
Come si vedrà meglio in seguito, la norma di comportamento n. 233 dell’AIDC, chiarisce che tale disposizione non intende stabilire che tutti i redditi che chiunque ritrae dall’immobile siano imponibili in capo ai proprietari o ai titolari di diritto reale, anche quando siano altri soggetti a realizzarli.
La tassazione ordinaria dei redditi di locazione
Per i fabbricati o porzioni di fabbricato concessi in locazione a terzi (sia per uso abitativo che commerciale, industriale o artigianale), il reddito fondiario è determinato assumendo il maggiore ammontare tra 2 valori, ai sensi dell’art. 37, comma 4-bis, TUIR:
− il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfettariamente;
− la rendita catastale iscritta in Catasto, rivalutata del 5%.
Il canone di locazione da considerare è quello pattuito nel contratto. Tale importo include l’eventuale rivalutazione automatica basata sull’indice ISTAT e l’eventuale maggiorazione percepita in caso di sublocazione occasionale. Non devono essere incluse le spese accessorie, come spese condominiali, utenze (luce, acqua, gas), portineria o riscaldamento. Se il fabbricato è locato solo per una parte dell’anno, il canone deve essere indicato in proporzione ai giorni di durata della locazione.
Le riduzioni forfettarie da applicare al canone contrattuale variano come segue:
− 5% per la generalità dei fabbricati (deduzione forfettaria);
− 25% per i fabbricati situati in Venezia centro, Isole della Giudecca, Murano e Burano;
− 35% per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico.
Nel caso di immobili storico-artistici, per individuare il reddito imponibile si opera il confronto tra il 65% del canone contrattuale e il 50% della rendita catastale rivalutata del 5%. Se il locatore opta per il regime della cedolare secca, l’importo del canone da assumere in sede di confronto è sempre il 100%.
Locazioni a canone concordato
Per gli immobili a uso abitativo locati a “canone concordato” (art. 3, comma 2, Legge n. 431/1998), situati in Comuni ad alta densità abitativa, il regime fiscale è ulteriormente agevolato, in quanto:
− il reddito fondiario determinato ai sensi dell’art. 37, TUIR (ovvero il maggiore tra rendita rivalutata e canone ridotto del 5%) è ridotto di un ulteriore 30%. Pertanto, il reddito tassato corrisponderà al 66,5% del canone contrattuale se questo è superiore alla rendita rivalutata;
− se si opta per l’imposta sostitutiva, questa è fissata al 10%. In questo caso, non viene applicata l’ulteriore riduzione del 30% sul reddito imponibile.
Lo stesso regime agevolato (riduzione del 30% in tassazione ordinaria o cedolare al 10%) si applica ai contratti di locazione stipulati per soddisfare esigenze abitative di studenti universitari fuori sede sulla base di apposite convenzioni nazionali.
La gestione della morosità e del canone non percepito
Una delle specificità del reddito fondiario è che, in linea di principio, il canone è soggetto a IRPEF anche se non percepito, finché il contratto non è risolto.
Limitatamente ai contratti di locazione di immobili a uso abitativo, la normativa ha previsto una deroga a partire dal 1° gennaio 2020: la possibilità di detassare i canoni non percepiti è stata anticipata al momento dell’ingiunzione di pagamento o dell’intimazione di sfratto, senza dover attendere la conclusione del procedimento. Se, ad esempio, l’intimazione di sfratto avviene entro il termine di presentazione del Modello Redditi dell’anno successivo a quello di mancata percezione, il locatore può dichiarare la sola rendita catastale rivalutata.
Per le locazioni di immobili non abitativi, questa deroga non si applica. Il canone, anche se non incassato, deve essere dichiarato nella misura risultante dal contratto di locazione. La tassazione cessa solo quando interviene una causa di risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto. Per gli immobili non abitativi, le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate.
Credito d’imposta e riscossione successiva
Per i canoni scaduti e non percepiti, accertati nell’ambito di un procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità, è riconosciuto un credito d’imposta pari all’importo delle imposte versate in eccesso. Tale credito si calcola riliquidando la dichiarazione dei redditi degli anni in cui i canoni non riscossi erano stati inclusi nell’imponibile. L’eventuale riscossione totale o parziale successiva di questi canoni, per i quali si è usufruito del credito d’imposta, comporta l’obbligo di dichiarare il maggior reddito imponibile tra i redditi soggetti a tassazione separata, salvo opzione per la tassazione ordinaria.
La locazione del detentore: sublocazione e comodato
La questione dell’imputazione del reddito si complica quando il fabbricato non è locato direttamente dal proprietario, ma da un soggetto che ne detiene la disponibilità tramite un titolo non reale, come la locazione o il comodato. La norma di comportamento n. 233 del 6 novembre 2025 dell’AIDC, si inserisce proprio per chiarire l’imputabilità dei canoni in questi contesti, distinguendo nettamente il reddito fondiario del possessore dal reddito diverso del detentore-locatore.
Sublocazione
Quando, al di fuori dell’esercizio d’impresa, il conduttore di un fabbricato (locatario) lo concede a sua volta in sublocazione:
− il proprietario o titolare del diritto reale (locatore originario) è tassato secondo le regole del reddito dei fabbricati, senza considerare il corrispettivo della sublocazione. Egli determina il suo reddito fondiario in base al canone pattuito nel contratto di locazione originario;
− il sublocatore (conduttore originario) è imponibile sul corrispettivo percepito come reddito diverso, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. h), TUIR.
Il reddito diverso derivante dalla sublocazione è determinato dalla differenza tra l’ammontare del canone di subaffitto percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla produzione di tale reddito. Pertanto, il sublocatore potrà scomputare dal reddito derivante dal canone di sublocazione quello pagato al proprietario del fabbricato, assoggettando a IRPEF solamente la differenza tra tali 2 importi.
Locazione da parte del comodatario
In merito all’ipotesi della concessione in locazione del fabbricato da parte del comodatario, in passato (risoluzione n. 381/E/2008 e risoluzione n. 394/E/2008) l’Agenzia delle Entrate aveva sostenuto che il comodato, essendo un contratto a effetti obbligatori e non reali, non trasferiva la titolarità del reddito fondiario. Di conseguenza, si riteneva che, anche se il comodatario stipulava un contratto di locazione, il reddito derivante restasse imputabile al comodante in quanto titolare del diritto reale (ai sensi dell’art. 26, TUIR). Tale posizione era stata condivisa anche dalla Corte di Cassazione in diverse sentenze (sent. n. 5588/2021 e n. 5000/2024).
Il pensiero dell’Agenzia delle Entrate
Le 2 citate risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (la n. 381/E/2008 e la n. 394/E/2008), affrontano la questione della corretta imputazione fiscale dei redditi fondiari (IRPEF) in presenza di scissioni di diritti reali e di concessioni in comodato. Il principio cardine su cui si basano entrambe le pronunce è dettato dall’art. 26, TUIR, il quale stabilisce che i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.
La risoluzione n. 381/E/2008, analizza il caso della donazione con riserva di usufrutto, chiarendo che la soggettività passiva d’imposta si sposta dal nudo proprietario all’usufruttuario (il donante/padre). L’usufruttuario è quindi obbligato a dichiarare il reddito del fabbricato. Entrambi i documenti di prassi definiscono il contratto di comodato (disciplinato dagli artt. 1803 ss., c.c.) come un accordo con effetti “obbligatori” e non “reali”. Il comodato fa nascere per il comodatario solo un “diritto personale” di godimento e non costituisce un “altro diritto reale”.
Ne consegue che la concessione in comodato non è idonea a trasferire la titolarità del reddito fondiario dal soggetto titolare del diritto reale (proprietario o usufruttuario) al comodatario. Pertanto, anche se il comodatario (la figlia nuda proprietaria nel primo caso o la moglie nel secondo caso) stipuli un contratto di locazione agendo come locatore, il reddito effettivo derivante dall’affitto deve essere imputato al titolare del diritto reale. Il reddito da locazione, ridotto forfetariamente del 15% (se superiore alla rendita catastale rivalutata del 5%), deve essere dichiarato nel quadro RB del Modello Redditi (o 730) dal proprietario-comodante o dall’usufruttuario-comodante. Solo il proprietario o usufruttuario è tenuto a compilare tale quadro in quanto titolare del relativo reddito fondiario.
Le locazioni brevi
Successivamente alle prese di posizione dell’Agenzia delle Entrate, il Legislatore è intervenuto con l’art. 4, comma 3, D.L. n. 50/2017, estendendo l’applicazione della cedolare secca alle locazioni brevi (durata non superiore a 30 giorni) nelle quali il locatore sia il comodatario, equiparando, di fatto, la sua posizione a quella del sublocatore. Per le locazioni brevi, questo intervento ha superato esplicitamente i precedenti orientamenti di prassi: per il comodante resta il reddito fondiario del possesso, mentre il comodatario/locatore è titolare del reddito diverso, con la possibilità di accedere alla cedolare secca.
A commento delle novità previste per le locazioni brevi, la circolare n. 24/E/2017, stabilisce che, nell’ambito dei contratti di locazione breve (di durata non superiore a 30 giorni), i corrispettivi lordi derivanti dai contratti a titolo oneroso stipulati dal comodatario aventi a oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi devono essere qualificati come reddito diverso, assimilabile alla sublocazione, e sono perciò imputati direttamente al comodatario/locatore.
La norma AIDC n. 233
Sulla scorta delle indicazioni fornite per le locazioni brevi, la norma AIDC n. 233, estende analogicamente il principio della sublocazione al caso in cui il comodatario (colui che detiene l’immobile per effetto di un contratto di comodato) lo conceda in locazione a terzi, per qualunque durata.
La norma n. 233, stabilisce che:
− il proprietario o titolare del diritto reale (comodante) è soggetto a imposta sul reddito fondiario derivante dal possesso del fabbricato, senza considerare il corrispettivo della locazione stipulata dal comodatario;
− il comodatario-locatore è imponibile sul corrispettivo della locazione come reddito diverso, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. h), TUIR.
L’AIDC motiva questa conclusione affermando che il presupposto impositivo del reddito di locazione si realizza in capo al soggetto che assume la veste di parte contrattuale nel contratto di locazione e, perciò stesso, manifesta la capacità contributiva derivante dall’avere titolo a incassare il relativo canone.
Come già anticipato, l’orientamento espresso dall’AIDC contrasta con precedenti pronunce di prassi dell’Agenzia delle Entrate e di giurisprudenza di legittimità, risalenti a un’epoca antecedente all’introduzione del D.L. n. 50/2017.
L’AIDC sostiene che, alla luce dell’intervento normativo per le locazioni brevi, non sussistono ragioni di interpretazione sistemica o disposizioni normative che giustifichino una diversa imputazione del reddito per i contratti di locazione stipulati dal comodatario che abbiano una durata superiore a 30 giorni. Pertanto, la logica del reddito diverso in capo al comodatario, introdotta per le locazioni brevi, deve essere estesa a tutte le durate contrattuali.
Determinazione del reddito diverso
Quando il reddito è imputato al comodatario/locatore o al sublocatore come reddito diverso (art. 67, comma 1, lett. h), TUIR), questo viene determinato, ai sensi dell’art. 71, comma 2, TUIR, come la differenza tra l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla produzione di tale reddito.
È importante notare che, se il comodatario opta per la cedolare secca, pur essendo applicabile anche ai redditi diversi, tale regime può risultare penalizzante. Questo perché l’opzione per la cedolare secca non consente di dedurre il canone di locazione eventualmente pagato dal primo locatario (nel caso di sublocazione) o altre spese inerenti che sarebbero altrimenti deducibili nell’ambito della tassazione ordinaria dei redditi diversi.
Cenni sulle locazioni e il comodato in regime d’impresa
Sebbene l’analisi contenuta nella norma AIDC si concentri sui soggetti IRPEF non imprenditori, è opportuno distinguere brevemente il regime fiscale applicabile ai fabbricati detenuti nell’ambito di un’attività d’impresa.
I fabbricati locati detenuti in regime d’impresa possono essere classificati come:
− immobili merce o immobili strumentali (per natura o per destinazione): i canoni concorrono alla determinazione del reddito d’impresa del locatore in base alle risultanze del Conto economico;
− immobili patrimoniali: i canoni concorrono alla formazione del reddito d’impresa in base alle risultanze catastali, ai sensi dell’art. 90, comma 1, TUIR.
Quando un bene è concesso in comodato d’uso da un’impresa (comodante), le quote di ammortamento relative al bene sono fiscalmente deducibili in capo al comodante, purché sussistano i requisiti di inerenza del costo e strumentalità del bene rispetto all’attività d’impresa esercitata. La strumentalità e l’inerenza esistono se il bene cede le proprie utilità all’impresa proprietaria, anche se utilizzato dal comodatario (ad esempio, per propagandare la produzione o abbassare i costi di fornitura).
In capo al comodatario esercente attività d’impresa, anche se detiene l’immobile di terzi (come nel comodato), può dedurre i costi sostenuti per lavori di ristrutturazione o manutenzione, a condizione che sussista il requisito dell’inerenza, intesa come nesso di strumentalità (anche solo potenziale) tra il bene e l’attività svolta dall’impresa.
Per quanto riguarda, infine, i beni destinati a studenti universitari, a decorrere dal 2024, i redditi derivanti dalla messa a disposizione di posti letto in alloggi per studenti universitari (ai sensi della Legge n. 338/2000) non concorrono alla formazione del reddito IRPEF/IRES e IRAP nella misura del 40%, a condizione che tali redditi rappresentino più della metà del reddito percepito in relazione all’utilizzo dell’immobile.


