24 Marzo 2017

Pubblicità: la nuova disciplina scopre gli “scheletri nell’armadio”

di Fabio Garrini
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Tra le molte modifiche introdotte dal D.Lgs. 139/2015 in materia di redazione dei bilanci d’esercizio delle società, spicca il divieto di capitalizzazione delle spese di ricerca (l’OIC 24, precisa, solo quella di base) e di quelle di pubblicità; la modifica introdotta vieta alle imprese di capitalizzare nuove spese e impone la necessità di stornare le spese già in precedenza capitalizzate. Pare però interessante mettere a confronto la vecchia e la nuova disciplina al fine di valutare quali siano davvero i cambiamenti. Nel presente contributo ci si soffermerà sulle spese di pubblicità.

Le discipline a confronto

In tema di possibilità di capitalizzare le spese di pubblicità, l’OIC 24 nella versione approvata del gennaio 2015, al paragrafo 46, prevedeva la possibilità di capitalizzare tali costi solo se relativi ad operazioni non ricorrenti (ad esempio il lancio di una nuova attività produttiva o l’avvio di un nuovo processo produttivo diverso da quelli avviati nell’attuale core business) sulle quali la società ha ragionevoli aspettative di importanti e duraturi ritorni economici risultanti da piani di vendita approvati formalmente dalle competenti funzioni aziendali.

La modifica legislativa alla voce BI2 esclude la possibilità di una generica capitalizzazione dei costi di pubblicità, ma consente quella relativa ai costi di impianto e ampliamento. Pertanto, i costi di pubblicità precedentemente capitalizzati, se soddisfano i requisiti ora stabiliti per la capitalizzazione dei costi di impianto e ampliamento, possono essere riclassificati, in sede di prima applicazione della nuova versione dell’OIC 24, dalla voca BI2 alla voce BI1. I costi di pubblicità, che non soddisfano i requisiti per la capitalizzazione tra i costi di impianto e di ampliamento, sono eliminati dalla voce BI2 dell’attivo dello stato patrimoniale.

Il paragrafo 24 del principio contabile OIC24 prevede che nei costi di impianto ed ampliamento possono essere anche inclusi i costi di start up: si tratta di costi sostenuti da una società di nuova costituzione per progettare e rendere operativa la struttura aziendale iniziale, o i costi sostenuti da una società preesistente prima dell’inizio di una nuova attività, quali ad esempio un nuovo ramo d’azienda, un nuovo centro commerciale per una società che opera nella grande distribuzione, un nuovo processo produttivo.

Nel paragrafo 43 viene precisato che i costi di start-up possono essere capitalizzati quando sono rispettate tutte le seguenti condizioni:

  • i costi sono direttamente attribuibili alla nuova attività e sono limitati a quelli sostenuti nel periodo antecedente il momento del possibile avvio (i costi generali e amministrativi e quelli derivanti da inefficienze sostenute durante il periodo di start-up non possono essere capitalizzati);
  • il principio della recuperabilità dei costi è rispettato, in quanto è ragionevole una prospettiva di reddito.

Il richiamato paragrafo 24 ammette che tra i costi di start up possano esservi anche le spese di pubblicità.

Conclusioni

Quindi, tirando le somme, possiamo affermare che in relazione alle spese di pubblicità “ordinarie”, anche se ingenti, la capitalizzazione oggi è preclusa, ma nei fatti già lo era anche in passato. Oggi la norma limita la capitalizzazione alle spese di pubblicità connesse alla fase di start up, secondo la definizione richiamata; prima la capitalizzazione richiedeva che la spesa non fosse ricorrente (ma lo stesso principio qualificava la ricorrenza nel lancio di una nuova attività produttiva).

La definizione non è identica, ma in entrambi i casi la possibilità di capitalizzazione di tali spese era davvero esigua.

Quindi, le spese di pubblicità da stornare che creano importanti grattacapi ad alcune società, forse difettavano dei requisiti per la capitalizzazione già in passato; possiamo dire, in fin dei conti, che il tenore sostanziale dell’OIC 24, sul punto, non si è evoluto così tanto.

Piuttosto, la necessità di riqualificare le spese di pubblicità come spese di impianto ed ampiamento ha messo a nudo una situazione latente già presente, facendo di fatto emergere uno “scheletro nell’armadio”.

A ben vedere, per le spese prive del requisito dell’eccezionalità, la correzione 2016 degli importi iscritti dovrebbe seguire le regole, descritte dall’OIC 29, della correzione di errori, non quella del cambio di principio contabile. Se così è, va segnalata anche una necessaria ricaduta fiscale: le quote non dedotte non potranno essere recuperate tramite variazioni in diminuzione nei prossimi esercizi in applicazione dell’articolo 13-bis, comma 7, lett. c), del decreto Milleproroghe ma piuttosto pare necessario recuperarne la deduzione tramite presentazione di una dichiarazione integrativa con riferimento all’annualità nella quale è avvenuta la non corretta capitalizzazione.

Al contrario, se le spese di pubblicità hanno natura di spese non ricorrenti, come in passato era lecita la capitalizzazione, ancora oggi quella è ammessa: in tal caso andranno semplicemente riclassificate in una nuova voce, senza quindi che si debba provvedere ad alcuna rettifica degli importi in passato capitalizzati.

La redazione del bilancio 2016