20 Maggio 2017

Omesso versamento Iva: reato solo con la volontà del soggetto passivo

di Marco Bargagli
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L’attuale contingenza economica sta creando notevoli problemi finanziari alle imprese italiane che, molto spesso, non riescono ad onorare le proprie obbligazioni tributarie.

Ai fini penali il D.Lgs. 74/2000 contempla due ipotesi sanzionatore in caso di omesso versamento di ritenute certificate e omesso versamento dell’Iva dovuta.

In particolare:

  • ai sensi dell’articolo 10-bis del D.Lgs. 74/2000, rubricato “Omesso versamento di ritenute certificate”, é punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta le ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione ossia risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta;
  • ai sensi dell’articolo 10-ter del D.Lgs. 74/2000 rubricato “Omesso versamento di Iva”, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

Le soglie di rilevanza penale sono state innalzate per effetto delle novità introdotte dal D.Lgs. 158/2015 in quanto, in precedenza, era molto semplice superare l’esiguo limite fissato in 50.000 euro per ogni periodo d’imposta.

Ciò posto è importante verificare se la crisi economica dell’impresa, che comporta una notevole carenza di risorse finanziarie, possa o meno costituire causa di forza maggiore idonea ad escludere il reato di omesso versamento dell’Iva e/o delle ritenute certificate.

Sullo specifico tema è intervenuta la Corte di Cassazione, con la recente sentenza 1 febbraio 2017, n. 15235, confermando che la fattispecie di reato di omesso versamento di Iva risulta integrata dal cd. dolo generico di evasione, con conseguente coscienza e volontà di non adempiere da parte del soggetto attivo del reato.

Infatti, i supremi giudici ricordano che costituisce un costante indirizzo di legittimità quello per cui l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito la sua azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la correlata crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto.

In buona sostanza, occorre provare che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili.

In relazione a quanto sopra esposto la Corte ha annullato la sentenza impugnata, rinviando la decisione ad altra sezione della Corte di appello.

Infatti, il giudice di prime cure non ha adeguatamente motivato la decisione proprio sulla base del predetto orientamento espresso dagli ermellini, valutando in modo approfondito le reali cause che hanno comportato l’omesso versamento dei tributi dovuti da parte del contribuente.

Ricorso tributario, istanza di sospensione e litisconsorzio