12 Settembre 2025

Nessuna plusvalenza sull’abitazione principale senza residenza anagrafica

di Cristoforo Florio
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Ai fini dell’esenzione da plusvalenza fiscale da cessione infraquinquennale di abitazione da parte di un privato (art. 67, comma 1, lett. b), TUIR) rileva la situazione di fatto, consistente nella dimora abituale, di quest’ultimo o dei suoi familiari, in quel determinato immobile, a prescindere dalle risultanze anagrafiche.

Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 11786/2025 dello scorso 5 maggio 2025.

Prima di addentrarci oltre nel tema, è opportuno ricordare che la citata norma di Legge prevede, nell’ambito dei redditi diversi, la tassabilità della plusvalenza conseguita da un “privato”, a seguito della cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni.

La disposizione, tuttavia, esenta da imponibilità IRPEF, oltre il caso dei fabbricati e terreni non edificabili pervenuti per successione, anche l’ipotesi delle unità immobiliari urbane utilizzate come abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, per la maggior parte del periodo intercorso tra la data di acquisto o costruzione e quella di vendita.

Per quanto riguarda la locuzione “abitazione principale”, come chiarito anche dalle istruzioni al modello Redditi PF, essa rappresenta l’abitazione «nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente». Inoltre, per “familiari” si intendono il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado (art. 5, comma 5, TUIR).

Nella fattispecie trattata dai Supremi Giudici, l’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di un contribuente persona fisica un avviso di accertamento, con il quale recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, la plusvalenza da quest’ultimo realizzata a seguito della cessione a titolo oneroso di un bene immobile, acquistato a un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello di vendita e posseduto solo per un anno.

A fondamento della sua pretesa tributaria, l’Amministrazione finanziaria rilevava che l’immobile in questione non era stato adibito ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari e, pertanto, doveva escludersi che la plusvalenza conseguita fosse esente da IRPEF, non risultando tale residenza dai registri anagrafici del Comune.

Tuttavia, il contribuente si difendeva vittoriosamente, provando in giudizio di aver utilizzato l’immobile quale propria abituale dimora nel lasso di tempo intercorso fra l’acquisto e la successiva cessione, pur non avendo mai acquisito in tale appartamento la residenza anagrafica.

Con la pronuncia in esame, la Cassazione – nel riconoscere le ragioni del contribuente – ha chiarito, quindi, che la norma di cui all’art. 67, comma 1, TUIR, ai fini dell’esenzione da IRPEF della plusvalenza, intende attribuire esclusivo rilievo alla situazione di fatto consistente nella dimora abituale in un determinato immobile, a prescindere dalle risultanze anagrafiche.

Conseguentemente, prosegue l’ordinanza in commento, deve sempre riconoscersi al soggetto anagraficamente residente in un Comune la possibilità di provare che un immobile sito in altro luogo sia stato effettivamente destinato a sua abitazione principale per la maggior parte del tempo intercorso prima della vendita (cfr. anche Cass., n. 30180/2021).

In senso conforme, si era espresso anche lo stesso Fisco, con la risoluzione n. 218/E/2008. In tale ambito, infatti, era stato chiarito che la dimora abituale in un luogo diverso da quello risultante dai registri anagrafici è possibile, ma deve poter essere dimostrata dal contribuente sulla base di circostanze oggettive, quali – ad esempio – l’intestazione delle utenze domestiche, l’utilizzo effettivo dei servizi connessi e l’indicazione del domicilio nella corrispondenza ordinaria.

Allo stesso modo e specularmente, va consentito anche all’Amministrazione finanziaria di fornire elementi presuntivi atti a vincere le risultanze anagrafiche, onde dimostrare che un immobile ceduto a titolo oneroso a meno di 5 anni di distanza dal suo acquisto non abbia costituito la dimora abituale del cedente nel periodo anteriore all’alienazione.

Il principio espresso nella pronuncia in esame, quindi, non va letto univocamente a favore del contribuente, in quanto il rilievo dell’elemento fattuale a discapito di quello formale potrebbe essere utilizzato anche da parte dell’Amministrazione finanziaria, a supporto delle proprie tesi.

Al riguardo, merita menzione la posizione della Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio, la quale – con sentenza n. 6615/14/2024 – ha stabilito che la mera residenza anagrafica non sia elemento sufficiente a escludere da tassazione la plusvalenza generata dalla vendita infraquinquennale di un immobile. Ad avviso del collegio giudicante, infatti, per poter beneficiare dell’esenzione da IRPEF, sarebbe necessario dimostrare con elementi oggettivi – come spese per utenze o servizi – l’effettivo utilizzo dell’immobile quale abitazione principale, non essendo sufficiente il mero dato anagrafico.

Da ultimo, è importante evidenziare che, con l’ordinanza in questione, la Cassazione ha censurato la sentenza del giudice d’appello, evidenziando l’importanza della possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle CGT, dichiarazioni rese da terzi, anche in sede extraprocessuale, aventi il valore probatorio proprio degli elementi indiziari.

In altri termini, assumerebbero rilievo, ai fini della prova della dimora abituale (e, quindi, dell’esenzione IRPEF della plusvalenza anche in assenza del requisito della residenza anagrafica,) anche le dichiarazioni e le testimonianze provenienti da terzi, le quali possono costituire degli indizi suscettibili di condurre, nel contesto di una valutazione complessiva delle posizioni contrastanti delle parti, ad una decisione favorevole alla parte che abbia apportato tali elementi di prova.