L’efficacia vincolante della certificazione delle attività di R&S
di Luigi ScappiniPer consentire alle imprese l’applicazione della disciplina del credito d’imposta ricerca e sviluppo in condizioni di certezza operativa, l’art. 23, D.L. n. 73/2022, convertito in Legge n. 122/2022, ha introdotto la possibilità di richiedere una certificazione attestante la qualificazione degli investimenti già svolti, ancora in corso o da svolgere.
La procedura è esperibile sia in relazione ai crediti d’imposta R&S maturati nei periodi dal 2015 al 2019, di cui all’art. 3, D.L. n. 145/2013, e s.m.i., sia in relazione ai crediti d’imposta R&S, IT e design di cui all’art. 1, Legge n. 160/2019, e s.m.i., maturati dal 2020 al 2025 (fino al 2031 per le attività di R&S).
La certificazione, rilasciata dai soggetti abilitati iscritti all’Albo MIMIT (consultabile al seguente link https://certificatoricreditors.mimit.gov.it/Consultazione), esplica, in caso di esito positivo, “effetti vincolanti” nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in relazione all’inquadramento delle attività, già effettuate o da effettuare, fra quelle di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica o design e ideazione estetica.
Si tratta di un’ottima opportunità per le imprese, che possono scegliere di avvalersene, per tutelarsi da eventuali contestazioni sollevate in sede di controllo sui crediti d’imposta.
Tuttavia, questo strumento di tutela conosce delle limitazioni di carattere oggettivo e temporale.
Sotto il profilo oggettivo, la certificazione produce i suoi effetti esclusivamente per quanto attiene la qualificazione tecnica degli investimenti, restando impregiudicate le ordinarie attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate.
A mero titolo esemplificativo e non esaustivo, resta impregiudicata la possibilità di subire contestazioni in merito all’ammissibilità dei costi rendicontati fra le fattispecie contemplate o alla congruità delle spese.
Inoltre, l’efficacia vincolante non si produce qualora la certificazione venga rilasciata per un’attività diversa da quella effettivamente realizzata.
Sotto il profilo temporale, gli effetti della certificazione non si verificano al momento della trasmissione al MIMIT.
Esiste, infatti, un lasso di tempo della durata di 90 giorni dalla data di ricezione per l’avvio dell’esame delle certificazioni da parte del MIMIT.
Se l’impresa viene selezionata per il controllo, anche in relazione allo scambio di comunicazioni, informazioni e segnalazioni tra il MIMIT e l’Agenzia delle Entrate disciplinato dal D.D. del 22 luglio 2025, il Ministero richiede al certificatore l’invio, entro i successivi 15 giorni (prorogabili di ulteriori 15 in situazioni straordinarie), della documentazione tecnica, nonché contrattuale e contabile rilevante ai fini della valutazione.
Il MIMIT ha ulteriori 60 giorni di tempo per completare l’analisi, potendosi esprimere negativamente con provvedimento di diniego.
In caso di diniego o in caso di mancato invio nei termini della documentazione, la certificazione non produce effetti. Il provvedimento di diniego può essere impugnato dall’impresa tramite ricorso al TAR, anche sulla base delle ampie motivazioni su cui si fonda la sentenza del TAR del Lazio n. 15039 del 29 luglio 2025.
Al contrario, spirato il termine di 90 giorni dalla trasmissione senza richieste dal MIMIT, la certificazione produce i suoi “effetti vincolanti”.
La procedura può essere avviata anche per attività effettuate, purché le eventuali violazioni sull’utilizzo del credito d’imposta non siano già state constatate in un processo verbale di constatazione.
Tuttavia, secondo un filone giurisprudenziale in via di consolidamento (si cita, qui, la CGT di II grado della Lombardia, sentenza n. 883/2025 depositata il 4 aprile 2025), la valutazione tecnica rilasciata da un certificatore iscritto all’Albo del MIMIT è comunque un dato indicativo della qualificazione delle attività, ancorché rilasciata post constatazione delle violazioni: «Sebbene la società allo stato non possa avvalersi compiutamente di tale procedura stante la previsione contenuta nel secondo comma, quarto periodo, del cennato art. 23 (“Le certificazioni di cui al primo, secondo e terzo periodo possono essere richieste a condizione che le violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta previsti dalle norme citate nei medesimi periodi non siano state già constatate con processo verbale di constatazione”) il dato è comunque indicativo nella misura in cui si tratta di una valutazione tecnica offerta da un professionista qualificato e certamente competente del settore, che non ha trovato puntuale smentita da parte dell’ufficio».
Qualora la procedura di certificazione sia in corso all’avvio di accessi, ispezioni e verifiche è buona prassi per il contribuente, come suggerisce il MEF nell’atto di indirizzo del 1° luglio 2025, darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate in ottica collaborativa.
In tutti i casi in cui la certificazione sia in grado di esplicare i suo “effetti vincolanti” nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, un eventuale atto che contesti la fruizione del credito d’imposta sotto l’unico profilo della qualificazione tecnica dell’investimento «potrà essere censurato sotto il profilo della sua nullità, con tutte le relative possibili conseguenze sotto il piano giuridico, secondo i principi generali».


