Le opzioni contabili nell’assegnazione agevolata dei beni ai soci
di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365L’art. 14 della manovra di bilancio 2026 ripropone l’assegnazione ai soci di determinati beni.
Appare, quindi, utile passare in rassegna i metodi contabili prospettati dalla prassi, allo scopo di verificare, in relazione a ognuno di essi, le relative conseguenze sia civilistiche che fiscali.
In ordine alla rappresentazione contabile dell’assegnazione dei beni ai soci sono stati proposte 3 opzioni così sintetizzabili:
- il metodo del valore contabile che si fonda sullo storno di una riserva di ammontare pari al valore contabile del bene assegnato;
- il metodo dell’iscrizione di una riserva da rivalutazione monetaria di ammontare pari alla differenza tra il valore normale del bene assegnato e il suo valore contabile;
- il metodo proposto dal CNDCEC con il documento del 14 marzo 2016 fondato sull’imputazione a Conto economico di una plusvalenza di ammontare sempre pari alla differenza tra il valore normale del bene assegnato e il suo valore contabile.
La prima opzione contabile viene ritenuta carente di adeguata informativa, in ordine all’effettiva ricchezza distratta dal compendio patrimoniale della società, dal momento che il valore di mercato del bene assegnato è presumibile sia superiore al suo valore contabile.
La seconda soluzione, anche se fondata su una dinamica contabile ritenuta più completa in quanto idonea a perequare il valore del ben assegnato a quello corrente, viola il divieto legislativo di rivalutare i beni senza il supporto di specifiche prescrizioni normative. Viene ritenuta perseguibile tale soluzione, nel caso il ricorso alla rivalutazione del cespite, con contropartita l’apposita riserva, sia solo momentanea e infrannuale, non venendosi così a violare il regime di redazione legale del bilancio d’esercizio.
Infine, la terza forma di rappresentazione contabile viene fatta derivare dal documento del CNDCEC, che sostituisce la rivalutazione con una diretta imputazione a Conto economico di una plusvalenza sempre pari alla differenza tra il valore di mercato e il valore contabile e che raccorderebbe il suo fondamento giustificativo con il risparmio che la società beneficerebbe nell’estinguere il debito verso il socio assegnatario, commisurato al valore di mercato del bene, con una posta patrimoniale di minor valore contabile.
In ordine alle 3 opzioni contabili, si ritiene di dover preliminarmente evidenziare come l’assegnazione dell’immobile al socio non si raccordi causalmente con un ordinario atto di mercato, avendo essa, piuttosto, un nesso causale diretto con il diritto economico del socio, la cui disciplina non deriva dalla libera negoziazione tipica degli schemi onerosi di contratto, ma dal documento costitutivo della società e dalla quota di partecipazione del socio al capitale sociale di sottoscrizione della medesima. La rappresentazione contabile delle varie vicende intersoggettive società – socio, secondo le tradizionali impostazioni scritturali, va sempre raccordata con il Patrimonio netto, sia nella fase costitutiva dell’apporto, sia durante le fisiologiche vicende remuneratorie in c/dividendo con lo storno dell’utile dell’esercizio o degli utili già stanziati a riserva e sia in sede di estinzione del rapporto sociale con la restituzione pro quota del Patrimonio netto. In altri termini, qualora tra società e socio non venga a delinearsi un ordinario contratto di scambio ripetitivo delle medesime prerogative commerciali dell’atto di mercato, ma una mera appendice del contratto societario, non sembra essere coerente con i fondamenti causali dell’atto sociale, ricorrere a una commistione contabile di 2 atti con nessi giustificativi del tutto diversi economico-commerciale il primo (l’emersione della plusvalenza tipica di una compravendita), sociale il secondo (la distribuzione del dividendo a titolo remuneratorio del capitale investito).
Peraltro, ritenere che la plusvalenza possa derivare dal fatto che per l’estinzione di un debito di valore pari a quello corrente del bene assegnato, si procede a chiudere un conto di minor valore contabile (pari a quello di iscrizione in bilancio dell’immobile), non appare coerente con il paradigma dell’autentica “ricchezza realizzata”, dal momento che, al di là dell’eterogeneità di espressione valutativa delle 2 poste (corrente e nominale), si registra solo una fuoriuscita di ricchezza dalla società, in ogni caso corrispondente al valore di mercato del bene che viene assegnato
Il Conto economico, come noto, è deputato a rappresentare solo l’effettiva ricchezza che deriva dall’azione d’impresa nel mercato o in ogni caso proveniente da economie terze, senza l’influenza di ricchezze puramente virtuali generate dai diritti dei soci. Nei rapporti sociali con i soci, la società non consegue né perdite, né guadagni, essendo le interlocuzioni patrimoniali con questi ultimi attinenti alle dinamiche del rapporto sociale e non al mercato, dal quale soltanto possono derivare utili o perdite effettivamente realizzate.
A ulteriore specificazione, si ritiene anche di evidenziare come l’assegnazione al socio di un bene del compendio patrimoniale, in unione con congiunte erogazioni agli altri soci per l’osservanza dei diritti sociali di ognuno di essi, per la dottrina non viene a riassumere l’autentico paradigma di “debito” della società, se non in un’accezione formale, costituendo tali assegnazioni/erogazioni solo l’espressione contabile dell’esecuzione di atti potestativi decisi dai soci nell’ambito delle specifiche dinamiche giuridiche del contratto della società. Alla base del contratto della società (art. 2247, c.c.) vi è l’apporto di una dote patrimoniale dei soci con un preciso vincolo di scopo che, però, non è inamovibile, ma solo subordinato all’osservanza delle complessive tutele legislative verso i terzi. Nel rispetto di tali cautele la dote patrimoniale può e persino, in sede di liquidazione della società, deve essere restituita ai soci in proporzione ai loro diritti economici e nella misura decrementata o aumentata in raccordo con i risultati di gestione. Non vi è alcuna autentica relazione di debito/credito tra società e soci, ma solo aspettative di dovere/diritto che raccordano il loro nesso diretto al contratto di società e non a relazioni similari agli atti di mercato, per cui nel caso di assegnazione di un bene immobile di valore nominale di 150, a fronte di un suo valore corrente di 450, la società non beneficia di alcun vantaggio economico, derivandole dalla vicenda liquidatoria/remuneratoria con il proprio socio solo un depauperamento patrimoniale di 450.
In conclusione, la scrittura contabile che si reputa corretta va così rappresentata:
Riserve euro 150 a Socio/A c/dividendo 150
Socio/A c/dividendo 150 a Immobile 150
in ordine alla quale l’ammontare di 150 costituisce il valore nominale/contabile dell’immobile assegnato, pur riassumendo esso un valore di mercato di 450, corrispondente alla prima opzione contabile sopra segnalata.


