Le cause di decadenza dal concordato richiedono un necessario coordinamento processuale
di Luciano SorgatoCome anche rappresentato nella circolare 18/E/2024, l’articolo 22, decreto CPB, prevede che, al verificarsi di talune fattispecie, ritenute potenzialmente sintomatiche di comportamenti scarsamente affidabili, il contribuente decada dal concordato preventivo biennale, precludendo al medesimo di produrne gli effetti per entrambi i periodi d’imposta.
Tra le cause di decadenza si ritiene di selezionarne 2, che non appaiono essere del tutto temporalmente coordinate con la perdita degli effetti dell’istituto:
- l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza o l’indeducibilità di passività dichiarate per un importo superiore al 30% dei ricavi dichiarati;
- violazioni constatate che integrano le fattispecie di cui al D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) relativamente ai periodi d’imposta oggetto del concordato.
Preliminarmente si sottolinea come all’Amministrazione finanziaria, in ordine ai poteri della verifica, venga precluso il solo ricorso alle presunzioni semplici, rimanendo per il resto integre le ordinarie facoltà di accertamento nei confronti dei contribuenti tenuti all’obbligo delle scritture contabili. Le presunzioni, come noto, si risolvono in giudizi inferenziali tra fatti noti e fatti indotti e non ricalcano le prerogative dei giudizi interpretativi sulle norme di legge che presidiano – attraverso la previsione di principi generali (inerenza, certezza, oggettiva determinazione, competenza, cassa) – la determinazione del reddito d’impresa o del lavoro autonomo. L’interpretazione di tali presupposti di governo dei redditi concordatari si presta, al pari di ogni scrutinio esegetico, a giudizi di scienza e di merito, che possono divergere sul piano dell’esito. Peraltro, l’ermeneutica di un diritto così specialistico come il diritto tributario, richiede la ricerca di una tenuta a sistema che procuri coesione a livello d’intersezione delle norme, necessario, in primis, ad evitare forme distorsive di doppia imposizione ed anche di ammanchi impositivi. Si pensi, ancora, ai rapporti sostitutivi con gli ordinari redditi perduti, che l’articolo 6, comma 2, Tuir, disciplina e che richiedono la necessità di correlare l’indennizzo al paradigma del lucro cessante, con esonero di effetti fiscali per il c.d. danno emergente o all’inerenza che, sul piano di una configurazione concettuale teorica, potrebbe oggi dirsi delineata con sufficiente chiarezza, ma che intercalata nei singoli contesti e specifiche dinamiche imprenditoriali, stenta talora a riassumere un preciso nesso causale con il reddito di riferimento. Per il giudice di Cassazione (sentenza n. 6114/2024): “In tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito (e non dall’art. 109, comma 5, TUIR, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si raccordano con una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo”. Nonostante, però, la Cassazione, sin dalla sentenza n. 450/2018, abbia ritenuto che l’inerenza deve essere intesa alla sola stregua di un giudizio meramente qualitativo, di relazione solo funzionale tra il costo sostenuto e l’attività d’impresa, con esclusione di ogni scrutinio utilitaristico – quantitativo, anche di recente (ordinanza n. 12511/2024) ha ritenuto assumere rilievo anche un giudizio di congruità ed antieconomicità della spesa, inteso come proporzionalità tra il quantum corrisposto ed il vantaggio conseguito, tornando ad intersecare con il giudizio qualitativo, l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, alla stregua di indici sintomatici della carenza di inerenza, sia pure con l’ambigua precisazione che tali presupposti non s’identificano in essa.
Anche in ordine alla competenza che l’Agenzia delle entrate ritiene di dover coordinare con l’articolo 1510 cod. civ, in ordine all’adempimento della consegna per le cessioni di beni e alle regole giuridiche dell’appalto in ordine all’ultimazione dei servizi, non sempre è agevole identificare, con unicità oggettiva di scrutinio temporale, la rilevanza dei relativi effetti fiscali. In senso più generale nell’interpretazione delle norme tributarie, concorrono componenti valutative di tipo soggettivo che agevolmente possono portare a conclusioni diverse.
Proprio in raccordo con tale presumibile mancanza di unicità di scrutini di diritto e di merito sull’operatività delle regole fiscali, appare necessario chiedersi in ordine per il momento alla prima causa di decadenza sopra indicata (l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza o l’indeducibilità di passività dichiarate per un importo superiore al 30% dei ricavi dichiarati), quando essa può dirsi sopravvenuta. In altri termini, in caso di contrasto sulla portata della norma tra contribuente e Finanza, si deve ritenere prevalente il giudizio dei verificatori e, quindi, la rappresentazione dell’illecito nei documenti istruttori redatti da questi ultimi, secondo il loro unilaterale intendimento valutativo? Oppure, in caso di impugnazione rituale, del correlato atto impositivo da parte del contribuente all’esito conclusivo del contenzioso tributario? Sebbene entrambe le opzioni appaiono poco coerenti con la necessità da una parte di interdire un potere di decadenza unilaterale incentrato su soli giudizi della Finanza e dall’altra con la necessaria stabilità dell’istituto che potrebbe apparire poco consono lasciare sospeso per l’intera durata del contenzioso tributario, tra le due soluzioni si deve ritenere che verrebbe senz’altro a vertere in una condizione di piena antitesi alla democrazia dell’istituto, assumere che i verificatori possano unilateralmente ergersi ad arbitri della conservazione o della decadenza del concordato. L’acclarata decadenza del concordato non potrà, quindi, che venire concretizzata attraverso la notifica di un apposto atto di decadenza dell’istituto con diritto d’impugnazione da parte del contribuente di fronte agli organi del contenzioso tributario (ricongiungibile all’atto di revoca e con la necessaria sospensione degli effetti del concordato).
Ma anche in ordine all’altra descritta fattispecie di decadenza dal concordato (violazioni constatate che integrano le fattispecie di cui al D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) relativamente ai periodi d’imposta oggetto del concordato) la formula legislativa usata propone la medesima ambiguità, dal momento che la “constatazione” riassume il solo significato di ritenere esistente la forma di offesa del bene giuridicamente protetto, secondo le regole che non ricalcano certo la definitività della configurazione criminosa, la quale può aversi solo con il filtro garantisco del processo.
Se si raccorda l’esempio al delitto di cui all’articolo 3, D.Lgs. 74/2000, come revisionato dal D.Lgs. 158/2015 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) essa poggia su una condotta bifasica: 1) l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento del falso contabile;
2) l’indicazione in dichiarazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, ovvero di elementi passivi fittizi, da cui deve conseguire il superamento delle soglie dii punibilità.
La prima fase può ricongiungersi a 3 modalità alternative di condotta. Il contribuente può realizzare il delitto:
- compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente oppure;
- utilizzando documenti falsi o ancora;
- ponendo in essere altri mezzi fraudolenti idonei ad ostruire l’accertamento o in ogni caso indurre in errore l’Amministrazione Finanziaria.
Trattasi, quindi, di condotte innescate dal dolo specifico, che richiedono una multipla verifica di fattori che non può ritenersi incentrata sul solo organo inquirente, senza il filtro garantistico di un’Autorità giudiziaria, per cui vengono a riproporsi le analoghe ambiguità temporali già sopra rappresentate in ordine all’accertamento tributario.
Va ancora considerato che la causa di decadenza comporta il ripristino dell’ordinaria latitudine dei poteri accertativi, con la possibilità, per i verificatori, di tornare ad avvalersi delle presunzioni semplici e di corredare l’avviso di accertamento con poteri istruttori altrimenti preclusi. Sul piano processuale si pone, quindi, la necessità di un coordinamento di rapporti contenziosi, in quanto la verifica della decadenza degli effetti dell’istituto si pone come condizione di pregiudizialità per la legittimità dell’avviso di accertamento fondato su più ampi poteri istruttori, altrimenti limitati in caso di concordato valido.