La tassazione dell’indennità di esproprio
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLa risposta a interpello n. 289/E/2025, Agenzia delle Entrate, ha stabilito che l’indennità percepita da un soggetto non imprenditore per la costituzione di una servitù sul proprio fondo, nell’ambito di una procedura di espropriazione per pubblica utilità (art. 44, D.P.R. n. 327/2001), genera redditi diversi. Tali redditi devono essere tassati ai sensi della lett. h), comma 1, art. 67, TUIR, come modificato dalla Legge di bilancio 2024. L’Agenzia delle Entrate ha motivato questa classificazione sostenendo che la nuova disciplina della lett. h), si applica alla “costituzione” dei diritti reali di godimento, escludendo l’applicabilità della lett. b), riservata alle sole ipotesi di “cessione” di diritti reali. Questa conclusione comporta il superamento di precedenti chiarimenti (circolare n. 194/1998) che escludevano la tassazione delle indennità per servitù, in quanto il contribuente manteneva la proprietà dell’immobile. Il saldo dell’indennità percepita, quindi, va assoggettato a imposizione come reddito diverso ai sensi della lett. h), art. 67, TUIR.
Aspetti civilistici
Il principio del diritto all’indennizzo trova la sua radice nell’art. 42, comma 3, Cost. e nell’art. 834, c.c., i quali stabiliscono che la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale solo nei casi previsti dalla legge e previo pagamento di una giusta indennità. La norma costituzionale ha lo scopo di trovare un equilibrio tra l’interesse della collettività e il sacrificio imposto al privato. La posizione del privato può essere sacrificata solo in presenza di un interesse generale, di una previsione legislativa che lo consenta e di un indennizzo che compensi il sacrificio.
Le regole per la determinazione dell’indennità definitiva sono contenute negli artt. 32-42, D.P.R. n. 327/2001 (Testo Unico delle Espropriazioni). La determinazione distingue tra aree edificabili o edificate e aree non edificabili.
Per le aree edificabili, il criterio generale è il valore venale dell’area (art. 37, comma 1, D.P.R. n. 327/2001). Per le aree edificate, l’indennità è determinata nella misura pari al suo valore venale (art. 38, comma 1, D.P.R. n. 327/2001). È previsto che, quando l’espropriazione è finalizzata all’attuazione di interventi di riforma economico-sociale, l’indennità sia ridotta del 25%. Il criterio attuale del valore venale è stato raggiunto attraverso un’evoluzione normativa significativa:
− inizialmente, l’art. 5-bis, Legge n. 359/1992, prevedeva la semisomma tra il valore venale del bene e il reddito dominicale rivalutato, con decurtazione del 40%;
− la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 348/2007, dichiarò l’illegittimità costituzionale di tale criterio, stabilendo che non consentiva la corresponsione di somme congruamente proporzionali al valore dei beni;
− di conseguenza, i giudici di legittimità ritennero applicabile il criterio generale del valore venale;
− infine, l’art. 2, comma 89, lett. a), Legge n. 244/2007 (che ha sostituito l’art. 37, comma 1, D.P.R. n. 327/2001) ha statuito che l’indennità per le aree fabbricabili debba essere determinata nella misura pari al valore venale.
Per le aree non edificabili coltivate, l’indennizzo di esproprio corrisponde al valore agricolo dell’area, considerando le colture effettivamente praticate sul fondo e il valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati in relazione all’esercizio dell’azienda agricola. La legge prevede inoltre una indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata (art. 40, comma 4, D.P.R. n. 327/2001).
Titolari del diritto e ripartizione delle indennità
L’indennità di esproprio spetta al proprietario del bene da espropriare (art. 34, comma 1, D.P.R. n. 327/2001). I titolari di un diritto reale o personale sul bene (come l’usufruttuario) non hanno diritto a una indennità aggiuntiva (salvo l’art. 42, D.P.R. n. 327/2001), ma possono far valere il loro diritto «sull’indennità di esproprio». L’espropriazione comporta l’estinzione automatica di tutti gli altri diritti, reali o personali, gravanti sul bene (art. 25, comma 1, D.P.R. n. 327/2001). Tali diritti possono essere fatti valere unicamente sull’indennità. Per quanto riguarda l’usufrutto, l’art. 1020, c.c., stabilisce che, se la cosa è espropriata, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità relativa. Questo determina un mutamento dell’oggetto dell’usufrutto, che si sposta dal bene fisico al diritto di credito verso la PA per la corresponsione dell’indennità. Per la riscossione di tali somme, è necessario il concorso del titolare del credito e dell’usufruttuario (art. 1000, c.c.). La giurisprudenza ha confermato la necessità del litisconsorzio necessario tra nudo proprietario e usufruttuario nei giudizi di opposizione alla stima.
Gli artt. 25 e 34, D.P.R. n. 327/2001, letti congiuntamente agli artt. 1000 e 1020, c.c., stabiliscono la necessità di ripartizione tra nudo proprietario e usufruttuario per determinate tipologie di indennità:
− indennizzo per perdita di valore del bene e per la costituzione di una servitù (art. 44, D.P.R. n. 327/2001): la sua determinazione è ricondotta dalla giurisprudenza alla disciplina propria dell’indennità di esproprio;
− indennizzo per la reiterazione del vincolo (art. 39, D.P.R. n. 327/2001): la legittimazione attiva a chiedere tale emolumento spetta sia all’usufruttuario che al nudo proprietario;
− indennizzo per i disagi subiti e indennizzo per i danni conseguenti alla mancata ricostruzione di una parte dell’edificio demolita: anche questi dovrebbero essere ripartiti, poiché l’usufruttuario subisce sia la compressione delle facoltà di godimento, sia l’estinzione del suo diritto reale relativamente all’edificio perito.
L’indennizzo forfettario per la ricostruzione di una parte degli immobili demolita dipende dalla scelta della parte che si farà carico di tale iniziativa. Se l’usufrutto ha a oggetto un edificio, in caso di perimento del bene, l’art. 1018, comma 2, c.c., stabilisce che l’usufruttuario ha diritto di godere dell’area e dei materiali residui. Tuttavia, la facoltà del proprietario di provvedere alla ricostruzione provoca, per giurisprudenza, l’estinzione del diritto di usufrutto.
L’indennizzo per la perdita di reddito dell’attività di ristorazione non rientra nella nozione di indennità di espropriazione. La legge non consente la valutazione del pregiudizio all’attività di impresa, ivi compresi l’avviamento o il mancato guadagno (lucro cessante), che restano estranei alla nozione di indennità (art. 42, Cost.). L’indennità è rapportata solo al valore del bene espropriato. Se l’ente espropriante riconosce tale emolumento, civilisticamente esso assume la veste di risarcimento del danno da lucro cessante. Tale emolumento dovrebbe spettare unicamente al titolare dell’impresa.
Inquadramento fiscale
Per i soggetti che non esercitano un’impresa commerciale (ad esempio, privati persone fisiche o società semplici), la plusvalenza realizzata su terreni a seguito di procedimenti di espropriazione per pubblica utilità è tassata come reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), TUIR. Questa disposizione è esplicitata dall’art. 35, D.P.R. n. 327/2001. La cessione di un terreno in un procedimento espropriativo è tassabile a prescindere dalla destinazione agricola o edificatoria.
Le somme tassate sono:
− l’indennità di esproprio;
− il corrispettivo della cessione volontaria attuata nell’ambito di procedimenti espropriativi; e
− il risarcimento del danno per acquisizione coattiva.
L’elemento discriminante per l’imponibilità non è la destinazione edificatoria, bensì l’ubicazione dei terreni. Le somme devono essere percepite in relazione a procedimenti aventi a oggetto terreni ove sia stata realizzata un’opera pubblica, un intervento di edilizia residenziale pubblica o una infrastruttura urbana, purché tali terreni siano ubicati all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti urbanistici.
Le zone omogenee (D.M. n. 1444/1968) sono definite come segue:
− zona A: parti del territorio interessate da agglomerati urbani con carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale;
− zona B: parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A;
− zona C: parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o quasi totalmente inedificate;
− zona D: parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o a essi assimilati.
Se i terreni non ricadono in tali zone omogenee, le indennità relative non generano plusvalenza e non sono assoggettate a tassazione.
Le somme accessorie che generano plusvalenza sono le seguenti:
− indennità per il deprezzamento residuo dell’area non espropriata: rientra tra i redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. b), TUIR, in quanto tassata ai sensi dell’art. 35, D.P.R. n. 327/2001. Tale indennità, corrisposta ai sensi dell’art. 33, D.P.R. n. 327/2001 (esproprio parziale), costituisce parte integrante dell’indennità di esproprio;
− interessi sulle indennità di esproprio e indennità di occupazione: concorrono a formare il reddito imponibile del percipiente «nel loro intero ammontare» (art. 35, comma 6, D.P.R. n. 327/2001);
− indennità che non generano plusvalenza (orientamento previgente, superato per le servitù dal 2024): prima delle modifiche del 2024, non davano luogo a plusvalenza e non erano tassate le indennità per la concessione di servitù, in quanto il contribuente conservava la proprietà dell’immobile e le indennità di esproprio di fabbricati e pertinenze.
Regime di tassazione e determinazione della plusvalenza
Il soggetto che corrisponde le somme in favore di soggetti non imprenditori è tenuto a operare una ritenuta a titolo di imposta, pari al 20% dell’intero ammontare corrisposto. Questo prelievo esaurisce gli obblighi tributari del soggetto espropriato (art. 35, comma 2, D.P.R. n. 327/2001).
Il contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, ha la facoltà di optare per la tassazione ordinaria, o per la tassazione separata, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. g-bis), TUIR. In entrambi i casi di opzione, la ritenuta del 20% già operata dall’ente erogatore all’atto dell’erogazione si considera effettuata a titolo d’acconto. Se viene esercitata l’opzione per la tassazione ordinaria, il contribuente deve calcolare la plusvalenza ai sensi dell’art. 68, comma 1, TUIR. La plusvalenza è determinata dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta (incluse l’indennità principale e l’indennità di deprezzamento), e il prezzo di acquisto (o il valore indicato nell’atto di successione o donazione), come eventualmente accertato, aumentato di ogni altro costo inerente (art. 68, comma 1, TUIR). Il costo d’acquisto, inoltre, è aumentato di ogni altro costo inerente e rivalutato sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (c.d. indice FOI). La plusvalenza si considera conseguita nell’anno in cui è percepita l’indennità o il corrispettivo.
Il risarcimento del lucro cessante
L’indennizzo per la perdita (totale o parziale) dei redditi connessi all’attività imprenditoriale non rientra nell’indennità di espropriazione (art. 42, Cost.). Civilisticamente, tale emolumento assume la veste di risarcimento del danno da lucro cessante. Tale risarcimento spetta unicamente al titolare dell’impresa.
Ai sensi dell’art. 6, comma 2, TUIR, i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Poiché l’emolumento risarcisce la perdita di reddito d’impresa (lucro cessante), esso concorre alla determinazione del reddito d’impresa in capo al beneficiario.
Le somme volte a compensare la mancata percezione di redditi o il mancato guadagno (lucro cessante) sono imponibili. Al contrario, le somme volte a indennizzare le perdite effettivamente subite (danno emergente) non sono imponibili, stante la loro funzione di reintegrazione patrimoniale. Questo risarcimento sembrerebbe riconducibile tra le indennità risarcitorie ex art. 88, comma 3, lett. a), TUIR. L’imputazione al reddito d’impresa avviene in base al principio di competenza, vale a dire nel periodo d’imposta in cui sorge il diritto alla percezione dell’indennizzo.
Plusvalenza d’impresa e imputazione temporale
Se i terreni sono beni relativi a un’impresa commerciale, la plusvalenza conseguente all’esproprio concorre a formare il reddito di impresa. Quando i beni (strumentali o patrimoniali) sono considerati “merce”, le indennità percepite concorrono a formare il reddito imponibile (artt. 86, comma 1, lett. b) e 101, comma 5, TUIR). La misura è pari alla differenza tra l’indennizzo conseguito (al netto degli oneri accessori) e il costo non ammortizzato dei beni.
Nel caso in cui l’indennità provvisoria non sia accettata e la liquidazione definitiva sia superiore, l’eventuale sopravvenienza attiva rilevata in esercizi successivi concorre a formare il reddito a norma dell’art. 86, comma 4, TUIR, seguendo i criteri delle plusvalenze (art. 88, comma 2, TUIR).
L’imputazione temporale della plusvalenza derivante dall’esproprio varia a seconda del regime contabile adottato:
− soggetti che adottano il principio di derivazione rafforzata: i componenti di reddito concorrono a formare il reddito imponibile nel periodo d’imposta in cui sono rilevati contabilmente (art. 83, comma 1, TUIR);
− altri soggetti: in forza dell’art. 109, comma 2, lett. a), TUIR, i componenti di reddito derivanti dalla corresponsione di indennità di esproprio si considerano conseguiti alla data di emanazione del decreto di esproprio (art. 23, D.P.R. n. 327/2001), poiché è a tale atto che si ricollega l’effetto traslativo del bene.
L’indennità per la costituzione di servitù alla luce della risposta a interpello n. 289/E/2025
Tradizionalmente, in relazione alle indennità percepite nell’ambito di procedure di espropriazione, la circolare n. 194/1998, aveva chiarito che le somme corrisposte a titolo di indennità di servitù non dovevano essere assoggettate a tassazione, in quanto il contribuente conservava la proprietà del cespite. Tuttavia, il quadro normativo è mutato con la Legge di bilancio 2024 (Legge n. 213/2023), che ha modificato l’art. 67, TUIR, decorrente dal 1° gennaio 2024, distinguendo tra:
− gli atti di cessione a titolo oneroso di diritti reali immobiliari continuano a ricadere nella lett. b);
− gli atti di costituzione di diritti reali di godimento rientrano nella nuova lett. h), TUIR.
La costituzione di diritti reali di godimento, a differenza delle cessioni, è ora imponibile a prescindere dal periodo di possesso dell’immobile.
Un criterio interpretativo autentico (art. 1, comma 1-bis, D.L. n. 84/2025) ha stabilito che la distinzione tra “cessione” e “costituzione” dipende dal mantenimento del diritto reale:
− il reddito derivante dalla costituzione di diritti reali di godimento rientra nella lett. h), quando il soggetto disponente mantiene un diritto reale sul bene immobile;
− si qualifica come plusvalenza (tassabile ai sensi delle lett. b) e b-bis) se il disponente si spoglia contestualmente e integralmente di ogni diritto reale sul bene.
Ad esempio, il proprietario di un terreno che concede il diritto di superficie sul terreno (finalizzato alla costruzione di un impianto fotovoltaico) mantiene un diritto reale sul terreno stesso, ragion per cui il corrispettivo percepito rientra nella fattispecie di cui all’art. 67, comma 1, lett. h), TUIR.
La differenza tra le 2 fattispecie di tassazione (lett. b) e h), art. 67, TUIR) non è di poco conto, soprattutto perché nella lett. b), sono presenti diverse esimenti e maggiori opportunità per una tassazione inferiore. Infatti:
− le cessioni di fabbricati (o di terreni agricoli) detenuti da più di 5 anni non producono alcun reddito;
− i fabbricati (e i terreni agricoli) ceduti, e pervenuti al cedente per successione, non realizzano alcun reddito diverso in capo al cedente;
− la cessione di fabbricati, anche se posseduti da meno di 5 anni, che per la maggior parte del periodo di possesso sono stati adibiti ad abitazione principale del cedente, o dei suoi familiari, non realizzano plusvalenze imponibili;
− i terreni edificabili, la cui cessione genera in ogni caso redditi diversi di cui all’art. 67, lett. b), TUIR, possono essere oggetto di rivalutazione con pagamento dell’imposta sostitutiva del 18% (e l’eventuale plusvalenza può essere soggetta a tassazione separata);
− le plusvalenze derivanti dalla cessione infraquinquennale di fabbricati e terreni agricoli possono essere assoggettati, su richiesta del cedente al notaio, a imposta sostitutiva del 26%.
Al contrario, i redditi derivanti dalla costituzione di diritti reali di godimento non fruiscono di alcuna esclusione in funzione né del periodo di possesso, né del titolo di provenienza. Allo stesso tempo, l’unica modalità di tassazione delle plusvalenze derivanti dalla costituzione di tali diritti è quella ordinaria.
L’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello n. 289/E/2025, ha stabilito che l’indennità che, a norma dell’art. 44, D.P.R. n. 327/2001, il proprietario ha ricevuto nel 2024 per la costituzione sul proprio fondo di una servitù (nell’ambito di una procedura di espropriazione per pubblica utilità) genera redditi diversi ex art. 67, comma 1, lett. h), TUIR. L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che il nuovo dettato normativo e le modifiche all’art. 67, TUIR (in particolare la previsione della lett. h) comportino la superazione del precedente orientamento che escludeva la tassazione delle indennità di servitù.
Il saldo dell’indennità percepito per la costituzione del diritto di servitù volontaria deve essere assoggettato a imposizione come reddito diverso ai sensi della lett. h), art. 67, TUIR. Questo perché la costituzione della servitù implica che il contribuente mantiene un diritto reale sul bene. Rimane tuttavia aperto il dibattito sull’interpretazione letterale dell’art. 35, D.P.R. n. 327/2001, che tradizionalmente ricondurrebbe tutte le indennità da “espropriazione” esclusivamente alla lett. b).


