La seconda notifica dell’appello non modifica il termine di deposito
di Fabio CampanellaL’art. 53, D.Lgs. n. 546/1992, prevede che l’appello dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria di II grado va presentato, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di prime cure, seguendo le forme previste per la notifica del ricorso in I grado e deve essere depositato nei 30 giorni successivi alla notifica.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24513/2025 del 4 settembre 2025, ha risolto una questione interpretativa inerente il decorso del termine decadenziale per il deposito in giudizio di un appello, nel caso la parte abbia provveduto – entro il termine di impugnazione della sentenza – a effettuare una seconda notifica dell’appello in sostituzione della prima.
I Supremi Giudici hanno chiarito che «l’onere di deposito dell’atto notificato entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso concerne esclusivamente l’atto d’appello originario, e non anche le eventuali successive rinotifiche dello stesso, tanto ove siano disposte d’ufficio dal Giudice, quanto ove sia, come accaduto nel caso di specie, effettuate spontaneamente dalla parte appellante». La predetta interpretazione sulla tempestività del deposito dell’atto di appello è stata giustificata dalla ratio degli artt. 53 e 22, D.Lgs. n. 546/1992, che, secondo i giudici di legittimità, è volta a garantire l’esigenza del giudice adito di avere una tempestiva conoscenza della proposizione dell’impugnazione, da un lato, e di determinare l’effettiva pendenza del giudizio di appello, dall’altro, al fine di permettere il corretto esercizio della funzione giurisdizionale. Il Collegio, richiamando la precedente ordinanza n. 28177/2024, hanno meglio specificato che «il termine per il deposito presso la segreteria della Commissione tributaria deve ritenersi riferito unicamente alla notifica primigenia dell’atto introduttivo dell’impugnazione, restando irrilevante – ai fini della sua decorrenza – la data di eventuali rinotifiche»; per l’effetto, nel caso esaminato, la seconda notifica dell’appello e il suo tempestivo deposito non ha inciso sulla violazione del termine di deposito connesso alla prima notifica, che non è influenzabile dalla ritualità della prima notifica né dalla scelta di effettuarne una seconda.
Con l’interpretazione in commento il Collegio pare distanziarsi almeno parzialmente dal precedente orientamento assunto con le sentenze di Cassazione n. 15441/2010 del 30 giugno 2010 e n. 21442/2014 del 10 ottobre 2014 che escludevano la consumazione del potere di impugnazione di una sentenza, ammettendo plurimi atti di appello notificati tempestivamente entro il termine decadenziale di impugnazione; deve comunque rilevarsi che nei citati precedenti non venivano affrontati gli aspetti connessi alla tempestività del deposito dinanzi al giudicante, concentrando l’analisi sulla possibilità di proposizione di più atti di appello con particolare riferimento alla tempestività della notifica degli stessi rispetto al termine decadenziale di impugnazione.
Incidentalmente, poi, i giudici hanno colto l’occasione per soffermarsi anche su 2 differenti aspetti ermeneutici di interesse generale.
Il primo è relativo alla prova della notifica degli atti introduttivi nel processo tributario che con il deposito telematico potrebbe essere data mediante la produzione di una stampa in formato .pdf della ricevuta di consegna della PEC di notifica – unica modalità ammessa nella prima vigenza del sistema di deposito telematico ai sensi dell’art. 10, D.M. 4 agosto 2015 (G.U. n. 184 del 2015) – ovvero mediante il deposito della PEC in formato .eml (possibilità introdotta dal 15 maggio 2023 in forza delle modifiche introdotte dal D.M. 21 aprile 2023, G.U. n. 102 del 2023). Il Collegio ha ribadito che «le riproduzioni in formato PDF non hanno il valore sufficiente a fornire la prova dell’avvenuta notifica, poiché non provano che il messaggio contiene effettivamente l’atto che si dice di aver notificato. L’avviso di consegna, invero, potrebbe al massimo dimostrare la consegna di un messaggio a mezzo PEC, ma non è idoneo a provare che a quel messaggio vi è allegato uno specifico documento: tale prova può essere fornita dal mittente solamente con l’esibizione del documento nel formato informatico “.eml”».
Il secondo chiarimento ermeneutico adottato dalla Corte riguarda il motivo di ricorso in Cassazione previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., inerente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; il Collegio ha chiarito che un precedente giurisprudenziale non esaminato dal giudicante non rientra nella nozione di fatto storico rilevante ai fini del citato motivo di ricorso in quanto, «per la configurabilità del vizio in esame, il “fatto decisivo” deve consistere in un accadimento storico, un dato materiale o un episodio fenomenico dotato di autonoma rilevanza, suscettibile di incidere direttamente sulla decisione di merito, e non già in un precedente giurisprudenziale». I giudici, poi, richiamando precedenti pronunce hanno ribadito che «il fatto storico prospettato, inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia».


