16 Maggio 2025

La riconversione della coltura nel quinquennio comporta la decadenza dalla ppc?

di Luigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

L’acquisto di terreni da parte di soggetti qualificati che svolgono attività agricole, come definite dall’articolo 2135, cod. civ., da sempre soggiace a un regime agevolato per quanto riguarda le imposte indirette.

L’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009, convertito con modificazioni in L. 25/2010, ha, da ultimo, previsto a regime un’agevolazione, nota come piccola proprietà contadina, che, introdotta nel lontano 1964, nel tempo veniva “sistematicamente” prorogata.

L’agevolazione, nello specifico, consiste nell’applicazione delle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e dell’imposta catastale nella misura dell’1%, nonché nella riduzione degli onorari dei notai alla metà.

I soggetti interessati sono i coltivatori diretti e gli Iap (imprenditore agricolo professionale) che risultano regolarmente iscritti alla previdenza agricola.

I beni oggetto di agevolazione devono consistere in terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti.

Con evidente spirito antielusivo, la norma prevede, inoltre, che tali soggetti decadono dalle agevolazioni se, prima che siano trascorsi 5 anni dalla stipula degli atti, procedono all’alienazione volontaria dei terreni oggetto di compravendita, ovvero cessano di coltivarli o di condurli direttamente.

In deroga a tale previsione, non si ha decadenza, per effetto di espresso rimando alle casistiche di cui all’articolo 11, D.Lgs. 228/2001, ferma restando la destinazione agricola, ne casi di alienazione del fondo o concessione in godimento dello stesso a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, che esercitano anch’essi l’attività di imprenditore agricolo, di cui all’articolo 2135, cod. civ., nonché in caos di alienazione derivante all’attuazione di politiche comunitarie, nazionali e regionali volte a favorire l’insediamento di giovani in agricoltura o tendenti a promuovere il prepensionamento nel settore.

In riferimento all’obbligo di coltivazione o conduzione diretta per il quinquennio dall’acquisto, la CGT di II grado del Trentino Alto Adige, con la recente sentenza n. 8 del 13 febbraio 2025, analizza l’ipotesi di “sospensione” dalla coltivazione in ragione di opere di conversione a diversa coltura dei terreni, riformando quanto precedentemente statuito con la sentenza n. 146, pubblicata il 29 dicembre 2023 della CGT di I grado di Bolzano, con cui era stato affermato che, ai fini dell’agevolazione, è sufficiente che i terreni siano potenzialmente destinabili all’agricoltura (e dunque qualificati agricoli in base agli strumenti urbanistici vigenti) e che l’insieme delle attività preliminari e preparatorie svolte per operare la conversione di coltura (nel caso di specie da meleti a vigneti) e di realizzare i necessari locali agricoli, rientrino nell’ambito della coltivazione e conduzione dei fondi (e in senso conforme le sentenze, sempre di Bolzano di I grado n. 11/2018 e di II grado n. 120/2018).

I giudici bolzanini avvalorano il cambio di rotta in ragione della natura della norma che, essendo agevolativa, richiede una stretta interpretazione, ragion per cui, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità “ciò che rileva, ai fini della decadenza dalla agevolazione, è il fatto oggettivo della cessazione della coltivazione diretta, mentre il legislatore non attribuisce valenza alle ragioni per le quali ciò avviene” (ordinanza n. 32149/2022).

Premesso che l’ordinanza richiamata concerne la corretta decadenza dall’agevolazione, in quanto gli acquirenti avevano cessato la coltivazione o conduzione diretta, poiché avevano proceduto alla concessione in affitto parte del fondo (godimento stagionale per coltivazione ortaggi), ciò che rileva è che i supremi giudici, per quanto concerne le possibili scelte imprenditoriali, fanno salvo il caso di mancata conduzione (o coltivazione del fondo) in ragione dell’esecuzione di opere prodromiche e funzionali all’esercizio dell’agricoltura, riconducibili a quelle previste dall’articolo 3, L. 53/1956, trattandosi di attività che rispondono a scelte imprenditoriali e organizzative dell’acquirente e che, dunque, non possono ritenersi non imputabili allo stesso.

Tali attività consistono nelle opere di miglioramento fondiario e, in particolare, la costruzione di edifici rurali per l’abitazione del proprietario o dell’enfiteuta, per il ricovero degli animali, per la conservazione e la lavorazione dei prodotti, il dissodamento dei terreni e la sistemazione idraulica e irrigua.

Una siffatta interpretazione, tuttavia, a parere di chi scrive, non coglie appieno la ratio della norma ispiratrice e soprattutto non tiene conto dell’evoluzione del concetto di imprenditore agricolo che, per effetto della Riforma del 2001, si caratterizza per la multifunzionalità che non può e non deve essere vista esclusivamente da un punto di vista di attività esercitabili ma anche di diversificazione all’interno della stessa categoria di attività esercitata.

Se si dovesse accogliere la posizione della Cassazione, ne deriverebbe, quale corollario, l’impossibilità da parte dell’imprenditore agricolo di acquistare un fondo, strategico o funzionale per la sua attività, in cui sia svolta una coltura differente dalla propria, pena la decadenza dall’agevolazione in quanto, come nel caso della sentenza della CGT di II grado in commento, è evidente che il cambio di coltura comporta un lasso di tempo in cui il fondo non viene “coltivato e non è nemmeno oggetto di dissodamento o di sistemazione idraulica e irrigua.