8 Ottobre 2025

La controversa applicazione dell’art. 108, TUIR, alle imprese minori

di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
Scarica in PDF

La questione riguarda l’operatività nei confronti delle imprese minori delle prescrizioni fiscali dell’art 108, TUIR, relativamente alla categoria delle spese a utilità pluriennale, dipendendo la relativa disciplina da precise opzioni di bilancio che le imprese in regime contabile semplificato non redigono. L’analisi prende spunto dall’art. 56, comma 1, TUIR, che testualmente dispone: «Il reddito d’impresa è determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II del titolo II (a mente del quale, art. 83, TUIR: «Il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lett. a e b. del comma 1 dell’art 73 – e, quindi delle S.p.A., S.a.p.a., S.r.l., società cooperative e di mutua assicurazione, società europee di cui al Regolamento (CE) 2157/2001; tutte, quindi, obbligate alla tenuta delle ordinarie scritture contabili prescritte dal Codice civile e, in primis, del libro giornale e del libro degli inventariè determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione») salvo quanto stabilito nel presente capo» (Capo VI del Titolo I – IRPEF).

Va, quindi, sottolineato come risulti inconfutabile che i soggetti IRPEF determinano il reddito d’impresa in piena conformità con le regole fiscali dei soggetti IRES, con le sole tassative deroghe raccordate a specifiche fattispecie di volta in volta legislativamente individuate. Se si passano in rassegna tali parcellizzate deroghe, a partire dall’art. 57 (“Ricavi”) e proseguendo con gli artt. 58 (“Plusvalenze”), 59 (“Dividendi”), 60 (“Spese per prestazioni di lavoro”), 61 (“Interessi passivi”), 62 e 63 (abrogati), 64 (“Norme generali del reddito d’impresa”) e 65 (“Beni relativi all’impresa”), non si rinviene per i soggetti IRPEF alcuna deroga alle prescrizioni che disciplinano il reddito d’impresa per i soggetti IRES, in ordine alla disciplina fiscale delle spese a utilità pluriennale. Tale prima rassegna normativa appare sintomatica dell’esigenza avvertita dal Legislatore di non modificare, oltre la misura strettamente necessaria, i criteri determinativi del reddito d’impresa a motivo della conformazione strutturale dell’imposta, se non per i presupposti che abbiano una stretta derivazione causale dalle specifiche prerogative della persona fisica rispetto a quella giuridica (l’art. 57, ad esempio, comprende tra le fattispecie di ricavo anche il valore normale dei beni destinati al consumo personale dell’imprenditore o dei suoi familiari, fattispecie ovviamente mancante per i soggetti IRES).

E tale necessità di criteri determinativi uniformi per l’IRPEF e per l’IRES deriva in primis dal principio di rango costituzionale della capacità contributiva, il cui unico parametro è dato dall’effettiva consistenza di forza economica che viene a manifestarsi nel periodo d’imposta e non da parametri connessi a fattori che contraddistinguono la persona fisica dalla persona giuridica. Espletata questa prima verifica, si deve ancora sottolineare come, in ordine al regime contabile, il Legislatore proceda a non diversificare (se non per la stretta misura necessaria a garantire le necessarie tutele erariali, talora bisognose di specifica trasparenza informativa, come avviene per gli stanziamenti ai fondi) i criteri determinativi del reddito d’impresa in dipendenza dei supporti contabili impiegati, in quanto, dalla semplificazione delle scritture contabili, non è all’evidenza lecito far derivare differenti manifestazioni di capacità contributiva. A tale specifico proposito, l’art. 66 (rubricato “Imprese minori”) al comma 3 testualmente recita: «Si applicano oltre a quelle richiamate nei precedenti commi le disposizioni di cui all’art. 56, comma 5, 65, 91, 100, 108, 90 comma 2, 99 commi 1 e 3, 109, commi 5,7 e 9 lett. b, 110 commi 1,2,5,6 e 8».

Proprio con specifico riferimento alle imprese minori, l’art. 108 viene richiamato nella sua intera portata disciplinare, senza previsione alcuna di deroghe o eccezioni. E che tale plenaria disciplina risponda a un preciso e ponderato volere legislativo è inconfutabile, dal momento che il richiamo di tale articolo non viene menomato di alcun suo comma, a differenza di altre disposizioni solo richiamate in maniera parcellizzata (come, per fare un esempio, l’art. 99, richiamato solo per i commi 1 e 3).

Nonostante, quindi, le imprese minori non redigano il bilancio, la soluzione fiscale non può che venire raccordata al tracciato normativo dell’art. 2426, comma 1, punto 5, c.c., il quale nel prevedere letteralmente che l’ammortamento delle spese d’impianto e di ampliamento non deve essere superiore a 5 anni, dimostra di non raccordare ad alcuna rigidità quinquennale la distribuzione delle spese in questione. Anzi, la congiunta e coerente considerazione di tutti i presupposti che il citato punto 5, con rigorosa sequenza di prescrizioni, prevede per legittimare il rinvio delle spese d’impianto e di ampliamento, dimostra un intendimento legislativo solo disposto a tollerarne il differimento, privilegiando piuttosto la soluzione della deduzione in un’unica soluzione e in ogni caso nel periodo più breve possibile. Tale versione ermeneutica è confortata dalla sentenza n. 377/2006 della Corte di Cassazione, dell’11 gennaio 2006, che si è specificamente pronunciata sulla versione letterale dell’art 71, comma 3, D.P.R. n. 597/1973, la quale impiegava il medesimo testo letterale ora trasfuso nell’art. 108, comma 1, TUIR, evidenziandone la mancanza di precise prescrizioni di coordinamento, conformandosi strutturalmente alla stregua di una norma in bianco e, in tempi più recenti, anche la sentenza n. 34398/2019 ha ripreso puntualmente l’arresto di cui alla citata sentenza n. 377/2006, cui ha inteso dare continuità, proprio sul presupposto che trattasi di una scrittura normativa in bianco, priva di comandi prescrittivi.

La versione letterale usata nell’art. 108, TUIRLe spese relative a più esercizi sono deducibili nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio») non prospetta, infatti, indicazioni precise e autonome, idonee a individuare un criterio determinativo dell’ammontare della quota e un raccordo temporale di riferimento. Il confronto, ad esempio (tra i vari possibili), con l’art. 106, comma 1, TUIR, rende evidente la natura di norma “non prescrittiva” dell’art. 108 in questione. L’art. 106 ricongiunge la svalutazione dei crediti (circoscrivendoli ai soli crediti di natura commerciali che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi di cui al comma 1 dell’art 85, TUIR) al limite annuo dello 0,50% del loro valore nominale o di acquisizione, inibendo la deduzione al raggiungimento della percentuale del 5% del medesimo valore.

Il confronto regolamentare delle 2 norme è di cristallina chiarezza e rende palese l’inidoneità regolamentare dell’art. 108 che, come rappresentato dalla stessa Amministrazione finanziaria nelle circolari n. 73/E/1994 e n. 108/E/1996, si accoda alla fonte disciplinare civilistica (art. 2426, comma 1, punto 5, c.c.). Alla luce di quanto sopra esposto, dalla rappresentata configurazione di “norma in bianco” dell’art. 108, comma 3, TUIR, supplita sul piano disciplinare dalla dipendenza dal bilancio, appare estendibile anche alle imprese minori il regolamento fiscale delle spese a utilità pluriennale previsto per le imprese in regime ordinario, nonostante la mancanza di redazione del bilancio da parte di queste ultime. In caso contrario, verrebbe a mancare un qualsiasi criterio determinativo e tam quam non esset il rinvio all’art. 108 operato dall’art. 66. Tale conclusione può dirsi, in parte, confermata dalla prassi (circolare n. 11/E/2017, pag. 14) per la quale testualmente: «È da rilevare, inoltre, che, a seguito delle modifiche al codice civile apportate dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 139, le spese di pubblicità e le spese di ricerca (di base e applicata) non sono più capitalizzabili … Pertanto, le spese di pubblicità e le spese di ricerca (di base e applicata) sono deducibili secondo il criterio di cassa».

Da tale passo dell’istruzione di prassi deriva che la dipendenza del criterio fiscale dal bilancio, vale anche per le imprese minori e ciò anche nel caso di spese di impianto o di sviluppo per le quali la capitalizzazione è solo una possibilità non una prescrizione necessaria. Per queste ultime vale il criterio di competenza, anche ammettendo la deduzione in unico esercizio se questa è la scelta civilistica della impresa minore. Va osservato che su tale ultimo passaggio la posizione della circolare n. 11/E/2017 non è così chiara come per le spese che non permettono una capitalizzazione civilistica.