2 Dicembre 2025

La Consulta sul termine di prescrizione dei tributi

di Debora Mirarchi
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La scheda di FISCOPRATICO

L’istituto della prescrizione dei debiti tributari è da sempre al centro di un fervido dibattito.

Le ragioni di tale querelle sono essenzialmente riconducibili alla mancanza di un dettato normativo, specifico per i tributi e chiaro nella individuazione dei termini prescrizionali.

Il Legislatore fiscale, infatti, ha da sempre scelto di non introdurre una disciplina generale sui termini di prescrizione, ma di individuare, solo in alcuni casi e solo per talune tipologie di tributi, il termine di prescrizione.

Il vuoto normativo, conseguente a tale scelta di impostazione, ha obbligato al costante rinvio al modello civilistico, adattato, non senza “fatica”, alla particolarità della materia tributaria.

Come noto, la disciplina codicistica prevede essenzialmente due termini di prescrizione: decennale, di cui all’art. 2946, c.c., applicabile in tutti i casi in cui non sia diversamente stabilito e un altro (più limitato) termine quinquennale, di cui all’art. 2948, c.c., operativo con riferimento a debiti, che devono pagarsi periodicamente a un anno o in termini più brevi.

Giurisprudenza, a oggi maggioritaria, conferma l’applicazione del termine decennale di prescrizione dei tributi, in considerazione del principio di autonomia del periodo d’imposta e delle conseguenti obbligazioni (Cass. n. 22267/2024; Cass. n. 2941/2007). Altra parte della giurisprudenza ha, invece, sostenuto l’operatività del termine quinquennale di decadenza, non solo per i tributi locali (IMU, ICI a eccezione della TARI – Cass. n. 17234/2023), ma anche per le imposte principali, quali le imposte sui redditi (IRES e IRPEF) e le indirette (IVA e IRAP).

Ciò ha comportato che, in relazione a fattispecie concrete assimilabili, si sono registrate sentenze fondate su principi diametralmente opposti, con ovvie ripercussioni in termini di certezza e sul diritto del contribuente a non essere sottoposto a un indefinito potere impositivo dell’Erario.

Alla luce di tale controverso quadro giurisprudenziale, con l’ord. n. 11661/2025 (atto promovimento n. 221), la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio, ha sottoposto alla Consulta la questione di costituzionalità delle norme che, in via di interpretazione, applicano il termine di prescrizione decennale alla riscossione dei tributi erariali.

Nello specifico, il giudice a quo ha rimesso alla Corte Costituzionale, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2946, c.c., per quanto applicato dalla giurisprudenza di legittimità alla riscossione dei tributi erariali (IRPEF, IVA e IRAP) e dell’art. 20, comma 6, D.Lgs. n. 112/1999, nella parte in cui l’ente creditore può, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale, riaffidare in riscossione le somme non riscosse.

Il giudice rimettente, dopo aver passato in rassegna le diverse normative in tema di termini per l’accertamento delle principali imposte e tributi, evidenzia come vi sia un comune denominatore, rappresentato dalla previsione di un quasi unico termine prescrizionale breve pari a 5 anni. La Corte del Lazio sottolinea che l’applicazione, nell’ordinamento tributario, della prescrizione decennale, di cui all’art. 2946, c.c., sia stata introdotta e stabilita dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, in particolare, con la sent. n. 23397/2016, a cui si sono conformate le successive pronunce dello stesso giudice di legittimità e delle Corti di merito.

Ciò nondimeno, il giudice laziale rileva come la citata sentenza delle Sezioni Unite si era espressa nell’ambito di un giudizio avente a oggetto contributi previdenziali e non tributi erariali, instaurato con ricorso presentato dall’INPS contro una società.

Il prevalente orientamento, in ordine all’applicazione del termine di prescrizione decennale da parte della giurisprudenza, impedisce al giudice del merito di prospettare una diversa soluzione interpretativa, in assenza di una norma di rango legislativo, che disciplini il termine per la riscossione delle imposte erariali. Ne consegue, secondo il giudice, che al fine ricondurre il sistema a unitarietà temporale, si impone, quale unica strada, la sottoposizione della questione al vaglio della Consulta.

Dopo aver motivato le ragioni per le quali ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata alla Corte, il giudice a quo motiva le ragioni per le quali l’applicazione del termine decennale si porrebbe in contrasto con generali e ineludibili principi dell’ordinamento tributario.

Secondo l’ordinanza di promovimento, non v’è ragione per differenziare i termini di prescrizione per la riscossione delle imposte statali (10 anni) e comunali (5 anni). Ciò comporterebbe una non prevista (e ingiustificata) disparità di trattamento fra imposte statali e locali, in netta violazione del principio di buon andamento e ragionevolezza dell’azione amministrativa.

A ulteriore conferma del disallineamento, che l’applicazione del termine decennale di prescrizione comporta in materia tributaria, vi è la più recente tendenza a rivedere, in generale, i termini per il compimento di determinate attività.

È innegabile che, nella ipotesi in cui la questione dovesse superare il vaglio di non manifesta infondatezza, la decisione della Corte Costituzionale avrebbe rilevanza storica, per almeno 2 ordini di ragioni: la prima perché, di fatto, non esiste una specifica norma giuridica sulla quale la Corte deve pronunciarsi, come lo stesso giudice a quo ha rilevato, ma anche perché, stante il dettato dell’art. 136, Costituzione, che prevede che in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale, la norma cessi di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, con effetto retroattivo (ex tunc), occorrerà “gestire” i rapporti pendenti, alla data della pubblicazione della decisione; terreno da sempre “scivoloso” soprattutto nei casi di vuoto normativo.