Introdotti nuovi criteri diversi per la rateazione di plusvalenze di aziende e di immobilizzazioni finanziarie
di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365La manovra di bilancio per l’anno 2026 introduce delle novità all’art. 86, TUIR, in tema di rateazione delle plusvalenze, sostituendo il comma 4 con la diversa versione letterale: «Le plusvalenze realizzate, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate o, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a cinque anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il secondo. Per i beni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, le disposizioni di cui al primo periodo si applicano per quelli iscritti come tali negli ultimi cinque bilanci; si considerano ceduti per primi i beni acquisiti in data più recente. Le plusvalenze realizzate per le cessioni di azienda o rami d’azienda concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate o, se l’azienda o il ramo d’azienda è stato posseduto per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto».
Le immobilizzazioni finanziarie di cui al riportato dato normativo ammesse all’opzione della rateazione sono quelle non destinatarie del regime PEX, che, come noto, ha lo scopo di evitare la c.d. doppia tassazione economica, essendo la plusvalenza accumulata nella partecipazione l’effetto riflesso del plusvalore dell’azienda societaria. Preliminarmente, si deve considerare, a commento dell’inciso «si considerano ceduti per primi i beni [le immobilizzazioni finanziarie] acquisiti in data più recente», che le partecipazioni al capitale di una S.r.l. (a differenza dei titoli azionari) si contrassegnano per la prerogativa dell’unitarietà, nel senso che esse condensano la posizione giuridica, omogenea e indistinta, del socio verso la società partecipata, orientando verso una direzione comune tutte le sue peculiarità. Il socio è tale in quanto titolare di un’unica quota di partecipazione.
Il riportato inciso dev’essere, quindi, più propriamente letto nel senso che le eventuali implementazioni a titolo oneroso dell’unitaria partecipazione, sono le prime che, su un piano di sola teoria virtuale, vanno ritenute disinvestite, ai fini della verifica dell’anzianità di iscrizione in bilancio. Partecipa di un’affermazione tradizionale che nel caso di un aumento a titolo gratuito del capitale sociale, l’aumento del valore nominale delle relative partecipazioni non dispone di un raccordo temporale autonomo, ma si ricongiunge all’originaria vicenda acquisitiva o in proporzione alla progressione frazionale delle implementazioni dell’indivisibile partecipazione.
Tuttavia, l’inciso in commento solleva delle questioni operative di non lineare soluzione. Volendo esemplificare, qualora una partecipazione derivi da 2 distinte vicende acquisitive, una più remota iscritta come immobilizzazione finanziaria negli ultimi 5 esercizi e una più recente, sprovvista di tale presupposto, nel caso di cessione dell’intera partecipazione, insorge la questione se la plusvalenza, ai fini della rateazione, debba venire proporzionalmente divisa in raccordo alle 2 entità dell’unitaria quota. In ordine al riportato inciso «si considerano ceduti per primi i beni [le immobilizzazioni finanziarie] acquisiti in data più recente» si potrebbe ritenere che esso esaurisca la portata degli effetti al solo caso di una cessione frazionale della partecipazione e non alla sua cessione intera. Tale conclusione appare, però, essere di scarsa coerenza sistematica, dal momento che non solo anche in caso di una cessione solo parziale della quota può aversi quella combinazione di frazioni (una più remota e una più recente) del tutto ripetitiva l’eterogenea formazione temporale dell’unitaria cessione, ma anche perché potrebbe aversi una composizione quantitativa della quota solo marginalmente determinata da un’acquisizione rispettosa dell’iscrizione in bilancio per almeno 5 esercizi.
Volendo sempre esemplificare, se l’originaria quota risalente alla sottoscrizione del capitale costituisse il solo 5%, nel proseguo implementata al 50% per effetto di subingressi ad altri soci e/o aumenti del capitale a titolo oneroso, nel caso di cessione totalitaria di tale partecipazione, a orientare il presupposto temporale per la rateazione sarebbe la marginale originaria quota del 5%, con irrilevanza dell’implementazione assolutamente preponderante dell’ulteriore 45%, mentre, ad esempio, nel caso di cessione parziale del 48%, si dovrebbe procedere al proporzionale scorporo. Va anche prospettato il caso della riduzione del capitale sociale del tutto legislativamente mancante di una qualsiasi graduatoria temporale d’imputazione temporale del defalco (alla quota originaria, all’implementazione più recente o sulla base di un criterio d’imputazione proporzionale?). Si potrebbe sostenere, come soluzione equa, un’imputazione coordinata dal criterio della proporzionalità, ma si tratterebbe in ogni caso di una soluzione priva di supporti di Legge. Conclusivamente, la norma non solo appare letteralmente poco appropriata, in quanto testualmente razionale solo con i titoli azionari, ma appare anche portatrice di ambiguità operative.
Anche le 2 diverse prescrizioni relative ai presupposti temporali della rateazione per le immobilizzazioni finanziarie e per le aziende (o rami d’azienda) non appaiono essere sintonizzate fiscalmente, dal momento che sul piano economico le 2 categorie di beni si rappresentano come espressione sostanziale di una medesima ricchezza, divergente solo sul piano delle prerogative giuridiche di disciplina e circolazione. L’opzione della rateazione raccordata a riferimenti temporali diversi (più gravosi per le partecipazioni, più agevolati per le aziende o rami d’azienda) omette di considerare che le partecipazioni, in una visione tipicamente aziendalistica, instaurano un cordone ombelicale con l’azienda, attraverso un’intersezione siglabile come “bene di secondo grado” (la partecipazione) – “bene di primo grado” (l’azienda). Pur, quindi, raccordandosi l’azienda e le partecipazioni a regimi giuridici diversi, sotto il profilo economico sono riconducibili a una sostanziale unitarietà.
L’esclusione della partecipazione dal regime fiscale della PEX si ha quando non si rendono congiuntamente riscontrabili i quattro presupposti inventariati nell’art. 87, TUIR, nei quali figura la classificazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso. La mancanza di tale rappresentazione contabile preclude definitivamente il regime PEX e consente di deviare fiscalmente verso l’opzione residuale della rateizzazione nel caso di successiva iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie fatta perdurare per 5 bilanci. In tale caso, la plusvalenza da dismissione può essere rateizzata solo sino a 3 esercizi. Ora, proprio in ordine al proposto esempio di esclusione dal regime PEX delle immobilizzazioni finanziarie, appare chiara la piena simmetria di accumulo progressivo della plusvalenza in conto all’azienda societaria e alle corrispondenti partecipazioni iscritte in bilancio, costituendo l’aumento della ricchezza della prima il diretto effetto riflesso dell’aumento della ricchezza insita nelle seconde.
Le 2 prescrizioni relative ai presupposti di rateazione delle immobilizzazioni finanziarie e delle aziende (o rami d’azienda) non possono, quindi, non apparire irrazionalmente scoordinate.
Da ultimo, va sottolineato che la norma si preoccupa di individuare, in caso di acquisto frazionato nel tempo, quale quota debba intendersi prioritariamente ceduta, ma non stabilisce come si deve valorizzare il costo della partecipazione. Tale problematica, peraltro, si manifesta anche nel caso di cessioni di partecipazioni PEX e da tempo causa contestazioni da parte della Agenzia delle Entrate. In tal senso è opportuno ricordare che la CTR Emilia Romagna, con sentenza 1070/2022, ha affermato che la metodologia da utilizzare è il costo medio ponderato, specie se non è ricavabile, dalla Nota integrativa, un eventuale diverso metodo valutativo scelto dal contribuente (cfr. circolare n. 36/E/2004, par. 2.3.1).


