Il rimborso imposte pagate all’estero in presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni
di Silvio RivettiAllo scopo di evitare, in capo al contribuente fiscalmente residente in Italia, la doppia imposizione dei redditi percepiti all’estero, laddove suscettibili di contemporanea imposizione pure in Italia, il nostro ordinamento giuridico e le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni prevedono appositi correttivi: tra cui, tipicamente, il riconoscimento del credito d’imposta, operante ai fini nazionali tanto in punto IRPEF quanto in punto IRES, corrispondente alle imposte versate all’estero sui redditi di fonte extranazionale. Al riguardo, l’art. 165, TUIR – il cui comma 1 riconosce tale credito al ricorrere delle 3 condizioni ivi indicate:
- l’effettivo conseguimento del reddito prodotto all’estero;
- il concorso di tale reddito alla formazione del reddito complessivo del contribuente;
- il pagamento delle concernenti imposte estere, aventi natura reddituale, a titolo definitivo – distingue, quanto ai temi dichiarativi, 2 casistiche, dedicandovi i commi 4 e 7:
- nella prima, se il pagamento a titolo definitivo dell’imposta estera avviene anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi nazionale riguardante il periodo in cui detto reddito ha concorso alla formazione dell’imponibile in Italia, il comma 4 prescrive di detrarre il credito nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta a cui appartiene il reddito estero stesso;
- mentre, se il pagamento dell’imposta estera avviene successivamente alla presentazione della dichiarazione di riferimento, il comma 7 richiede la nuova liquidazione dell’imposta dovuta per detta annualità: con la conseguenza che il credito andrà richiesto in detrazione nella prima dichiarazione utile rispetto al momento in cui si rende definitiva l’imposizione estera (fermo restando che sia la quota d’imposta italiana, sia l’imposta netta dovuta rilevanti per il calcolo della detrazione, saranno quelle relative al periodo d’imposta in cui è stato dichiarato il reddito estero, concorrendo alla formazione del reddito complessivo).
Ora, stando al disposto del successivo comma 8, del citato art. 165, TUIR, al contribuente non è dato fruire del credito se la dichiarazione relativa all’annualità di riferimento risulti omessa, o se il reddito estero non vi risulti dichiarato. Il dato normativo del comma 8 parrebbe, allora, prima facie, impedire al contribuente di potere, quanto ai redditi prodotti oltrefrontiera, domandare e ottenere il rimborso dei relativi tributi colà pagati a titolo definitivo, qualora ne manchi l’indicazione nella dichiarazione nazionale di riferimento: rendendo così problematiche casistiche tutt’altro che rare, dei contribuenti residenti prestatori di lavoro dipendente all’estero che lì presentino le dichiarazioni reddituali e lì versino le relative imposte, senza presentare dichiarazioni di sorta in Italia. Al riguardo, è bene richiamare l’attenzione sulla più recente giurisprudenza di legittimità, che, dalla Cassazione n. 24205/2024 – e così di seguito pure Cass., n. 28801/2024, n. 9671/2025 e n. 10642/2025 – ha sposato un linea interpretativa pro contribuente, di puntuale finezza garantista. Per la Suprema Corte, infatti, laddove l’Italia si sia obbligata nei confronti dello Stato estero di produzione del reddito a limitare la sua sovranità impositiva, per effetto di apposita Convenzione bilaterale contro la doppia imposizione – dimodoché i contribuenti che già assolvano le tasse al fisco straniero per i redditi ivi prodotti non vengano ad essere esposti a un doppio aggravio impositivo, nel caso gli stessi redditi risultino imponibili pure in Italia – allora il corretto adempimento dell’obbligo internazionale assunto dal nostro Paese non può subire alcuna limitazione sul piano del diritto interno, se non concordato con l’altro Stato contraente: dovendosi allora dirsi in violazione del diritto internazionale pattizio le pretese, fatte valere dall’Agenzia delle Entrate, di subordinare il concreto esercizio del diritto di evitare la doppia imposizione dei suoi contribuenti al rispetto, da parte di questi ultimi, di meri oneri formali/dichiarativi, quali quelli di cui al menzionato comma 8 dell’art. 165, TUIR.
Del resto, se lo stesso TUIR dispone espressamente sia la subordinazione delle norme interne di tassazione reddituale a quelle internazionali pattizie (art. 75), sia l’eccezionale possibile prevalenza delle prime rispetto alle seconde solo laddove in concreto più favorevoli al contribuente (art. 169), ne viene che è allora corretta la conclusione della Cassazione, per cui il comma 8 dell’art. 165, TUIR, non può mai trovare applicazione nei confronti del contribuente residente che percepisca redditi all’estero e ivi li esponga a tassazione definitiva, se sussiste verso tale Paese un obbligo internazionale incondizionato dello Stato italiano di evitare la doppia imposizione (mentre tale norma potrà normalmente applicarsi al contribuente residente i cui redditi siano stati prodotti e tassati – anche – in uno Stato con cui il nostro Paese non ha concluso alcuna Convenzione contro le doppie imposizioni, ovvero in uno Stato verso cui il nostro non abbia alcun obbligo di neutralizzare la doppia imposizione).
In tema merita, ad ultimo, sottolineare anche come, per le più recenti sentenze “gemelle” rese sul tema, Cass. n. 9671/2025 e n. 10642/2025, l’art. 165, TUIR, non esprima affatto l’obbligo di indicare il credito d’imposta di cui si parla nella dichiarazione nazionale, ma solo di calcolarlo con riguardo alle evidenze reddituali dell’anno d’imposta in cui è scaturito: dovendosi allora convenire come il credito possa essere correttamente recuperato nel rispetto del generale termine prescrizionale decennale ex art. 2946, c.c., decorrente dal momento dell’intervenuto pagamento al Fisco estero, che ha sostanziato la doppia imposizione e generato così il diritto alla ripetizione dell’indebito.


