19 Novembre 2025

Il futuro assetto fiscale di un ETS “generico” ai fini delle imposte dirette

di Luca Caramaschi
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Con il presente contributo si intendono analizzare gli aspetti fiscali che caratterizzeranno le organizzazioni di tipo associativo nell’ipotesi in cui esse optino per l’assunzione della qualifica di ente del Terzo settore (di seguito ETS) con conseguente iscrizione nella Sezione g) “altri enti del Terzo settore” del relativo Registro Nazionale (di seguito RUNTS). ETS “generici” che, pertanto, dal prossimo 1° gennaio 2026 saranno tenuti ad applicare la relativa disciplina fiscale prevista dal Titolo X (articoli che vanno da 79 a 89) del D.Lgs. n. 117/2017 (di seguito “Codice del Terzo settore” o semplicemente “Codice”).

 

Le previsioni rilevanti contenute nel Codice

Con riferimento agli ETS “generici” occorre preliminarmente evidenziare che all’interno del Titolo X del Codice vi sono disposizioni fiscali che non trovano in alcun modo applicazione per tale categoria di ETS: si tratta delle previsioni contenute negli artt. 84, 85 e 86 dedicate, rispettivamente, agli ETS che – nel rispetto di specifici requisiti indicati nel Codice – assumono la qualifica di Organizzazioni di Volontariato (OdV) iscritte nella Sezione a) del RUNTS o di Enti Filantropici (EF) iscritti nella Sezione c) del RUNTS con riferimento all’art. 84, che assumono la qualifica di Associazioni di Promozione Sociale (APS) iscritte nella Sezione b) del RUNTS o di Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS) iscritte nella Sezione f) del RUNTS con riferimento all’art. 85 o, congiuntamente per OdV e APS con riferimento all’art. 86. Tralasciando le previsioni che in questa sede poco interessano (art. 81 relativo al social bonus, art. 87 sulla tenuta e conservazioni delle scritture contabili e art. 88 relativo al de minimis), le disposizioni di carattere fiscale contenute nel Codice che trovano, quindi, applicazione, per i c.d. ETS “generici” ai fini delle nostre valutazioni sono le seguenti:

− art. 79, Disposizioni in materia di imposte sui redditi;

− art. 80, Regime forfettario degli ETS non commerciali;

− art. 82, Disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali;

− art. 83, Detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali;

− art. 89, Coordinamento normativo.

Partendo proprio da quest’ultima disposizione normativa è importante evidenziare come il comma 1 del citato art. 89 stabilisca espressamente che agli enti di Terzo settore (diversi dalle imprese sociali) non si applicano le seguenti disposizioni:

− artt. 143, comma 3, 144, commi 2, 5 e 6 e 148 e 149, TUIR;

− Legge n. 398/1991.

Pertanto, buona parte delle previsioni che hanno riguardato gli enti di tipo associativo nell’ultimo trentennio, compresa la decommercializzazione dei corrispettivi specifici contemplata dal comma 3 dell’art. 148, TUIR, così come l’applicazione del Regime Forfettario 398 per i proventi commerciali conseguiti dall’ente associativo non saranno più dal prossimo 1° gennaio 2026 a disposizione di coloro che assumeranno la qualifica di ETS iscrivendosi nel RUNTS.

Va peraltro osservato come, se da un lato talune previsioni del sistema normativo estraneo al Codice non più applicabili, sono state trasfuse in varie disposizioni all’interno dello stesso Codice (si pensi all’obbligo di separazione delle attività commerciali rispetto a quelle istituzionali, alla detassazione dei contributi derivanti da convenzioni con la PA e dei fondi pervenuti da raccolte pubbliche occasionali di fondi), è altrettanto vero che diverse agevolazioni “preesistenti” non sono più previste dal Codice o sono previste solo in relazione ad alcune tipologie di enti del Terzo settore (come nel caso delle APS per quanto riguarda la decommercializzazione dei corrispettivi specifici) oppure sono state “sostituite” da agevolazioni con caratteristiche similari (si pensi ai regimi forfettari previsti dagli artt. 80 e 86 dello stesso Codice).

 

Il ruolo di centralità dell’art. 79

La disciplina fiscale degli ETS “generici” è sostanzialmente contenuta nell’art. 79, Codice del Terzo settore, disposizione che, all’interno delle previsioni di carattere fiscale applicabili a tutti gli ETS, riveste un ruolo di centralità: è a esso, infatti, che il Legislatore delegato ha affidato il compito di “definire” la natura commerciale o non commerciale dei nuovi enti del Terzo settore, passando in via preliminare dall’individuazione della natura commerciale o meno delle attività svolte (in primis quelle di interesse generale) e dei proventi conseguiti dai medesimi soggetti.

 

La verifica della natura delle Attività di Interesse Generale (AIG)

Sotto questo profilo è interessante rilevare come il Legislatore, al fine di definire la “natura” (commerciale o non commerciale) delle attività di interesse generale svolta dall’ETS, richieda un confronto numerico tra i corrispettivi (entrate) e i costi effettivi (uscite) derivanti dallo svolgimento delle medesime. A questo proposito il Legislatore ha previsto una più benevola definizione di “costi effettivi” (rispetto ai “costi di diretta imputazione” richiamati dall’art. 143, comma 1, TUIR e di non semplice applicazione) decisamente inclusiva e comprensiva di tutte le tipologie di costo riferibili alle attività di interesse generale, con una soglia di tolleranza del 6% dello scostamento tra entrate e costi effettivi e fissando in 3 periodi d’imposta consecutivi il tempo nel quale, in presenza del richiamato scostamento, è possibile conservare la natura non commerciale dell’attività di interesse generale svolta dallo stesso ETS.

Tenendo poi presente che nel caso in cui l’ETS “generico” svolga contemporaneamente più attività di interesse generale riconducibili alle diverse lettere elencate nell’art. 5 del Codice, la verifica tra ricavi e costi effettivi imposta dal comma 2 del citato art. 79, Codice, deve essere operata sulle singole attività esercitate.

 

Gli elementi necessari alla verifica della natura di ETS

Esaurita questa prima e necessaria verifica tesa a verificare la natura (commerciale o non commerciale) delle AIG esercitate dall’ETS (si ricorda che lo svolgimento in via esclusiva o principale di una o più attività di interesse generale è condizione imprescindibile per l’esistenza di ogni ETS), sarà quindi possibile entrare nel merito della qualificazione della natura stessa del nostro ETS “generico”. Per fare questo occorre analizzare gli ulteriori commi dell’art. 79, in particolare i commi 4, 5, 5-bis e 5-ter (questi ultimi 2, figli della frammentazione subita dall’originario comma 5 a opera del primo Decreto correttivo, il D.Lgs. n. 105/2018, Codice del Terzo settore).

Anche su queste disposizioni è intervenuto il D.L. n. 73/2022 con modifiche che, tuttavia, pur in parte apprezzabili, hanno per altri versi lasciato inalterate quelle perplessità di carattere interpretativo con le quali dovranno sicuramente scontrarsi gli operatori del settore nella fase di prima applicazione delle nuove disposizioni. Vediamo nel dettaglio le modifiche.

Partiamo dal comma 4 dell’art. 79, CTS, che, in analogia con le identiche previsioni contenute nel comma 3 dell’art. 143, TUIR, riferito agli enti non commerciali, disciplina il trattamento delle entrate derivanti dalle raccolte pubbliche di fondi svolte in modo occasionale e di quelle rappresentate da contributi pubblici, anche in regime di convenzione o accreditamento con la PA. Per queste, il citato comma 4 disponeva nella sua precedente versione che i richiamati proventi «non concorrono, in ogni caso, alla formazione del reddito degli enti del Terzo settore di cui al comma 5». Con un intervento meramente stilistico, e che, come vedremo di seguito, non risolve il possibile “riferimento circolare” derivante dal combinato disposto di questo comma con il successivo comma 5, il citato D.L. n. 73/2022 sostituisce il riferimento agli ETS “di cui al comma 5” con un più preciso richiamo agli ETS “di natura non commerciale di cui al comma 5”.

Il comma 5 dell’art. 79 afferma, infatti, che: «…. gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all’art. 5, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo, nonché le attività di cui all’art. 6, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’art. 6, superano, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali».

Dalla lettura di tale disposizione 2 sono quindi gli elementi da prendere in considerazione:

  1. i proventi derivanti da attività di interesse generale da art. 5 svolte con modalità commerciali e proventi da attività diverse da art. 6 (con esclusione delle sponsorizzazioni);
  2. le entrate derivanti da attività “non commerciali”.

Relativamente alla definizione delle entrate di cui al richiamato punto sub 2), è il comma 5-bis dell’art. 79, CTS, che si preoccupa di offrire una definizione di tale concetto prevedendo che: «Si considerano entrate derivanti da attività non commerciali: i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente, i proventi non commercializzati di cui agli artt. 84 e 85, ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, ivi compresi, ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3 e 4 tenuto conto del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti alle attività svolte con modalità non commerciali».

Ora, dall’esame congiunto delle previsioni contenute nei richiamati commi 4, 5 e 5-bis, sorge spontanea una domanda: ma per queste tipologie di entrata (raccolta fondi e contributi pubblici) vale la non imponibilità tout court sancita dal comma 4, oppure, vale la non commercialità definita secondo i criteri previsti nel comma 5-bis?

La risposta non appare banale posto che l’una o l’altra soluzione potrebbero determinare la concorrenza o non concorrenza degli stessi ai fini della verifica circa la natura dell’ente di Terzo settore. Senza entrare in ragionamenti troppo “filosofici”, ma dai riflessi operativi potenzialmente devastanti, è probabile che la scrittura dei 2 commi sopra descritti sia il frutto di un mancato coordinamento del Legislatore che, tuttavia, i Decreti correttivi emanati non hanno sanato. Al fine di dare una “giustificazione” sistematica al complesso meccanismo di determinazione della natura dell’ETS, nel merito chi scrive ritiene che detti proventi da raccolta fondi occasionale e nella forma di contributi pubblici debbano in ogni caso rilevare ai fini della verifica circa la natura dell’ente e che, in questa fase debbano necessariamente rilevare come entrate aventi natura non commerciale. Solo nel caso in cui detto criterio conduca comunque ad accertare la natura commerciale dell’ETS, dette entrate verrebbero riqualificate come aventi natura commerciale (come peraltro ogni altra entrate conseguita da un ETS avente detta natura).

 

I corrispettivi specifici corrisposti dagli associati dell’ETS “generico”

Con una previsione decisamente “decontestualizzata” rispetto a quelle che la precedono, ma rilevante per la disciplina dei nostri ETS “generici”, il comma 6 dell’art. 79 dispone con riferimento ai proventi (corrispettivi) specifici che l’ETS avente natura associativa ottiene dai propri associati per effetto della cessione di beni o prestazioni di servizi eseguite nei loro confronti. Con tale previsione, che ricalca quella già prevista nel comma 2 dell’art. 148, TUIR, il Legislatore ha sancito il concorso alla formazione del reddito complessivo di questi proventi e quindi la loro sostanziale “commercialità”. Diversamente da quanto previsto nel comma 3 del citato art. 148 – inapplicabile, come detto, per tutti gli ETS – il Legislatore del Codice ha poi optato per riconoscere a determinate condizioni l’agevolazione della decommercializzazione dei medesimi proventi per le sole Associazioni di Promozione Sociale (APS) e Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS) in virtù di quanto previsto dall’art. 85, comma 1, CTS. E quindi non per gli ETS “generici”.

La non felice collocazione poi di questa disposizione, non consentiva di comprendere appieno il ruolo di questi proventi nel procedimento di verifica della natura dell’ETS, così come la sua non chiara formulazione non permetteva di comprendere quale fosse la natura di tali proventi nel caso gli stessi fossero ritratti dallo svolgimento di una attività di interesse generale svolta dall’ETS avente natura associativa. Affermare in questa situazione che i proventi derivanti dall’attività di interesse generale svolta dall’ETS in favore dei propri soci avesse sempre e in ogni caso natura commerciale avrebbe voluto dire “invalidare” il processo di verifica descritto nei commi 2 e 2-bis dell’art. 79 e relativa alla verifica della natura delle attività di interesse generale svolte dall’ente medesimo.

Opportunamente, con una modifica apportata al terzo periodo del comma 6 da parte del D.L. n. 73/2022, il Legislatore colma tale lacuna affermando che detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo «, salvo che le relative attività siano svolte alle condizioni di cui ai commi 2 e 2-bis», facendo pertanto rientrare anch’essi nella verifica di commercialità delle attività di interesse generale descritta in precedenza.

Il testo integrale dell’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 79 recita, infatti, che: «Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità, salvo che le relative attività siano svolte alle condizioni di cui ai commi 2 e 2-bis».

Per effetto di questa disposizione, quindi, a determinate condizioni (tutte da verificare) anche l’ETS “generico” potrà verificare se – in relazione alle attività di interesse generale svolte nei confronti dei propri associati – potrà anch’esso godere di quella decommercializzazione dei corrispettivi specifici che il comma 3 dell’art. 148, TUIR, disapplicato per gli ETS dal 1° gennaio 2026, ha nel regime previgente riconosciuto in via generalizzata.

 

Il giudizio finale

Evidenziati tutti gli elementi necessari per la verifica della natura dell’ente occorre a questo punto tradurre in concreto queste informazioni e procedere così alla valutazione definitiva circa la qualificazione dell’ente, che trascina con sé la conseguente definizione degli adempimenti di natura civilistica e contabile (sia in termini di regimi contabili che di adempimenti pubblicitari) nonché la definizione del perimetro delle agevolazioni (fiscali e non) applicabili.

Per verificare concretamente la natura dell’ente, quindi, occorre mettere su 2 “piatti” di una bilancia ideale le 2 grandezze da porre a confronto (entrate commerciali ed entrate non commerciali) al fine di verificarne il peso, dando per scontato che detta verifica non potrà che essere effettuata “a bocce ferme” ovvero alla conclusione dell’esercizio sociale (con gravi conseguenze di cui diremo oltre, nel caso di riqualificazione della natura dell’ente, in particolare nel passaggio da ETS non commerciale a ETS commerciale).

Proviamo quindi a fornire una rappresentazione grafica della nostra ideale bilancia.

La “bilancia” che misura la natura degli ETS

PIATTO A – COMMERCIALE PIATTO B – NON COMMERCIALE
− ricavi da attività di interesse generale non svolte nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 79, commi 2, 2-bis e 3 (con modalità commerciali) − proventi da attività di interesse generale svolte nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 79, commi 2, 2-bis e 3 (con modalità non commerciali)
− ricavi da attività diverse (senza considerare le sponsorizzazioni) − contributi, sovvenzioni. Liberalità, quote associative, proventi non commercializzati di cui artt. 8485 (solo per OdV e APS)
− valore normale delle cessioni gratuite (proventi figurativi)

Con riferimento alle entrate di natura commerciale (vedi piatto A) occorre poi chiedersi se le fattispecie elencate nel comma 5 debbono intendersi come tassative oppure se sia possibile includervi anche altre tipologie di proventi che rivestono indubbiamente carattere commerciale (ad esempio, per i contributi pubblici erogati per lo svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 che non rispettano i criteri di cui ai commi 2, 2-bis e 3 o per i proventi derivanti da attività di raccolta fondi non occasionali di cui all’art. 7, D.Lgs. n. 117/2017). Sul punto, in attesa degli opportuni chiarimenti, chi scrive ritiene che il nostro piatto A (quello commerciale) debba essere formato esclusivamente dalle ipotesi menzionate dalla norma posto che laddove il Legislatore ha voluto assegnare un ambito più esteso (come per le entrate non commerciali) lo ha affermato in modo esplicito (facendo riferimento a «ogni altra entrata assimilabili alle precedenti»).

Sono questi gli aspetti sui quali occorre fare chiarezza, posto che la verifica in merito alla natura degli enti del Terzo settore è un punto fondamentale per comprendere se le discipline di favore previste dal Codice del Terzo settore risulteranno o meno applicabili.

 

La perdita della qualifica di ente non commerciale

Abbiamo già osservato in precedenza come la possibile riqualificazione della natura dell’ETS da commerciale a non commerciale sia in grado di determinare situazioni decisamente ingestibili da parte dello stesso ente. Del tema se ne occupa il comma 5-ter del più volte citato art. 79 il quale, nella sua versione originaria affermava che «il mutamento della qualifica, da ente di Terzo settore non commerciale a ente di Terzo settore commerciale, opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale». Si profila quindi una riqualificazione con effetto retroattivo della natura dell’ente le cui conseguenze, sia di natura contabile che fiscale, sono tali da determinare in molti casi la scomparsa dell’ente stesso. Di fronte alle richieste avanzate da più parti di prevedere una decorrenza posticipata delle conseguenze prodotte da una eventuale riqualificazione, il Legislatore del Decreto correttivo le ha colte solo in parte riconoscendola solo per i primi 2 periodi d’imposta di applicazione delle disposizioni di carattere fiscale previste dal Titolo X (in pratica per i soli 2 periodi d’imposta successivi a quelli di ottenimento dell’autorizzazione da parte della Commissione Europea).

Il testo dell’attuale comma 5-ter dell’art. 79 recita, infatti, che: «Per i due periodi d’imposta successivi al termine fissato dall’art. 104 comma 2, il mutamento di qualifica, da ente del Terzo settore commerciale a ente del Terzo settore non commerciale o da ente del Terzo settore non commerciale a ente del Terzo settore commerciale, opera a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui avviene il mutamento di qualifica».

Vale la pena osservare come i 2 periodi d’imposta decorrono dal prossimo 1° gennaio 2026 e non sono quindi ancorati ai primi 2 periodi d’imposta di vita di un ETS (pertanto, “mobili”). Ciò determina la conseguenza per cui un ETS che si costituirà a partire dal terzo anno successivo alla effettiva applicazione delle disposizioni fiscali di cui al Titolo X del Codice non potrà “sbagliare” valutazione sin dal suo primo periodo d’imposta di esistenza.

 

Il regime forfettario “generale” dell’art. 80

Nell’impossibilità di applicare il regime forfettario di cui alla Legge n. 398/1991 così come quello previsto nell’ambito del TUIR all’art. 145, gli ETS “generici” potranno, laddove sulla base delle valutazioni operate in precedenza siano qualificabili come ETS aventi natura non commerciale (a questo vale il riferimento di cui all’art. 79, comma 5, Codice), dal 1° gennaio 2026 in relazione ai proventi commerciali conseguiti nell’ambito sia delle attività di interesse generale che delle attività diverse potranno applicare il nuovo regime forfettario di cui all’art. 80, Codice.

Detto regime, che esplica la sua efficacia ai soli fini della imposizione diretta (come per l’art. 145, TUIR), e non anche quindi ai fini dell’applicazione dell’IVA che sconta quindi le regole ordinarie, prevede l’applicazione di coefficienti percentuali a scaglioni per la determinazione dei ricavi e richiede l’esercizio di una opzione che vincola l’ETS per un triennio.

 

I coefficienti di redditività

TIPO ATTIVITÀ SCAGLIONI DI RICAVI COEFFICIENTE REDDITIVITÀ
PRESTAZIONI

DI SERVIZI

Fino A 130.000 euro 7%
Da 130.001 e fino a 300.000 euro 10%
Oltre 300.000 euro 17%
ALTRE

ATTIVITÀ

Fino a 130.000 euro 5%
Da 130.001 e fino a 300.000 euro 7%
Oltre 300.000 euro 14%

Ai ricavi determinati con i citati coefficienti di redditività occorre aggiungere, per espressa previsione normativa, le eventuali plusvalenze patrimoniali (art. 86, TUIR), le sopravvenienze attive (art. 88, TUIR), i dividendi e gli interessi (art. 89, TUIR) nonché i ricavi immobiliari (art. 90, TUIR).

Dall’esame della tabella sopra riportata, inoltre, si evidenzia come il nuovo regime, diversamente da quello di cui all’art. 145, TUIR, e dal regime ex Legge n. 398/1991, risulta applicabile a prescindere da qualsiasi limite dimensionale dell’ente, non essendo posto alcun limite di ordine superiore.

Come già detto, al pari del regime forfettario contemplato dall’art. 145, TUIR, il nuovo regime non presenta alcuna agevolazione sotto il profilo dell’IVA, che dovrà essere determinata secondo le ordinarie modalità.

Specifiche disposizioni sono poi contemplate dall’art. 80, per i casi di svolgimento di attività di diversa natura (si applica il criterio dell’attività prevalente per individuare il coefficiente di redditività) e per la gestione delle opzioni e delle revoche (si applica la logica del comportamento concludente secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 442/1997).

Particolari disposizioni di coordinamento sono poi previste nei casi di passaggio dal regime ordinario a quello forfettario.

Sul versante degli aspetti premiali, l’ultimo comma dell’art. 80 prevede un’esplicita esclusione dalla disciplina degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA).

Conclusioni

Alla luce, quindi, delle considerazioni in precedenza esposte, e pur non potendo esprimere una valutazione completa con riguardo alla specifica impostazione adottata dal singolo ente di natura associativa, chi scrive ritiene che, in generale, la scelta di adottare la qualifica di ETS “generico” iscritto al RUNTS, comporterà a partire dal prossimo 1° gennaio 2026 (per le organizzazioni associative che prevedono l’esercizio sociale coincidente con l’anno solare) l’applicazione delle descritte disposizioni di carattere fiscale che potranno riconoscere a tali organizzazioni una serie di vantaggi potenzialmente superiori rispetto a quelle realtà associative che, per contro, decideranno di rimanere al di fuori del perimetro del Terzo settore (e per la cui disciplina si rimanda allo specifico contributo apparso sul precedente numero della Rivista)[1].

In particolare, la piena valutazione dei benefici di cui potrà godere l’ente associativo nella configurazione di l’ETS “generico”, dovrà passare per una concreta applicazione dei criteri e dei meccanismi applicativi contenuti nell’art. 79, Codice, che, come detto in precedenza, rappresenta a oggi l’unica fonte normativa con la quale sarà possibile definire la natura commerciale o non commerciale dell’ETS “generico”, condizionandone pertanto la portata delle agevolazioni applicabili.

[1] Si veda L. Caramaschi, “Il futuro assetto fiscale di un ente associativo culturale non ETS ai fini delle imposte dirette”, in Associazioni e Sport, n. 10/2025.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Associazioni e sport”.