7 Luglio 2025

I controlli sui redditi di fonte estera ritornano di attualità

di Silvio Rivetti
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La scheda di FISCOPRATICO

La cooperazione tra i Paesi stranieri e l’Italia permette agli uffici accertatori, deputati al controllo delle persone fisiche e gli enti non commerciali, di verificare quali siano i contribuenti che, titolari di disponibilità finanziarie o di proprietà immobiliari all’estero, non abbiano ottemperato ai relativi obblighi dichiarativi e di monitoraggio fiscale, con conseguenze in punto determinazione dell’IVAFE e dell’IVIE.

Lo scambio di informazioni tra Paesi, che oggi coinvolge anche giurisdizioni un tempo non cooperative, consente, in particolare agli uffici erariali, di appuntare il loro interesse sulle attività di natura finanziaria – quali conti correnti, fondi comuni di investimento, azioni, obbligazioni et similia – nonché sulle consistenze patrimoniali – in primis beni immobili, ma anche opere d’arte, imbarcazioni e altri beni mobili, registrati e non – detenuti, in primo luogo, nei Paesi considerati (o già considerati) a fiscalità privilegiata; e in secondo luogo nei restanti Paesi, non inclusi nella lista di quelli a fiscalità privilegiata.

A mezzo di questionari, gli uffici possono, quindi, richiedere ai contribuenti, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 3), D.P.R. n. 600/1973, di esibire al loro vaglio tutte le informazioni di dettaglio e i corrispondenti documenti di supporto concernenti le attività e gli investimenti detenuti in sede estera, i fondi che sono stati utilizzati per costituirli o per acquisirli, i redditi che ne sono scaturiti.

In questo quadro, assumono rilievo tanto le norme sostanziali degli artt. 4 e 6, D.L. n. 167/1990, che obbligano le persone fisiche, gli enti non commerciali, le società semplici e i soggetti equiparati ex art. 5, TUIR, residenti in Italia, a dichiarare nella dichiarazione dei redditi annuale le attività estere di natura finanziaria, comprese le cripto-attività, nonché gli investimenti all’estero suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di cui siano detentori in qualità sia di possessori diretti sia di titolari effettivi (secondo le definizioni di cui agli artt. 1, comma 2, lett. pp), e 20, D.Lgs. n. 231/2007), a pena dell’applicazione della presunzione legale relativa per cui i predetti investimenti e attività finanziarie esteri si presumono fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta (salva la prova contraria); quanto le norme eccezionali, dalla natura ora sostanziale ora procedurale, dell’art. 12, D.L. n. 78/2009, il cui comma 2, dispone, con norma sostanziale reputata irretroattiva da costante giurisprudenza, ma pur sempre dettata in espressa deroga a ogni altra disposizione di legge in vigore, che gli investimenti e le attività di natura finanziaria, non dichiarati e detenuti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (di cui alla decretazione MEF datata rispettivamente 4 maggio 1999 e 21 novembre 2001), si presumono ex lege, e ai soli fini fiscali, costituiti mediante redditi sottratti a tassazione (salva la prova contraria), con conseguente applicazione delle sanzioni in misura raddoppiata in tema di dichiarazione infedele (ex art. 1, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 471/1997); e i cui commi 2-bis e 2-ter dispongono a loro volta, con norme procedurali e come tali applicabili retroattivamente (quindi anche agli anni d’imposta precedenti all’entrata in vigore della norma, intervenuta in data 1° luglio 2009), tanto il raddoppio dei termini per l’esperimento dei poteri accertativi facenti leva sulla citata presunzione, volti alla determinazione dei maggiori imponibili sottratti a tassazione perché allocati presso giurisdizioni black list (da cui deriva la ripresa a tassazione sia delle maggiori imposte sostitutive dovute sui redditi di origine finanziaria, sia delle maggiori imposte dovute e non versate in relazione ai canoni di locazione degli immobili esteri, sia delle maggiori somme dell’imposta sul valore aggiunto dovuta e non versata riferibili ai predetti redditi; ferma la debenza dell’IVAFE e dell’IVIE non regolarmente assolte e delle relative sanzioni), quanto il raddoppio anche dei termini disposti ex art. 20, D.Lgs. n. 472/1997, per l’irrogazione delle sanzioni per l’omessa compilazione del quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale, per mezzo degli appositi atti di contestazione e irrogazione delle sanzioni ex art. 5, D.L. n. 167/1990.

A fronte dell’attivazione, da parte degli uffici, della tipologia di controllo sopra descritta, può sussistere in capo al contribuente che detenga disponibilità e patrimoni in più giurisdizioni estere, non cooperative, la tentazione di non ottemperare per ognuna di tali posizioni alla consegna delle informazioni e dei documenti richiesti, ordinariamente, “a largo raggio” e con formulazioni generiche e onnicomprensive da parte degli uffici stessi, confidando nella difficoltà da parte di questi ultimi di acquisirne contezza. Che simili atteggiamenti risultino o ispirati da preordinate strategie difensive o da istintive diffidenze, resta fermo che la norma dell’art. 32, D.P.R. n. 600/1973, regolarmente richiamata nei questionari, sanziona con l’inutilizzabilità a favore dei contribuenti, in sede amministrativa e contenziosa, dei dati, delle notizie e dei documenti non esibiti puntualmente a fronte della richiesta degli uffici. La previsione del citato art. 32 esige, quindi, in sede di gestione delle problematiche sopra esposte, di essere debitamente presa in considerazione, anche in coordinamento con le sopravvenute disposizioni in tema di emersione delle attività detenute all’estero, come interpretate sul punto dalle circolari n. 43/E/2009 e n. 52/E/2010 e come richiamate nei questionari: ove si richiede ai contribuenti, laddove titolari delle dichiarazioni riservate ex art. 13-bis, D.L. n. 78/2009, già consegnate agli intermediari depositari delle attività finanziarie o incaricati della regolarizzazione, di esibire tali dichiarazioni, idonee a dispiegare gli effetti preclusivi dei controlli in conseguenza dell’effettuato rimpatrio, nel termine di trenta giorni dalla notifica dei questionari stessi, a pena di inutilizzabilità.