Gli assi nella manica del patto di famiglia
di Ennio VialIl patto di famiglia è un istituto del nostro ordinamento volto a favorire il passaggio generazionale di aziende o quote societarie. Diversi sono i limiti, soprattutto se confrontato con il trust; tuttavia, non mancano anche 2 assi nella manica che il patto può vantare ossia la derogabilità dei patti successori e la possibilità di prevedere il recesso. Ci soffermiamo su questo secondo aspetto. In base all’art. 768-septies, c.c., il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia in 2 modi alternativi:
- mediante diverso contratto;
- mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.
Il recesso può avvenire solo se espressamente previsto nel contratto originario e per i motivi convenzionalmente previsti. Anche se non specificato, si ritiene che il diritto al recesso spetti a ogni singolo soggetto che ha concluso il patto di famiglia. È consigliabile, qualora lo si preveda, regolamentare nel contratto il diritto di recesso e le sue modalità di attuazione.
Ad avviso di chi scrive, il recesso deve avere la stessa forma dell’atto a cui si riferisce e, pertanto, deve essere concluso per atto pubblico.
Il recesso nel patto di famiglia appare una opportunità particolarmente interessante, in quanto permette una sorta di via di uscita in chiave retroattiva del passaggio dei beni. Una simile opportunità è invero preclusa nel caso delle donazioni che possono essere revocate solo in ipotesi molto marginali. La possibilità della revoca appare molto limitata anche in relazione ad altri istituti, quali il trust.
L’opportunità offerta dal recesso nel patto di famiglia non è di poco momento, in quanto la clausola potrebbe essere utilizzata, ad esempio, quando il disponente, che ha operato il ricambio generazionale attraverso il passaggio delle quote societarie ai discendenti, si trova in condizioni di indigenza e i donatari della società non provvedono al suo sostentamento. La revoca è la via di uscita del disponente per rientrare in possesso dell’azienda, al fine di venderla e vivere con gli introiti.
La disciplina fiscale relativa al ritrasferimento che si attua mediante lo scioglimento o il recesso dal patto di famiglia non è stata disciplinata dal Legislatore.
Sul punto è interessante richiamare il Documento “Il patto di famiglia e il passaggio generazionale dell’impresa” del CNDCEC del 15 luglio 2020, che dedica un interessante approfondimento, sotto il profilo degli effetti fiscali derivanti ai fini delle imposte indirette, circa le ipotesi in cui il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni realizzato con il patto di famiglia venga meno in funzione di una clausola risolutiva espressa inserita nel contratto, o in funzione del mutuo consenso delle parti (artt. 768-septies e 1372, c.c.).
Le 2 fattispecie meritano separata trattazione.
Infatti, risultano ancora piuttosto oscillanti gli orientamenti interpretativi manifestati a margine del trattamento fiscale delle ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, mentre il tenore letterale del comma 1 dell’art. 28, D.P.R. n. 131/1986, non lascia dubbi in merito alle modalità di tassazione dei trasferimenti che si verificano nelle ipotesi di scioglimento del contratto per clausola risolutiva espressa.
Con riferimento alle ipotesi di risoluzione del contratto, il comma 1, dell’art. 28, D.P.R. n. 131/1986, dispone che la medesima è soggetta all’imposta di registro in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso, oppure se è stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto.
Al verificarsi di queste condizioni, la tassazione proporzionale trova applicazione unicamente se per la risoluzione del contratto è stato previsto un corrispettivo e, in ogni caso, si applica esclusivamente sull’ammontare di quest’ultimo (scontando l’aliquota del 3% prevista, in via residuale, per gli atti a contenuto patrimoniale dall’art. 9, Tariffa, Parte I, D.P.R. n. 131/1986, ovvero lo 0,5%, di cui all’art. 6 della medesima Tariffa, in presenza di mere quietanze).
In linea con il dato letterale della norma di riferimento, anche la giurisprudenza di legittimità (in tal senso, da ultimo: Cass., n. 5745/2018 e n. 24506/2018) e la prassi amministrativa (risposta a interpello n. 439/E/2019 e risoluzione n. 91/E/2016) sono concordi nel ritenere che dette ipotesi scontano unicamente la tassazione in misura fissa (ferma restando l’eventuale imposta proporzionale sul corrispettivo ove pattuito). Si evidenzia la coerenza delle risposte a interpello sopra citate, pur non affrontando le stesse espressamente il tema del patto di famiglia.


