Esportazioni in triangolazione con cessionario italiano che non agisce in veste di soggetto IVA
di Marco PeiroloNelle triangolazioni nazionali con destinatario finale extracomunitario, l’art. 8, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 633/1972 considera non imponibile ai fini IVA non solo la cessione posta in essere dal soggetto intermedio (c.d. promotore della triangolazione), ma anche la prima cessione, interna al territorio italiano.
La finalità della detassazione di quest’ultima operazione è esplicitata dalla circolare n. 12/370205/1981. In buona sostanza, l’esportazione materiale dei beni al di fuori della UE avviene già con la prima cessione, dato che il cessionario intermedio incarica il proprio fornitore di inviare la merce all’estero. È per questa ragione, quindi, che alla cessione nazionale si applica lo stesso trattamento IVA previsto per la (successiva) cessione all’esportazione.
Dal momento che i beni, sotto il profilo doganale, sono esportati in esecuzione della prima cessione, sembrerebbe logico che alla non imponibilità di tale operazione debba attribuirsi una portata oggettiva, applicandosi anche quando l’operazione compiuta dal promotore della triangolazione non sia una cessione all’esportazione, ai sensi del citato art. 8, D.P.R. n. 633/1972. Sul punto, infatti, la risoluzione n. 357136/1986 ha ammesso la detassazione nei confronti del primo cedente, anche quando la controparte italiana non agisca nell’esercizio d’impresa.
In assenza del presupposto soggettivo d’imposta è evidente che, agli effetti dell’IVA, non possa realizzarsi alcuna cessione (non solo all’esportazione) nel rapporto, “a valle”, tra il cessionario intermedio e il suo cliente extracomunitario. Tuttavia, secondo l’Amministrazione finanziaria, «non assume rilevanza, stante la dizione della legge, la circostanza che il cessionario nazionale non abbia, nella specie, la veste di soggetto d’imposta dal momento che lo stesso non ha nello Stato alcuna disponibilità dei beni in questione e che, per contro, si ha la certezza del loro consumo all’estero».
La medesima portata oggettiva del trattamento di non imponibilità non è, invece, ravvisabile nella triangolazione nazionale con destinazione dei beni in altro Paese UE. La circolare n. 13-VII-15-464/1994, (§ B.16.1), infatti, ha precisato che, nell’ipotesi in cui il promotore sia un privato consumatore, non si rende applicabile il beneficio della non imponibilità, atteso che quest’ultimo, non essendo identificato ai fini IVA, non può realizzare una cessione intracomunitaria.
Ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, l’imponibilità della cessione interna, tanto nella triangolazione all’esportazione, quanto in quella intracomunitaria, si verifica, pertanto, nella sola ipotesi in cui il primo cedente, anziché in territorio estero, consegni in Italia i beni ceduti, verificandosi, in tal caso, un atto interruttivo della procedura di esportazione o si cessione intracomunitaria, che fa sorgere la presunzione di immissione in consumo dei beni nel territorio dello Stato.
In linea di principio, la stessa conclusione dovrebbe valere anche quando il promotore della triangolazione, benché agisca in veste di soggetto IVA, non realizzi una cessione all’esportazione ex art. 8, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 633/1972, per esempio perché – secondo le pattuizioni intercorse – l’effetto traslativo è posticipato e solo eventuale, come si verifica nell’ipotesi del contratto estimatorio o dell’accordo di call-off stock.
In tale situazione, invece, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 17/E/2009, ha fornito un’indicazione diversa, chiarendo che l’assenza di un’immediata cessione rilevante ai fini IVA tra il soggetto intermedio e il proprio cliente extracomunitario impedisce che il precedente acquisto, da parte dello stesso soggetto intermedio, dei beni inviati al di fuori della UE tramite il proprio fornitore possa considerarsi effettuato nell’ambito della triangolazione regolata dall’art. 8, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 633/1972.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 22172/2013, ha confermato questa impostazione con riguardo al caso in cui i beni acquistati dal cessionario nazionale siano inviati in territorio estero dal proprio fornitore in esecuzione di un contratto di leasing finanziario.
Secondo i giudici di legittimità, dato che i beni concessi in locazione sono rimasti di proprietà della società concedente, deve ritenersi escluso che il loro trasferimento agli utilizzatori non residenti integri un’operazione avente ad oggetto la “cessione di un bene”, come definita dall’art. 14, Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’art. 2, D.P.R. n. 633/1972.
In definitiva, la cessione nazionale è imponibile se non c’è certezza che il luogo di consumo dei beni sia situato al di fuori della UE ed è proprio alla luce di questa condizione che la risoluzione n. 357136/1986 ha ammesso la detassazione nei confronti del primo cedente nonostante la controparte italiana non agisse nell’esercizio d’impresa.


