19 Dicembre 2025

E se il 2026 fosse la volta buona per Vladimiro ed Estragone?

di Alberto TealdiLuigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

È indubbio che il Legislatore, con la Legge n. 111/2023, e soprattutto con il suo recepimento nel D.Lgs. n. 192/2024, ha fatto passi da gigante, per quanto riguarda almeno il settore agricolo, nell’allineare il più possibile il dato civilistico con quello fiscale.

Infatti, a seguito della Riforma del 2001, la figura dell’imprenditore agricolo prevista dall’art. 2135, c.c., è stata rivista introducendo alcune novità che, viste a distanza di oltre vent’anni fanno capire come la visione di allora fosse veramente rivolta al futuro.

Tra le novità maggiormente impattanti fu introdotta quella per cui, per aversi agricoltura, non era più imprescindibile esercitare l’attività sfruttando il terreno che, quindi, da elemento imprescindibile diventa fattore “generico” dell’azienda.

Con il D.Lgs. n. 192/2024, si è, di fatto, accorciata la distanza tra dato civilistico e dato fiscale introducendo, in particolare, la nuova lett. b-bis) nell’art. 32, TUIR, ricomprende tra le attività produttive di un reddito agrario anche quelle “dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di immobili oggetto di censimento al catasto dei fabbricati, rientranti nelle categorie catastali C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10”.

Il percorso, tuttavia, non si è ancora concluso in quanto, a distanza di un anno dal suo varo, a parere di chi scrive, vi sono ancora aspetti da regolamentare nonché da chiarire, nonostante lo sforzo profuso dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 12/E/2025 che, tuttavia, risulta incompleta.

Al contempo, permane un, aggiungiamo noi corretto, disallineamento civilistico-fiscale per quanto concerne le attività connesse e, in particolare, quelle c.d. di prodotto, ovverosia le attività definite al comma 3 dell’art. 2135, c.c., come quelle «esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali».

Infatti, se il dato civilistico si limita, per quanto riguarda la connessione a richiedere il rispetto del requisito soggettivo e di quello della prevalenza (novità anch’essa portata dalla Riforma del 2001), dal punto di vista fiscale la norma è più stringente, in quanto l’art. 32, comma 2, lett. c), TUIR, considera quali produttive di un reddito agrario le sole «attività di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del codice civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali».

In altri termini, fermo restando il rispetto dei requisiti civilistici ordinariamente richiesti, il Legislatore fiscale prevede che solo determinati prodotti rientrano nel perimetro della tassazione fondiaria e, a tal fine, stabilisce che il MEF, su proposta dell’attuale MASAF, provveda alla loro individuazione, il tutto con una cadenza biennale.

Nonostante ciò, Vladimiro ed Estragone, solerti imprenditori agricoli con idee visionarie, continuano a discutere su possibili investimenti per la realizzazione di nuovi prodotti maggiormente allineati al rispetto dell’ambiente e al cambio di sistema alimentare che ormai è ineludibile e, soprattutto, sollecitato dalla stessa Unione Europea (ad esempio con la strategia “Farm to fork”).

Infatti, l’ultimo Decreto, in tal senso, è quello del 13 febbraio 2015, in sostituzione del precedente datato 17 giugno 2011. L’evoluzione tecnologica, anche in applicazione all’alimentazione umana, porta all’introduzione di nuovi prodotti che, rispettando sempre un necessario collegamento con l’agricoltura, ben potrebbero trovare allocazione nel Decreto, si pensi anche alle sole piadine o al prosciutto crudo che, nella realtà, non nascono nemmeno da un’innovazione tecnologica applicata al settore primario.

Ancor più evidente è il ritardo del Legislatore per quanto riguarda il settore dell’allevamento che, come noto, è soggetto, per quanto concerne la produzione di un reddito agrario, alla limitazione prevista dalla lett. b) dell’art. 32, TUIR, che stabilisce un limite nella necessità di avere terreni sufficienti a ottenere almeno 1/4 del mangime necessario.

Nonostante il successivo comma 3, in questo caso, non introduca un limite temporale all’emanazione del Decreto MEF, sempre di concerto con l’attuale MASAF, con cui stabilire per ciascuna specie animale il numero dei capi che rientra nei limiti di cui alla lett. b), tenuto conto della potenzialità produttiva dei terreni e delle unità foraggere occorrenti a seconda della specie allevata, l’ultimo Decreto emanato è datato 15 marzo 2019, di certo non più attuale con le nuove tecnologie introdotte nel settore dell’allevamento.

In altri termini, quello che si vuole evidenziare è che, per rendere il Made in Italy sempre più forte è vero che è necessario difenderlo dal c.d. Italian sounding, ma altresì dotarlo degli strumenti per consentirgli di restare innovativo e dominante.