18 Novembre 2025

È legittimo l’avviso di accertamento anche se privo dell’allegazione della segnalazione interna

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

La Riforma fiscale – Legge delega n. 111/2023 – ha inteso rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l’indicazione delle prove sulle quali si basa la pretesa, in linea con quanto già previsto dall’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, introdotto dalla Legge n. 130/2022, di riforma del processo tributario, e con il quale dovrà necessariamente coordinarsi; disposizione che ha attribuito all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, fermo restando che le norme base trovano fondamento nell’art. 42, D.P.R. n. 600/1973, e nell’art. 57, D.P.R. n. 633/1972.

Oggi, l’art. 7, comma 1, Legge n. 212/2000, prevede che gli atti dell’Amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa riferimento a un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato, lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati.

La motivazione degli atti fiscali latamente intesi (impositivi, sanzionatori, esattivi) costituisce da sempre argomento di ampia discussione tra gli addetti ai lavori, involgendo da vicino il corretto esercizio delle norme procedimentali e la concreta tutela delle garanzie dei contribuenti atteso, peraltro, la mancanza di discrezionalità nella determinazione dell’imposta, che pone il diritto tributario, rispetto al diritto amministrativo, in una posizione diversa.

La motivazione dell’accertamento tributario, elemento necessario dell’atto, in funzione di tutela di diritti costituzionalmente garantiti previsti dagli artt. 24 e 113, Costituzione, assume una funzione di garanzia nei confronti del destinatario, poiché è solo attraverso la motivazione che a quest’ultimo è consentito reagire agli effetti negativi che produce.

La motivazione dell’atto impositivo, al pari di quella di ogni provvedimento amministrativo, è quindi funzionale alla salvaguardia delle garanzie di ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità che devono connotare l’azione dell’Amministrazione, da ricondurre, a loro volta, alle esigenze di razionalità e non arbitrarietà del potere discrezionale, riconosciute dall’art. 97, comma 2, Costituzione.

La ratio di fondo della disciplina è quella di assicurare che l’atto impositivo contenga tutti gli elementi necessari perché il contribuente possa conoscere non solo l’entità della pretesa erariale, ma anche tutti i dati in base ai quali essa è stata quantificata dagli uffici, potendo in tal modo concretamente valutarne l’operato e, se il caso, difendersi dalle argomentazioni addotte in sede contenziosa.

Se gli esiti finali della procedura di accertamento devono consentire l’emissione di atti impositivi, formalmente legittimi e sostanzialmente fondati, occorre verificare, di volta in volta, se la motivazione riportata nell’atto sia idonea a permettere il sindacato giurisdizionale, restando fermo che, a rigore di diritto, anche la motivazione “a stampone” può essere ritenuta valida, se nel caso concreto comunque tuteli le fondamentali esigenze di difesa del contribuente.

In questo contesto, si inserisce la recente ord. n. 18199/2025 della Corte di Cassazione che, nel confermare la legittimità della motivazione nei casi in cui consenta al destinatario di avere contezza degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della pretesa, ha statuito che la mancata allegazione all’avviso di accertamento di una mera segnalazione di un altro ufficio dell’Agenzia delle Entrate, giammai può comportare l’esito caducatorio dello stesso, posto che, «non possedendo la segnalazione alcuna valenza istruttoria, in quanto mero atto interno d’impulso di verifiche e valutazioni da compiersi dall’Ufficio “ad quem”, è da escludersi che l’accertamento fondi su di essa, ma semmai sugli atti istruttori conseguentemente compiuti (anche in ragione della pur e semplice acquisizione dei documenti che in ipotesi siano stati trasmessi con la segnalazione), i quali soli, dunque, rilevano ai fini dell’integrazione motivazionale dell’avviso».

Nel caso di specie, l’avviso di accertamento emesso conteneva un “riassunto” della segnalazione proveniente dall’Agenzia delle Entrate, per di più evidenziando che l’esito degli accertamenti compiuti dall’Agenzia delle entrate coincideva con il contenuto di detta segnalazione. Donde, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR nella sentenza impugnata, l’avviso soddisfaceva pienamente l’onere motivazionale.

Peraltro, anche a prescindere da ciò, rileva quanto opinato dalla giurisprudenza di legittimità sulla segnalazione in riferimento all’accertamento parziale. Essa, infatti, nell’insegnare che l’accertamento parziale rappresenta «uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, laddove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza a qualsiasi titolo di attendibili posizione debitorie […]», afferma che «l’accertamento parziale, normativamente distinto dall’accertamento integrativo, può basarsi anche su una verifica generale, in quanto….la segnalazione costituisce solo l’atto di comunicazione che consente l’accertamento, distinto dall’attività istruttoria, anche se di modestissima entità, da esso necessariamente presupposta» (così in motivazione, Cass. n. 12010/2015, con ulteriori citazioni; recentemente, tra le altre, Cass. n. 3238/2023).