8 Ottobre 2025

Diritto di rimborso IVA anche se l’istanza è stata presentata dal rappresentante fiscale dell’incorporata

di Marco Peirolo
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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15026/2025, si è pronunciata sull’esercizio del diritto di rimborso dell’eccedenza detraibile maturata da una società successivamente incorporata da un’altra società.
Ad avviso dei giudici di legittimità, la circostanza che una società abbia chiesto il rimborso del credito IVA in qualità di rappresentante fiscale dell’incorporata e non dell’incorporante non è idonea a precludere il relativo diritto, atteso che, da un lato, l’incorporante subentra in tutti i diritti e gli obblighi dell’incorporata e, dall’altro, una tale irregolarità non risulta tale da escludere il diritto dell’incorporante di ottenere la restituzione dell’IVA.

 

Descrizione della fattispecie

Il rappresentante fiscale italiano di una società di diritto tedesco, priva di stabile organizzazione in Italia, nell’anno 2015 ha avanzato, in nome e per conto della predetta società, nonostante la stessa, nell’anno 2013, fosse stata incorporata da un’altra società tedesca, istanza di rimborso dell’eccedenza IVA maturata nell’anno 2014.

Il provvedimento di diniego emesso dall’Agenzia delle Entrate è stato impugnato dal rappresentante fiscale e il ricorso è stato accolto dalla Commissione tributaria di I grado, che ha rigettato l’eccezione sollevata dall’ufficio del difetto di legittimazione del rappresentante fiscale a richiedere il rimborso, sostenendo che, ai sensi dell’art. 2504-bis, c.c., la società incorporante, assumendo i diritti e gli obblighi e anche i crediti e debiti riconducibili alla società incorporata, è successore universale in tutti i rapporti giuridici di quest’ultima. La società incorporante è subentrata, pertanto, anche “ex lege” nel rapporto di rappresentanza fiscale instaurato tra il rappresentante fiscale e la società incorporata. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate è stato rigettato dalla Commissione tributaria di II grado.

I giudici d’appello hanno sostenuto che, siccome la società tedesca è stata incorporata da altra società tedesca, le 2 società sono diventate una sola, è cambiata semplicemente la ragione sociale, ma la persona giuridica è rimasta la stessa.

Da ciò consegue necessariamente che:

1. è la società incorporante l’avente diritto al rimborso, avendo la società incorporata cessato di esistere ed essendo la prima succeduta alla seconda in tutti i rapporti compresi quelli processuali;

2. il rappresentante fiscale del successore della società incorporata continua a essere rappresentante fiscale;

3. l’intestazione delle fatture di cui si è chiesto il rimborso è irrilevante, trattandosi della medesima persona giuridica.

Avverso tale statuizione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, osservando che:

  • alla stregua del principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 21970/2021, a seguito della fusione per incorporazione, la società incorporata si estingue, dando luogo alla successione universale dell’incorporante nell’intero patrimonio dell’incorporata, con il risultato che la prima subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, di cui era parte l’incorporata, con la conseguente erroneità dell’affermazione dei giudici d’appello secondo i quali la persona giuridica è rimasta la stessa;
  • quanto alla legittimazione attiva, il rappresentante fiscale aveva presentato l’istanza di rimborso del credito IVA in qualità di rappresentante fiscale della società incorporata e non della incorporante sicché i giudici d’appello hanno illegittimamente attribuito il relativo diritto a un soggetto che non ha predisposto l’istanza né personalmente, né tramite il proprio rappresentante fiscale, laddove nominato;
  • i giudici d’appello non hanno spiegato la ragione per la quale, pur in presenza dell’estinzione della società incorporata, il rappresentante fiscale ha continuato a svolgere le relative funzioni senza averne la possibilità, stante, da un lato, l’estinzione dell’incorporata a seguito della fusione per incorporazione in altra società e, dall’altro, l’esistenza di un’autonoma posizione IVA in Italia dell’incorporante, che risultava, infatti, ivi identificata direttamente ex art. 35-ter, D.P.R. n. 633/1972, sin dall’anno 2014[1].

A quest’ultimo riguardo, nell’ordinanza n. 15026/2025, si dà atto che la società incorporante, nell’anno 2013, aveva chiesto l’attribuzione del numero di partita IVA per l’identificazione diretta ex art. 35-ter, D.P.R. n. 633/1972, ma l’Agenzia delle Entrate – Centro operativo di Pescara vi ha provveduto soltanto nell’anno 2014.

Dato che l’incorporante ha potuto utilizzare la partita IVA assegnata decorsi 30 giorni dall’attribuzione, l’incorporante stessa, per le operazioni nel frattempo effettuate nel territorio dello Stato, ha continuato a utilizzare la partita IVA della società incorporata, con la conseguenza che le fatture emesse dai fornitori italiani, rispetto alle quali è stato chiesto il rimborso della relativa IVA, risultavano intestate all’incorporante, ma riportavano il numero di partita IVA del rappresentante fiscale dell’incorporata.

 

Effetti del principio di continuazione nella fusione per incorporazione

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell’illustrare gli aspetti sostanziali della vicenda della fusione societaria – che si possono riassumere nella concentrazione, nella successione e nell’estinzione – hanno evidenziato che, in virtù della concentrazione, la fusione, dando vita a una vicenda modificativa dell’atto costitutivo per tutte le società che vi partecipano, determina un fenomeno di “integrazione” o “compenetrazione”, dal quale consegue che i rapporti giuridici, attivi e passivi, di cui era titolare la società incorporata o fusa, sono imputati a quella incorporante[2].

In caso di fusione per incorporazione, l’art. 35, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente all’epoca dei fatti, prevedeva che la dichiarazione è presentata unicamente dal soggetto risultante dalla trasformazione, configurando l’obbligo esclusivo del nuovo soggetto di presentare la dichiarazione IVA anche per il soggetto incorporato per il periodo antecedente alla fusione.

L’art. 5-bis, comma 2, D.P.R. n. 322/1998, specifica che la società risultante dalla fusione o incorporante deve presentare la dichiarazione relativa alla frazione di esercizio delle società fuse o incorporate compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la fusione entro l’ultimo giorno del nono mese successivo a tale data in via telematica.

Come precisato dalle istruzioni relative alla compilazione della dichiarazione IVA 2025, in riferimento alla data in cui si verifica la fusione per incorporazione, possono verificarsi le 2 seguenti ipotesi.

In primo luogo, qualora durante l’anno d’imposta cui si riferisce la dichiarazione sia stata effettuata un’operazione di fusione che abbia comportato l’estinzione del soggetto dante causa (nella specie, la società incorporata), la dichiarazione IVA deve essere presentata unicamente dal soggetto avente causa (nella specie, la società incorporante).

Pertanto, la società incorporante deve presentare il modello composto dal frontespizio e da 2 moduli (o da più moduli in relazione al numero di soggetti partecipanti all’operazione):

  • nell’unico frontespizio devono essere indicati la denominazione o ragione sociale, il codice fiscale, la partita IVA del soggetto risultante dalla trasformazione;
  • nel modulo relativo alla società incorporante (modulo n. 01) devono essere compilati tutti i quadri inerenti alla propria attività riportando i dati delle operazioni effettuate dallo stesso soggetto nel corso dell’anno oggetto della presente dichiarazione, compresi anche i dati relativi alle operazioni effettuate dalla società incorporata nella frazione di mese o trimestre nel corso del quale è avvenuta la fusione per incorporazione. Devono essere altresì compilati i quadri VT e VX al fine di riepilogare i dati relativi ai soggetti partecipanti all’operazione;
  • nel modulo relativo alla società incorporata devono essere compilati tutti i quadri inerenti all’attività dalla stessa svolta, comprendendo i dati relativi alle operazioni effettuate fino all’ultimo mese o trimestre conclusosi anteriormente alla data della fusione per incorporazione. Inoltre, nel rigo VA1, campo 1, deve essere indicata la partita IVA del soggetto cui il modulo si riferisce. Conseguentemente, in tale ipotesi, la società incorporata non deve presentare la dichiarazione IVA relativa all’anno oggetto della dichiarazione.

In secondo luogo, qualora la trasformazione sia avvenuta nel periodo compreso tra il 1° gennaio e la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno oggetto della dichiarazione, poiché l’attività per l’intero anno oggetto della presente dichiarazione è stata svolta dal soggetto dante causa (società incorporata, società scissa, soggetto conferente, cedente o donante, ecc.), la società incorporante deve presentare, per l’anno oggetto della dichiarazione, oltre alla propria anche la dichiarazione per conto della società incorporata, sempreché l’adempimento dichiarativo non sia stato già assolto direttamente da quest’ultima. In tale dichiarazione devono essere indicati i dati della società incorporata nella parte riservata al contribuente e i dati della società incorporante nel riquadro riservato al dichiarante, riportando il valore 9 nella casella relativa al codice di carica.

La Suprema Corte ha, quindi, stabilito che l’esposizione di un credito IVA della società incorporata nella dichiarazione annuale di quest’ultima, anziché in quella della società incorporante, costituisce una violazione, ma di carattere meramente formale[3].

Ne consegue, secondo la posizione espressa dai giudici di legittimità nell’ordinanza n. 15026/2025, in commento, che la natura meramente formale di una tale violazione, come quella che verrebbe qui in rilievo con riferimento alle modalità, contestate dall’ufficio, di compilazione delle fatture (intestate alla società incorporata, anziché all’incorporante), non esclude il diritto al rimborso; in particolare, alla luce delle considerazioni successivamente esposte in merito all’applicabilità dell’art. 1722, comma 1, n. 4), c.c., e, quindi, dell’inquadramento del rapporto con il rappresentante fiscale nell’ambito del rapporto di mandato e la continuazione dell’esercizio dell’impresa in virtù di quel rapporto di integrazione e compenetrazione tra le società coinvolte nell’operazione, di cui sopra si è detto.

 

Efficacia del mandato di rappresentanza fiscale conferito dalla società incorporata prima della sua estinzione per incorporazione

L’art. 17, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, ratione temporis vigente, dispone che: «nel caso in cui gli obblighi o i diritti derivanti dalla applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto sono previsti a carico ovvero a favore di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i medesimi sono adempiuti od esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell’articolo 35-ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nelle forme previste dall’articolo 1, comma 4, del Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441. Il rappresentante fiscale risponde in solido con il rappresentato relativamente agli obblighi derivanti dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto. La nomina del rappresentante fiscale è comunicata all’altro contraente anteriormente all’effettuazione dell’operazione».

A sua volta, l’art. 1, comma 4, D.P.R. n. 441/1997, prevede che: «il rapporto di rappresentanza risulta da atto pubblico, da scrittura privata registrata, da lettera annotata, in data anteriore a quella in cui è avvenuto il passaggio dei beni, in apposito registro presso l’ufficio IVA competente in relazione al domicilio fiscale del rappresentante o del rappresentato, ovvero da comunicazione effettuata all’ufficio IVA con le modalità previste dall’articolo 35 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, sempre che di data anteriore al passaggio dei beni. L’annotazione delle lettere commerciali in appositi registri presso l’ufficio IVA è consentita solo per il conferimento di incarichi che comportano passaggio di beni».

Alla stregua di tali disposizioni, il soggetto non residente – comunitario o extracomunitario – che effettua nel territorio dello Stato operazioni rilevanti ai fini IVA può adempiere ai relativi obblighi o esercitare i relativi diritti direttamente (se soggetto UE, oppure residente in un Paese terzo con cui esistono accordi di reciprocità), ovvero nominando un rappresentante fiscale residente nel territorio dello Stato (se soggetto UE o extra-UE), fermo restando che detta nomina o identificazione non muta il suo status di soggetto non residente.

Come già messo in luce dalla giurisprudenza, poiché il rappresentante fiscale è il soggetto normativamente preposto alla rappresentanza nel territorio nazionale della società priva di sede legale o di stabile organizzazione, il rapporto tra soggetto non residente e il suo rappresentante fiscale è inquadrabile nel rapporto di mandato con rappresentanza[4].

Il rappresentante fiscale, infatti, agisce in qualità di mandatario del soggetto non residente ed è responsabile con quest’ultimo per eventuali irregolarità commesse nei confronti dell’Erario, anche se, sotto tale ultimo profilo, la responsabilità solidale discende non tanto dal contratto che lega rappresentante e rappresentato, ma dalla specifica previsione contenuta nell’art. 17, comma 3, D.P.R. n. 633/1972.

Al riguardo, è stato affermato che il rappresentante fiscale, avendo una soggettività passiva parziale, limitata alle sole operazioni passive specificamente attribuitegli dal mandante non residente (in nome e per conto del quale agisce), è solidamente responsabile con quest’ultimo, non per la mera esistenza del rapporto di mandato, ma per avere effettivamente posto in essere operazioni irregolari nell’interesse del soggetto rappresentato, la cui prova si desume dall’ingerenza attiva del rappresentante, indipendentemente e anche in violazione degli obblighi del mandato, nelle operazioni “contra legem” perfezionate direttamente dal mandante non residente, non essendo invece sufficiente la mera conoscenza o conoscibilità dell’esistenza di tali operazioni[5].

Questa impostazione è in linea con la stessa funzione attribuita al rappresentante fiscale dalla giurisprudenza comunitaria, la quale ha avuto modo di precisare che il meccanismo della rappresentanza ha unicamente lo scopo di consentire alle Autorità fiscali di avere un interlocutore nazionale quando il soggetto passivo è stabilito all’estero[6].

Dopodiché, la Suprema Corte ha preso in considerazione l’art. 1722, comma 1, n. 4), c.c., secondo cui l’estinzione del soggetto rappresentato (nella specie, la società incorporata) non produce l’estinzione del mandato che ha per oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio di un’impresa, salvo il diritto di recesso delle parti (o degli eredi).

Ad avviso dei giudici di legittimità, nel caso in esame, il mandato conferito al rappresentante fiscale della società incorporata aveva per oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio dell’impresa continuata dall’incorporante, né risulta che quest’ultima avesse esercitato il diritto di recesso. Di conseguenza, hanno osservato i giudici, permanendo in capo al rappresentante fiscale dell’incorporata il potere rappresentativo della società incorporante, il rappresentante fiscale era legittimato a proporre l’istanza di rimborso dell’IVA.

Tale legittimazione, peraltro, non è venuta meno neppure a seguito dell’identificazione diretta ai fini IVA effettuata nel territorio dello Stato dalla società incorporante ai sensi dell’art. 35-ter, D.P.R. n. 633/1972.

Tale disposizione, infatti, prevede che: «i soggetti non residenti nel territorio dello Stato, che, ai sensi dell’articolo 17, terzo comma, intendono assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di imposta sul valore aggiunto direttamente, devono farne dichiarazione all’Ufficio competente, prima dell’effettuazione delle operazioni per le quali si vuole adottare il suddetto sistema».

L’identificazione diretta, quindi, opera soltanto per le operazioni successive e non per quelle a essa anteriori[7].

La giurisprudenza ha affermato che l’identificazione diretta ha natura meramente formale, allo scopo di favorire il controllo da parte delle Autorità fiscali, sicché il rimborso del credito IVA può essere richiesto anche se l’identificazione sia stata effettuata dopo il compimento dell’operazione cui la richiesta si riferisce, purché, nonostante l’inosservanza dell’obbligo di anticipata identificazione, ai sensi degli artt. 17, comma 3, e 35-ter, D.P.R. n. 633/1972, l’Amministrazione finanziaria sia messa nelle condizioni di verificare che sussistano i requisiti per l’accoglimento della richiesta di rimborso, che la stessa non persegua finalità fraudolente o abusive e che l’identificazione sia effettuata, tenuto conto delle peculiarità del caso concreto e delle giustificazioni che l’istanza abbia ritenuto di dare, entro un termine ragionevole[8].

Nello stesso senso si è espressa anche la prassi amministrativa, secondo cui, nell’ipotesi in cui l’identificazione sia ultratardiva, non potendosi ritenere effettuata entro un termine ragionevole, non solo risulta precluso il rimborso di cui agli artt. 30 e 38-bis, D.P.R. n. 633/1972, ma anche quello previsto dall’art. 30-ter, comma 1, dello stesso D.P.R. n. 633/1972[9].

Riprendendo il caso oggetto della risposta a interpello n. 147/E/2024, è stata esclusa la facoltà di avvalersi – previa attribuzione retroattiva della partita IVA, a valere dal 2017 e presentazione delle dichiarazioni annuali ultratardive per gli anni dal 2017 al 2022 – del rimedio del rimborso di cui al citato art. 30-ter, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, al fine di ottenere la restituzione dell’imposta oltre i termini ordinari.

Tale disposizione, aggiunta dall’art. 8, comma 1, Legge n. 167/2017, introducendo nel Decreto IVA l’analoga previsione contenuta nell’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, stabilisce che il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di 2 anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Si tratta di una disciplina applicabile nelle ipotesi di indebito versamento dell’IVA, avente carattere speciale rispetto a quella prevista dagli artt. 30, 38-bis, 38-bis.2 e 38-ter, D.P.R. n. 633/1972, per i rimborsi c.d. ordinari dell’eccedenza a credito IVA che si genera nell’ambito del processo di liquidazione periodica o annuale, quando l’imposta sugli acquisti eccede quella sulle vendite o, come accade per i non residenti, quando sono effettuati acquisti rilevanti ai fini IVA in Italia intestati direttamente alla partita IVA estera.

La facoltà di avvalersi di tale rimedio è stata, altresì, riconosciuta dalla prassi nell’ipotesi di crediti IVA emergenti da dichiarazioni omesse, utilizzati in detrazione nelle dichiarazioni successive, solo se[10]:

− a seguito di liquidazione operata ai sensi dell’art. 54-bis, D.P.R. n. 633/1972, il contribuente attesti con idonea documentazione l’esistenza del credito; ovvero

− all’esito del riconoscimento dello stesso in sede di contenzioso relativo alla cartella di pagamento conseguente alla predetta liquidazione (sia in fase di mediazione/conciliazione che a seguito di pronuncia giudiziale).

Sta di fatto, come anticipato, che l’istituto del rimborso di cui all’art. 30-ter, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, risulta parimenti precluso in caso di identificazione IVA non effettuata entro un termine ragionevole.

In ogni caso, per i giudici di legittimità, l’anticipata identificazione dei soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato è obbligatoria ai fini dell’esercizio dei diritti connessi all’IVA. Di conseguenza, ove la società non residente, ma identificata nel territorio dello Stato, non esercita il diritto di rimborso per le operazioni compiute anteriormente all’identificazione, permane la legittimazione del rappresentante fiscale, senza che ciò possa costituire violazione del principio di alternatività tra rappresentanza fiscale e identificazione diretta.

A quest’ultimo riguardo, nell’ordinanza n. 15026/2025, in commento, la Suprema Corte osserva che la circostanza che il rappresentante fiscale aveva presentato l’istanza di rimborso del credito IVA nella qualità di rappresentante fiscale della società incorporata e non della incorporante non è idonea a inficiare il diritto al rimborso, atteso che, da un lato, la società incorporante subentra in tutti i diritti e gli obblighi della società incorporata e, dall’altro, una tale irregolarità non è comunque tale da privare il soggetto passivo del diritto di ottenere il rimborso dell’IVA.

Infatti, i diritti spettanti ai soggetti passivi IVA costituiscono un principio fondamentale del sistema comune attuato dalla normativa dell’Unione Europea, che, in linea di massima, non può essere soggetto a limitazioni, garantendo in tal modo la neutralità dell’imposizione per le attività economiche[11].

Pertanto, le formalità istituite dallo Stato membro interessato, che devono essere assolte dal soggetto passivo ai fini dell’esercizio del diritto di rimborso, non devono oltrepassare lo stretto necessario e non devono rimettere in discussione la neutralità dell’IVA.

[1] Sul punto, l’art. 17, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, dispone che: «nel caso in cui gli obblighi o i diritti derivanti dalla applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto sono previsti a carico ovvero a favore di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i medesimi sono adempiuti od esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell’articolo 35-ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nelle forme previste dall’articolo 1, comma 4, del Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441».

[2] Cfr. sent. n. 21970/2021.

[3] Cfr. sent. n. 22774/2006.

[4] Cfr. Cass. n. 15518/2024.

[5] Cfr. Cass. n. 591/2024.

[6] Cfr. CGUE 19 febbraio 2009, causa C-1/08, Athesia Druck.

[7] Cfr. Cass. n. 21411/2017.

[8] Cfr. Cass. n. 2746/2023 e n. 2756/2023.

[9] Cfr. risposta a interpello n. 147/E/2024.

[10] Cfr. circolari n. 34/E/2012 e n. 21/E/2013.

[11] Cfr. Cass. n. 5400/2015.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie”.